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Musica nei bunker e tra i profughi, una trincea di speranza

violinista e bimba nei bunker ucraini

NowNews|Youtube

Paola Belletti - pubblicato il 08/03/22

In Ucraina e nel mondo si moltiplicano i concerti e i tributi musicali improvvisati, nei rifugi, in piazza, davanti al cratere di una bomba. Una forma di resistenza e di consolazione tra le più universali.

All’alba sorgerò: bimba ucraina canta tema di Frozen in un seminterrato

Il soffitto è basso, le pareti vicine, si vedono tubi e fili elettrici. C’è molta luce artificiale e nessuna naturale.

Il video, ormai visto e rilanciato ovunque, riprende all’inizio la mano di una donna, la mamma di questa bimba di circa 7 anni, che sostiene la figlia in piedi su una sedia di plastica e la incoraggia, anzi la presenta come fosse una pop star (chi di noi non l’ha fatto per una figlia piccola?).

Ha i toni di una scena familiare, la stessa che abbiamo vissuto anche noi, bambini, quando qualcuno ci invitava a esibirci davanti a zii e cugine, e noi, timidi ma anche allettati dall’emozione di un palcoscenico casalingo, ci lasciavamo convincere.

E così Amelia inizia a cantare, emozionata ma capace, la hit che le bambine di tutte le latitudini hanno imparato e riproposto a mamme, papà, a fratelli pronti a prenderle in giro, ai follower di qualche account social: èLet it go, il brano cantato da Elsa di Frozen quando accetta il cambiamento che l’ha travolta e inizia ad esercitare il potere del ghiaccio che prima si sforzava di reprimere.

Tra i tanti che hanno guardato, ascoltato e si sono commossi per l’esibizione sotterranea di Amelia, ci sono anche loro, gli autori del brano. Ecco le loro parole, rivolte direttamente a lei:

 «Cara Bambina con la bella voce, io e mio marito abbiamo scritto questa canzone come parte di una storia sulla guarigione di una famiglia che soffre. Il modo in cui la canti è come un trucco magico che diffonde la luce nel tuo cuore e guarisce tutti coloro che lo ascoltano. Continua a cantare! Stiamo ascoltando!».

La Stampa

Il tweet è di Kristen Anderson-Lopez, la più autorizzata a riconoscere nella performance della piccola il significato di testimonianza e di promessa che si intuisce e che spiega la gioia, per quanto precaria, che esso ha generato in tutti. (Aggiornato il 9 marzo 2022)

E’ proprio brava questa bimba, si concentra, vibra addirittura un po’ con maestria la sua vocina limpida. Chi era impegnato in qualche altra occupazione, forse più un tentativo di ingannare il tempo in quello stato di attesa e paura, si gira e inizia a guardarla e alla fine tutti la applaudono e le urlano “bravo”! (l’italiano in musica si sa che mantiene la sua universalità).

Ha colpito e commosso anche noi, ma non dobbiamo accontentarci del carico emotivo che comporta; vi confesso che ho provato disagio nel compiacermi di questa scena tanto delicata e struggente.

Viralità e verità

Però, se consideriamo la condizione di queste persone, il pericolo reale e continuo che incombe su di loro, abbiamo non solo il dovere del rispetto e del pudore, ma anche quello di riconoscere una verità che spesso ricordiamo con velleità da profeti in pantofole: è la bellezza che sostiene la speranza, è la bellezza che salva dalla paura che tutto finisca nell’orrore, nella negazione, nel non senso. Quando manca tutto, si riparte da lì.

La musica, in particolare, esercita un’attrazione verso l’alto più immediata e accessibile di altre forme d’arte.

La piccola Amelia ha ottenuto un fugace successo, sul web, e il più classico, familiare imbarazzo degli applausi che le hanno tributato i suoi compagni di sventura. Vederla stringersi le mani e arrossire suscita struggente tenerezza. Ma ci conosciamo, siamo costretti spesso a digerire in fretta una storia forte per iniziare a masticarne un’altra, e poi un’altra ancora rischiando di non sentirne più il sapore, come quando si esagera coi pistacchi o le noccioline.

Amelia, invece, continua a rischiare la vita e a desiderarla normale, bella come le sembrava prima, immagino. Dove l’uscita di un nuovo film Disney è attesa con trepidazione, dove i vestiti azzurri di Elsa e le sue movenze teatrali e un po’ sexy sono da far proprie al più presto.

Eppure come l’ha cantata ora, forse, non sarebbe riuscita a farlo in un’altra condizione. E’ stato più brutto, più difficile e strano, a suo modo fuori luogo, ma più potente e vero.

Sono sotto terra, e letteralmente sono fuori dal loro luogo.

La violinista di Kharkiv

Così come anche gli altri musicisti testimoni e “partigiani di pace” in questi giorni di guerra: chi in piedi sul pavimento di un altro seminterrato, come la violinista

Vera Lytovchenko, ha abbandonato il suo teatro per raggiungere un seminterrato dove ha suonato il suo violino per gli altri residenti di Kharkiv che si riparavano dai bombardamenti russi. Il video della sua esibizione è molto condiviso sui social.

(…) Ora – ha aggiunto – siamo diventati una famiglia in questa cantina e quando ho suonato tutti hanno pianto. Ci siamo dimenticati della guerra per alcuni istanti e abbiamo pensato a qualcos’altro»

Corriere della Sera

La pianista di Leopoli

Chi seduta sulla propria valigia sotto la neve, come la ragazza dai lunghi capelli neri alla stazione di Leopoli, che accompagna la fuga dei profughi venuti dall’est del paese già sotto attacco, suonando non un requiem per la morte che tutti hanno in cuore, ma What a wonderul world per ciò che sembra negato e resta vero.

Il pianista siciliano al confine con la Polonia

Chi, come Davide Martello, il pianista di origine siciliane, vicino alla rete che separa Polonia e Ucraina col proprio pianoforte a coda caricato su un rimorchio e trasportato lì in 15 ore di viaggio dalla Germania.

Vuole arrivare a commuovere o almeno a scalfire un po’ il cuore di Putin (e quanti altri devono lasciarsi commuovere e convertire? chi tra noi non deve farlo in fondo?). Ci spera, ingenuamente, ma non senza fondamento.

La musica, sopralluogo di speranza

Sono tutti fuori luogo: non a casa, non in teatro, non a scuola, non a un concerto.

Ed è, questo modo di presidiare la paura dei profughi con la propria musica, una specie di sopralluogo: dove si consuma l’aggressione più feroce alla pace, alla speranza di una vita fatta di normali e degne fatiche, necessarie per costruire il proprio futuro, insegnare qualcosa ai figli, lavorare? Qui, tra chi è costretto a scappare dal suo posto, minacciato dai bombardamenti.

Il dolore delle madri, di tutte le madri

Ma attenzione, il rischio del colpo di spugna retorico e sentimentale è sempre a portata di tastiera e di lettura: l’Ucraina non è solo il paese delle mamme dolenti in fuga coi bambini piccoli in braccio e dei mariti che restano a combattere, spesso coi propri figli appena maggiorenni (una varietà di dolori, tocca a queste donne, davvero impressionante); è anche la terra della maternità surrogata per i ricchi occidentali, paradiso infernale dell’utero in affitto.

E quelle donne, quei bambini? chi li difende? nessuno, restano di competenza del mercato e come tali continueranno a essere trattati e “tutelati”. Beni acquistati da far giungere a destinazione.

La Russia, non solo Putin

Dall’altra parte del confine invaso non c’è solo Putin, c’è la Russia, composita nazione ancora irrisolta, e non uno sfondo statico e muto alle azioni di un manipolo di potenti. Ciò che noi occidentali consideriamo l’inizio della sua liberazione, il crollo dell’Unione sovietica nel 1991, è stato per loro anche lutto, perdita, rinnovamento del dolore per la fine di un impero, quasi come nel 1917.

Non ci stanno nemmeno a fare da colonna sonora alle azioni belliche del loro leader: sono migliaia i manifestanti pacifici che riempiono le piazze dall’inizio delle ostilità e già più di seimila gli arresti in questi ultimi 13 giorni, persino tra bambini e ultranovantenni. (Anche loro hanno mamme che soffrono e tra mamme, a volte, ci si capisce più facilmente...)

La musica da sola non salva nessuno, ma certamente comunica e suggerisce. Allude, almeno, a un ideale per il quale tutti siamo fatti, persino chi senza pietà causa morte, distruzione e miseria.

Dal bunker al palco di uno stadio pieno

La piccola, Amelia Anisovych,che avevamo conosciuto per la sua esibizione sotterranea e diventata subito virale ora è al sicuro in Polonia, dove è arrivata con la nonna e i fratellini.

Il 20 marzo scorso ha cantato, ora su un palco illuminato, per una folla commossa e pacifica, l’inno della sua Ucraina. L’occasione è stato il concerto ‘Insieme per l’Ucraina’ all’Atlas Arena di Lodz,. La sua vocetta era ferma e sicura fino alla nota finale, trionfale come un inno nazionale merita e la situazione ancora di più.

“Canto tutti i giorni, mattina, pomeriggio e sera, esibirmi dal vivo è sempre stato il mio sogno”, ha detto Amelia ai media locali.

Repubblica

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