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Delbrêl: l’Amore di Dio quando brucia produce cenere

GIRL, ASH WEDNESDAY

vetre | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 02/03/22

È il niente della cenere a testimoniare che qualcuno si è davvero consumato per te. Una riflessione di Madeleine Delbrêl su noi uomini che vorremmo esibire le nostre passioni dolorose come fuoco ardente, e sul bisogno che Dio ha delle nostre pazienze, il patire quotidiano senza nessun contrassegno di gloria.

Non ne conosco a fondo la vita e il percorso spirituale, ma ricorro alle sue parole quando ho bisogno di una bussola. Sto parlando di Madeleine Delbrêl, quella che una biografia sommaria si limiterebbe a indicare come poetessa e mistica francese, morta nel 1964. Stare a meditare le sue parole me l’ha resa amica, ma di quelle amiche più mature e forti che eleggi a capo-cordata del quotidiano.

Ho cercato di nuovo la sua voce per farmi accompagnare nella Quaresima che inizia, per togliere dall’orizzonte le apprensioni e distrazioni che fanno rumore. La Quaresima è all’origine di quella pulizia vigorosa di cui ora incontriamo un’eco sbiaditissima nel famigerato declutter. Fare spazio, sì, ma per ospitare una Presenza che fa ordine nel nostro putiferio a partire dalla cenere che riceveremo oggi. Proprio sul tema delle Ceneri, ha catturato la mia attenzione un pensiero paradossale della Delbrêl, molto noto (a giudicare da quanto è rilanciato sul web).

l’Amore di Dio quando brucia produce cenere, è l’umiltà
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Il fuoco fa cenere

La cenere è niente, è la parte più trascurabile e triste di un falò. La legna che arde è bella da vedere e riscalda, la cenere è fredda e inerte. Si butta via. Anche quando pensiamo a qualcuno che si è consumato (nel senso che ha speso tutto se stesso per qualcosa), lo pensiamo nel momento attivo di chi arde e brucia. Lo immaginiamo nel momento infuocato della sua passione. Ricevere sulla fronte della cenere ci ricorda che siamo polvere, sì, ma forse ci invita anche allo sguardo coraggioso contenuto nel paradosso della Delbrêl.

L’ardore dell’amore che c’insegna la logica del mondo è una vampata di luce accecante e calda. L’Amore di Dio è una passione che porta in dote un dono ancora più grande: è il niente della cenere a testimoniare che Qualcuno si è davvero consumato per te.

Vorremo la passione, ci spetta la pazienza.

Sulla scorta di quest’intuizione folgorante, ho cercato qualche altra meditazione di Madeleine Delbrêl per capire meglio quella che sommariamente possiamo definire la rivoluzione della cenere, uno sguardo che vede un amore infinito scritto nel segno più trascurabile possibile. E ho trovato un passo dal suo La gioia di credere che mi è parso illuminante.

Tutto parte da due parole che hanno la stessa radice – il verbo latino patior, soffrire – ma usiamo per parlare di esperienze che appartengono a mondi diversi: passione e pazienza. Passione è una parola gettonatissima, soprattutto nel contesto amoroso. Tra amanti la passione è tutto. È stata una notte di passione. Le 5 regole per non spegnere la passione in una relazione. Questi sono i contenuti più frequenti in cui oggi è frequente trovare la parola “passione”. E indica sempre qualcosa di ardente e passeggero, da riuscire a replicare nella sua intensità infuocata.

FIAMMA FUOCO

Ma anche quando la passione è intesa come sinonimo di via dolorosa, dei molti percorsi del patire umano, c’è sempre la tentazione di inquadrarla nel momento acuto, ardente, appariscente ed eclatante del dolore. Ed è da questa svista che parte l’affondo della Delbrêl.

La passione, la nostra passione, sì, noi l’attendiamo.
Noi sappiamo che deve venire, e naturalmente intendiamo viverla con una certa grandezza.
Il sacrificio di noi stessi: noi non aspettiamo altro che ne scocchi l’ora.
Come un ceppo nel fuoco, così noi sappiamo di dover essere consumati.
Come un filo di lana tagliato dalle forbici, così noi dobbiamo essere separati.
Come un giovane animale che viene sgozzato, così noi dobbiamo essere uccisi.
La passione, noi l’attendiamo.
Noi l’attendiamo, ed essa non viene.

La passione delle pazienze, da La gioia di credere

Sembra una fotografia, più che un discorso. Ci riconosciamo benissimo, no? Se mi devo mettere sulle orme di Cristo che ha patito, sono pronto – astrattamente – ai fuochi d’artificio del dolore. Mi aspetto (davvero?) il fuoco della passione. Ma è la cenere della pazienza, anzi delle pazienze, che ci mette nudi ed esposti accanto alla via crucis di Gesù.

Pazienza, una passione senza la nostra gloria

Vengono, invece, le pazienze.
Le pazienze, queste briciole di passione, che hanno lo scopo di ucciderci lentamente
per la tua gloria, di ucciderci senza la nostra gloria.

Fin dal mattino esse vengono davanti a noi:
sono i nostri nervi troppo scattanti o troppo lenti,
È l’autobus che passa affollato;
il latte che trabocca,
gli spazzacamini che vengono,
i bambini che imbrogliano tutto.
Sono gli invitati che nostro marito porta in casa e quell’amico che, proprio lui, non viene;
È il telefono che si scatena;
quelli che noi amiamo e non ci amano più.

Ibid.

Senza la nostra gloria. Ecco la linea di frontiera, il segno di demarcazione che rende ai nostri occhi la pazienza una sorella molto minore della passione. La pazienza è annidata lì, nel grigio dell’attrito quotidiano tra le nostre forze e le forze avverse. È grigia come la cenere, e ci fiacca, la pazienza. Perché ci spegne nella prostrazione di un patire fatto di sbuffi e sospiri, senza niente, ma proprio niente, di eroico. Vorremmo urlare di dolore. Ma frigniamo di sfinimento perché il telefono squilla di continuo. Dio mica mi chiederà questo piccolo rigurgito di patire?

Il latte che trabocca. L’autobus sovraffollato. Non c’è gloria nel bruciore di queste piccole spine che la realtà pianta nella carne, a ricordarci che è invadente – trabocca, appunto – e ci sovraccarica di minuscole pene che ai nostri occhi avidi di riconoscimento hanno proprio l’aggravante di essere insignificanti, banali. E insinuano l’illusione che la salita al calvario dovrebbe essere diversa. Più clamorosa, quantomeno grave.

La pazienza è dire sì a un patire senza il contrassegno della gloria. Farsi consumare in nome Suo, dentro le braci quasi spente di un giorno qualunque.

Il martirio della nuda presenza

Così vengono le nostre pazienze, in ranghi serrati o in fila indiana,
e dimenticano sempre di dirci che sono il martirio preparato per noi.
E noi le lasciamo passare con disprezzo,
aspettando – per dare la nostra vita – un’occasione che ne valga la pena.

Ibid.

Tra qualche ora il mio parroco mi farà sulla fronte il segno di Croce con la cenere. Ho sempre pensato che fosse opportuno avvicinarsi a quel gesto con un tono vagamente dimesso. L’umiltà non è una posa, neppure una virtù da inseguire a denti stretti. Forse è un sussurro a cui occorre prestare orecchio e dire sì.

Con la cenere si faceva il bucato, le nostre nonne la usavano per lavare. Allora oggi chiedo che ricevere le Ceneri sia una pulizia del cuore e della vista per benedire il posto che Dio mi ha dato nel recinto della pazienza.


Perché abbiamo dimenticato che come ci son rami che si distruggono col fuoco,
così ci son tavole che i passi lentamente logorano e che cadono in fine segatura.
Perché abbiamo dimenticato che se ci sono fili di lana tagliati netti dalle forbici,
ci son fili di maglia che giorno per giorno si consumano sul dorso di quelli che l’indossano.
Ogni riscatto è un martirio, ma non ogni martirio è sanguinoso:
ce ne sono di sgranati da un capo all’altro della vita.

Ibid.

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mercoledi delle ceneriquaresima
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