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Né con i buoni né con i cattivi, ma con i testimoni

UKRAINE-RUSSIA-CONFLICT-AFP

ANATOLII STEPANOV / AFP

Annalisa Teggi - pubblicato il 10/03/22

Non cadiamo nel gioco divisivo delle propagande e osiamo riconoscere le voci dei testimoni, anime libere che da ogni parte della barricata non sono a servizio di un potere o di una ideologia, ma rischiano la vita per un bene che ha molti volti e una sola radice.

Da che parte stiamo?

Si riesce a far tornare i conti anche in mezzo a una guerra, da spettatori. Ci si informa a dovere, così da avere una ragionevole chiarezza su chi siano i buoni e chi i cattivi. Si piange per le vittime e ci si rimbocca le maniche con la solidarietà. Tutto questo non denota una posizione falsa da parte nostra, eppure è un abbaglio gigante stare dentro il terremoto degli eventi con l’illusione che basti comprenderli e dare una mano.

Una guerra non si comprende, e i conti non tornano. Eppure la cavalleria della comunicazione ci riempie di dati, analisi, ipotesi che addomesticano le domande irrisolte dentro corsie già predisposte di affanno mentale. A due settimane dall’invasione dell’Ucraina ci siamo già adagiati tra i solidi assi cartesiani dell’informazione: prima la cronaca della giornata, poi lo scenario internazionale, il commento dell’esperto di geopolitica, infine i reportage dalle frontiere e dai fronti caldi.

Ci preoccupiamo per l’approvvigionamento del gas, proviamo lo sconcerto per la tragedia dei profughi e ribadiamo la condanna a Putin, e tutto questo ci fa sentire che stiamo vivendo il presente. È davvero così?

UKRAINE WAR, KIEV

In fondo, la più classica delle domande – da che parte stiamo? – rimane elusa. Bisogna prendere una parte, ma non significa dividere l’umanità in due parti opposte e scegliere di stare coi buoni. Il gioco di ogni specie di propaganda è sempre quello di ridurre un conflitto a due parti, e allo schierarsi di qua o di là.

Prendere una parte significa oggi più che mai osare una voce non addomesticata da qualunque specie di assi cartesiani, ma disposta a rendere ragione di un mistero che la guerra non schiaccia ma, paradossalmente, fa nascere più robusto dal travaglio degli eventi: la libertà dell’uomo.

Non l’avremmo mai detto,

E invece siamo qui, di fronte a una sfida che ci impone di guardare in faccia la verità, innanzitutto la verità delle nostre responsabilità, del nostro non saper trovare una via alternativa tra la roboante indignazione che ti mette il cuore a posto ma non chiede a nessuno di cambiare, e l’interessato calcolo dei profitti e delle perdite, che gira la faccia dall’altra parte e preferisce un complice «quasi silenzio».

E questa via invece c’è: è quella del rischio, la via della libertà, che vuol dire sapere che esiste qualcosa che ti strappa dall’odio, che ti dà un luogo in cui sentirti accolto, in cui i nemici non hanno l’ultima parola, in cui il loro odio non diventa il tuo, per cui può valer la pena di morire e quindi di vivere e di chiedere una vita vera e pacifica anche per gli aggressori.

Adriano Dell’Asta, da La nuova Europa

Le propagande sono sempre false, ma ci sono i testimoni

Adriano Dell’Asta è docente di lingua e letteratura russa presso l’Università Cattolica Di Brescia e Milano ed è vicepresidente della Fondazione Russia Cristiana. È alla sua porta che ho bussato per chiedere un aiuto a guardare i fatti presenti. Le riflessioni che seguono sono frutto delle indicazioni di sguardo che ho ascoltato da chi ha una profonda conoscenza della storia, ma è anche legato a testimoni viventi sia ucraini sia russi.

Lo ringrazio di una correzione, innanzitutto.

Nella nostra chiacchierata telefonica ho posto una domanda, che sentivo urgente ma in effetti riduttiva: di quale voce deve essere custode il cristiano in questo tempo di guerra? E il professor Dell’Asta ha cambiato il soggetto. Non il cristiano, ma gli uomini liberi. E non c’è nulla di più cristiano di questa correzione, che mette al centro della scena una comunità allargata oltre il recinto strettamente religioso e fondata su ciò per cui Cristo è morto, la libertà di ogni uomo di difendere chi ama e affermare l’ideale umano su cui fonda la sua vita.

Questo criterio diventa il pilastro per abbattere i muri delle propagande, eretti da ogni parte attorno a noi. Se il gigante della propaganda russa è un mostro molto ben riconoscibile, anche da altri fronti incombe il tentativo pianificato di un’astrazione nemica della realtà. Anche certa informazione accurata e approfondita ha un retrogusto di propaganda quando ci convince che una guerra è una faccenda geopolitica di scontro tra nazioni ed equilibri da ridefinire a tavolino.

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Il criterio della libertà scardina questa riduzione.

Che tipo di responsabilità viene destata in me dall’evento tragico che è in corso? Questa è la domanda da tenere desta, in mezzo all’assedio di molte specie di propaganda. Nessuno di noi cambia la politica degli Stati, ma possiamo insistere nel ribadire che ogni uomo risponde della Verità. Un primo grande tassello della Verità è che quello che accade in una parte del mondo in guerra riguarda ciascuno di noi come persona, perché incide sulla vita delle persone.

Sul sito La nuova Europa, a cui collabora anche il professor Dell’Asta, si trova un discorso del metropolita Antonij Bloom del 1968, pronunciato al tempo in cui fu soffocata nel sangue la “primavera” di Praga.

Io invito tutti voi che vedete quanto sta succedendo nel mondo, a considerare ancora una volta quale debba essere la nostra posizione di cristiani, dove sia il nostro posto in questa lacerazione del tessuto da cui si riversano sangue, lacrime, orrore, e a comprendere che il nostro posto è sulla croce, e non semplicemente ai piedi della croce.

Da La nuova Europa

Non siamo, dunque, solo spettatori anche se il conflitto si consuma – non troppo – lontano da qui. “Sulla croce” significa che siamo chiamati in causa, a essere testimoni e a riconoscere le voci dei testimoni, quelle anime libere che da ogni parte della barricata non sono a servizio di un potere o di una ideologia, ma rischiano la vita per un bene che ha molti volti e una sola radice.

Il volto di chi rischia la vita per difendere la propria famiglia in Ucraina è parente del volto di chi in Russia rischia la vita per smascherare le menzogne di un potere oppressivo, e sono entrambi parenti del volto di chi liberamente e gratuitamente esercita la carità dell’accoglienza alle frontiere.

I russi non sono “i cattivi”

Prestiamo attenzione a come usiamo la parola “Russia” in questi giorni? Parlo per me, e mi accorgo di usarla per indicare sia la regione geografica che corrisponde alla ex Unione Sovietica, sia il popolo che vive entro quei confini, sia il governo di Putin. E questo madornale errore linguistico è una violenza.

Se riconosciamo come violento il gesto della propaganda di Putin di proibire l’uso delle parole “guerra” e “invasione”, altrettanto violento diventa il nostro sguardo se – sommariamente, senza prestarci troppa attenzione – raccogliamo in uno stesso calderone il popolo russo e il suo leader. Pur lontani dal conflitto restiamo testimoni, e lo siamo non tradendo i dati di realtà.

RUSSIA, PROTEST,

Da San Pietroburgo arriva la voce di una ragazza russa:

Non guardo mai la televisione. È inutile. La tv non è indipendente. Tutti i social media sono controllati dal governo. Le persone che si informano in televisione appartengono soprattutto alle generazioni più vecchie, come quella dei miei nonni. Loro credono che quello che sta succedendo sia giusto, che tutto vada bene. In realtà viene trasmesso solo il punto di vista del nostro presidente. Purtroppo gli credono in molti, io non posso ascoltarli altrimenti divento pazza. Su Instagram seguo delle persone che ora sono in Ucraina e anche diversi politici.

I miei nonni hanno vissuto in Unione Sovietica, in tempi in cui tutto era chiuso, non c’erano informazioni. Mia nonna, ad esempio, non ha gli strumenti per capire se una cosa è vera o falsa.

Da Sir

C’è una guerra in corso anche in Russia. Ed è il fronte più difficile da penetrare per noi. Troppo poco sappiamo di quel che accade all’ombra della repressione di Putin. Il professor Dell’Asta (che ha insegnato nelle università dell’Ucraina e della Russia, e dunque ha scambi diretti con amici e colleghi) mi confermava che l’opinione pubblica russa è spezzata. Difficile valutare le proporzioni perché è impossibile fare dei rilevamenti attendibili. Dal numero imponente degli arrestati possiamo però farci un’idea del dissenso. Il New York Times ieri parlava di 13 mila arresti di dissidenti russi dal 24 febbraio.

Tra le voci di guerra, questa è quella che fa più fatica a raggiungerci e che rischia di essere sempre più isolata. Anche i civili russi sono bombardati da una vessazione di parole tesa a fare un lavaggio del cervello ideologico (leggere qui per rabbrividire). E, come testimoniava la ragazza citata prima, molti non hanno la capacità di disinnescare quest’arma ideologica tipica dei regimi dittatoriali.

La propaganda interna russa è molto pesante e aggressiva nel far passare questo messaggio al suo popolo: con questo atto militare finalmente la Russia è di nuovo rispettata e temuta. Ma non è una strategia nata con Putin. Basti pensare che la narrazione ufficiale russa degli eventi del ‘900 non prende in considerazione la questione ebraica, ed esclude l’intero Occidente. Al popolo russo viene insegnato che tutta la Seconda Guerra Mondiale fu una faccenda tra Nazisti e il ‘grande’ Stalin.

Chi oggi protesta in Russia rischia la vita e sa di fare attrito a una forza colossale di menzogne radicate da tantissimo tempo. Anche questi testimoni sono una voce da ascoltare.

Per aiutare gli ucraini non basta etichettarli come “i buoni”

La solidarietà accorata con la tragedia immane vissuta dal popolo ucraino rischia di fare da sponda a una forma più subdola di propaganda. Anche rispetto a questo la soglia della nostra coscienza deve rimanere vigile. Mi riferisco alla tentazione di ridurre il popolo ucraino alla fazione dei ‘buoni’.

Isolare la loro esperienza nella gabbia di una fazione tradisce un dato di realtà enorme: il popolo ucraino e russo erano legati prima del conflittoe lo restano anche come vittime dentro la guerra. La tragedia che viene sottaciuta nelle cronache è che si rischia di avere dei soldati russi che sparano su parenti o addirittura su persone che sono stati loro amici.

La realtà delle persone che vivono l’esperienza della guerra è l’opposto di un’Ucraina nettamente separata dal nemico russo. Stiamo parlando invece di persone imparentate, di legami di amicizia quotidiani. In questo breve video, un ragazzo russo vissuto da sempre in Ucraina dice:

Ora vivo tra Kiev e Mosca. La mia vita è strettamente legata a questi due paesi. Ho sempre parlato russo in Ucraina e nessuno mi ha mai fatto un’osservazione o mostrato anche più piccolo segnale di ostilità.

Fa parte della testimonianza anche ribadire questa evidenza di legame tra popoli che leggiamo come nemici solo sui titoli dei giornali. Il gioco sottile di una propaganda apparentemente innocente passa da un’informazione che riduce i fatti a un conflitto tra due parti, ed esige da noi di schierarci di qua o di là.

Un piccolo esempio conclusivo. Siamo inondati di video che documentano episodi eroici e commoventi dentro il caos della guerra. Con un cellulare in mano si fa la storia, o si raccontano storie (cioè: ce la si racconta)? Oggi tra le notizie virali troverete un video che riguarda due coniugi ucraini di Voznesensk. Il video ci porge delle immagini, i titoli e i commenti deviano su un’interpretazione sensazionale: coppia ucraina disarmata caccia il nemico russo da casa. La narrazione è perfettamente impacchettata e solletica la nostra emotività.

E’ una testimonianza? Il video sì, e noi possiamo guardarlo da uomini liberi (non spettatori inerti di fronte alle informazioni) che vedono un incontro, lì dove poteva esserci morte e basta.

Perché è stato tolto dal racconto di questa storia l’elemento che riguarda la libertà dei soldati russi di non sparare e di indietreggiare? A cosa serve una narrazione che fomenta la logica stritolante delle fazioni e tradisce quello che gli occhi vedono (la testimonianza di un incontro, per quanto teso)?

Perché quel soldato spara in aria e non contro la donna? Perché questi nemici si parlano senza urlare e perché sono così vicini mentre raggiungono il portone? Aprendo queste domande si rende giustizia alla voce di una guerra fratricida (tra due popoli legati). Quello che questo video documenta è l’esatto opposto dalla logica di guerra “buoni contro cattivi”. Anche da lontano – sul nostro comodo divano – restiamo testimoni, con l’anima da risvegliare continuamente dal torpore di storie che tradiscono la storia.

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