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Gemma Calabresi: don Sandro disse “è morto”. Mi accasciai sul divano e Dio era con me

Gemma-Calabresi

Mario Calabresi via Instagram

Silvia Lucchetti - pubblicato il 02/03/22

La signora Gemma, a 50 anni dalla morte del marito, il Commissario Luigi Calabresi, narra in un libro intimo e coinvolgente il viaggio di vita e di fede compiuto dai primi giorni dopo l'omicidio fino ad oggi

Nell’edizione del Corriere della Sera del 27 scorso è stato pubblicato un bellissimo articolo di Aldo  Cazzullo che ha intervistato Gemma Capra vedova del Commissario Luigi Calabresi, ucciso a Milano il 17 maggio 1972 da un commando di terroristi aderenti a Lotta Continua.

Il libro di Gemma Calabresi a 50 anni dall’omicidio del marito

L’occasione è stata propiziata dal libro (in uscita oggi!) che la signora Gemma ha pubblicato a 50 anni dalla morte del marito:La crepa e la luce, Mondadori editore, che reca un sopratitolo illuminante: “Sulla strada del perdono. La mia storia”.

Dopo Spingendo la notte più in là –  il libro in cui il figlio Mario Calabresi ha ripercorso la storia della sua famiglia, – con un racconto intimo e coinvolgente l’autrice narra il viaggio di vita e di fede compiuto dai primi giorni dopo l’omicidio fino ad oggi.

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Di questa lunga intervista ci hanno particolarmente colpito i passaggi relativi all’amore fra i due coniugi e al percorso di perdono che, in modo tortuoso e sofferto, la signora ha imboccato fin dall’inizio.

Il primo incontro di Gemma e Luigi Calabresi

Questo l’inizio della storia d’amore:

Era il Capodanno del 1968, non avevo ancora ventidue anni. I miei erano a Courmayeur, io ero da sola a Milano e non avevo niente  da fare. La mia amica Maura insistette perché la accompagnassi a una festa. Lo vidi subito, all’ingresso, e dissi alla mia amica Maura: “Guarda quello, mica male …”. (…) Elegante: doppiopetto scuro, con un righino leggero bianco. Ci ha sempre tenuto molto. Alto, prestante: un bell’uomo. Per tutta la sera ballò con me. Poi andai in cucina a bere un bicchiere d’acqua. Lui mi tolse il bicchiere, lo posò, e mi diede un bacio.

(Corriere)

“Abbiamo fatto tutto in fretta (…) avevamo poco tempo”

Dopo nemmeno un anno e mezzo il matrimonio, e al ritorno dal viaggio di nozze la coppia aspettava già Mario:

Abbiamo fatto tutto in fretta, e ora so perché (…) Perché avevamo poco tempo. E tutto nella vita ha un tempo e un senso. Siamo parte di un disegno. Volevamo molti figli, ed era giusto così, perché ognuno di loro ha un compito, ognuno ha da fare cose importanti per se stesso, per Dio, per gli altri. I  miei figli sono il dono più bello.

(Ibidem)

Le ultime parole del Commissario Calabresi a sua moglie

Dopo Mario nasce Paolo, e nel momento più tragico della sua vita Gemma è incinta del terzo figlio, che chiamerà Luigi in ricordo del padre che non ha mai conosciuto. Questo l’ultimo ricordo del marito:

Era uscito, poi era tornato indietro per cambiarsi la cravatta. Ci ha sempre tenuto molto. Quella mattina aveva pantaloni grigi, giacca scura con i bottoni di madreperla, e una cravatta di seta rosa. La cambiò con una bianca e mi chiese: come sto? Stai bene Gigi ma stavi bene anche prima, gli risposi. (…) Si, ma questo è il segno della mia purezza. E’ l’ultima frase che mi ha detto. La frase che mi ha lasciato.

(Corriere)

Gemma Calabresi: “Fu Don Sandro a dirmi: è morto”

Il commissario Calabresi muore alle 9,15 di quella mattina del 17 maggio 1972: mentre disarmato aspettava il tram per recarsi al lavoro, viene raggiunto dai suoi sicari che gli sparano alle spalle.

Arrivò Don Sandro, il prete che ci aveva sposati, e mi accompagnò dai miei. Fu Don Sandro a dirmi: è morto. Lo disse senza emettere suoni, solo con i muscoli della bocca. Me lo ricordo sempre quel volto che dice: è morto. (…) Mi accasciai sul divano. Mi sentivo distrutta, svuotata, abbandonata. Un dolore lacerante, anche fisico. Non so quanto tempo sono stata lì, con le mani nelle mani di Don Sandro. So che a un certo momento Dio è arrivato. (…) Dio era lì con me, su quel divano. Ne sono assolutamente certa. Ho sentito una pace profonda. Tutto, le persone che parlavano, piangevano, gridavano, tutto era ovattato, distante. (…) Il dono della fede arrivò allora. Proposi a Don Sandro: “diciamo un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino”. Ma non era roba mia. Io ero una ragazza di venticinque anni cui avevano appena ammazzato il marito. Era Dio che mi indicava la strada, che rendeva testimonianza attraverso di me. Lì ho capito che ce l’avremmo fatta, io e i bambini. Certo, sapevo che la vita  non sarebbe più stata la  stessa. Ma sentivo che non ero sola.

(Ibidem)

Gemma Calabresi: dal desiderio di vendetta alla scoperta del perdono

Nel necrologio Gemma scrisse le parole pronunciate da Gesù sulla croce: “Perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Ma la via del perdono non è stata così semplice, perché in lei era forte l’umano desiderio di vendicarsi.

L’unico momento di pace nella giornata erano i dieci minuti tra quando prendevo il Tavor e quando mi addormentavo, nel lettone accanto a mia madre, che papà mi aveva ceduto: ero tornata a vivere dai miei. In quei dieci minuti immaginavo di mettermi una parrucca rossa e infiltrarmi nei circoli dell’estrema sinistra, fino a quando non avrei trovato qualcuno che si vantava di aver ammazzato Calabresi. A quel punto avrei tirato fuori dalla borsetta la pistola. E gli avrei sparato. Se ripenso a quella ragazza e alla sua rabbia provo tenerezza. La cosa più importante della mia vita è stata questo cammino della pacificazione e del perdono, durato cinquant’anni.

(Corriere)

“Il perdono non si chiede, si dà”

All’osservazione del giornalista che gli assassini e i mandanti non le hanno chiesto perdono, Gemma afferma decisa:

Questo per me non ha alcuna importanza: Il perdono non si chiede, si dà. E’ il frutto del cammino iniziato su quel divano, da quel necrologio. Non è stato un percorso facile. A volte bastava una frase, un articolo, per farmi tornare indietro.

(Ibidem)

L’incontro tra Licia Pinelli e Gemma Calabresi

E’ solo nel 2009 che l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano riceve le due vedove al Quirinale: Licia Pinelli, moglie di Giuseppe la cui morte violenta in quegli anni terribili era stata attribuita al Commissario, e Gemma Calabresi. Questo il ricordo di quell’incontro:

Per decenni hanno tentato di contrapporci, di presentarci come nemiche. Invece eravamo solo due donne che si erano ritrovate vedove, lei con due figlie. Quando sono arrivata al  Quirinale era già là, seduta. Ci siamo date la mano. Poi si è alzata e ci siamo abbracciate. Io ho detto: finalmente. Licia ha risposto: peccato non averlo fatto prima.

(Corriere)

“Ho scoperto che la cosa più importante della vita sono gli altri”

Il libro si chiude con la riflessione che senza quella tragedia oggi Gemma sarebbe una persona peggiore. Come l’intervistatore ci chiediamo il motivo che viene così meravigliosamente spiegato:

Perché ho avuto tanto dolore ma anche tanti incontri, tanto affetto, tanto amore, tanta solidarietà, tanta gente che ha pregato per me. Ho scoperto che la cosa più importante della vita sono gli altri. Ho fatto un percorso inverso a quello dei terroristi. Loro disumanizzavano le vittime, illudendosi di uccidere dei simboli. Io li ho umanizzati, arrivando a capire che c’erano vittime anche tra loro.  

(Ibidem)

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