Alcune immagini dalle frontiere e dalle città ucraine bombardate. Volti, non discorsi retorici sulle donne. Possiamo fermarci a guardare, tentare una comunione fatta di silenzio e preghiera.
Impotenti a guardare
Qualsiasi parola oggi suona retorica rispetto all’urto della realtà. Non è giorno di festa, ma si può parlare di donne. Anzi si può guardarle. Da tanti anni l’8 marzo incombeva sulle redazioni giornalistiche portandosi dietro la frenesia di sfornare il contenuto più cool, più dirompente, sempre un passo avanti verso l’ultima frontiera (ideologica) del femminismo.
Le donne oggi sono davvero alle frontiere. Hanno valigie fatte alla svelta e le braccia sfinite per il peso dei bambini portati in braccio. Tace dunque la frenesia retorica dei discorsi astratti da giorno della mimosa e nessuno ne sentirà la mancanza. Possiamo stare in silenzio, a guardare brandelli di storia viva che sfilano sotto i nostri occhi muti. E possiamo anche vincere la tentazione di trovare il bandolo della matassa. Proprio ieri sera ho avuto uno scambio con un’amica che mi ripeteva affranta: “Mi sento impotente“.
Da quanto tempo non lo dicevamo? In questi giorni tante nostre presunzioni e pose recidive si sbriciolano, ci accorgiamo che non abbiamo commenti all’altezza del peso degli eventi. Sentirci impotenti è parte del contraccolpo da sentire al cospetto di questa ferita sanguinante che riguarda l’umanità intera.
Non c’è una guerra di cui noi siamo spettatori, ci sono uomini e donne del cui travaglio siamo compagni. Che sia travaglio anche per noi, è un’ipotesi già in direzione contraria alla guerra.