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Imparare dai santi come fare la pace: alla scuola di Francesco e Chiara

SAINT CLARE AND FRANCIS OF ASSISI

Wolfgang Sauber | CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Bret Thoman, OFS - pubblicato il 18/03/22

I santi di Assisi hanno conosciuto in prima persona l'esperienza della guerra. Come hanno promosso la pace?


“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”

Matteo 5, 9

Mentre in Europa orientale infuria la guerra, molte persone di fede si stanno volgendo alla preghiera alla ricerca di risposte. In periodi come questo, può essere utile guardare all’esperienza dei santi.

San Francesco e Santa Chiara d’Assisi hanno vissuto otto secoli fa, ma anche la loro vita è stata colpita dalla tragedia di guerra e violenze.

Nel 1215, Papa Innocenzo III promosse il Quarto Concilio Lateranense, nel quale convocò una quinta crociata. San Francesco era probabilmente presente al concilio, e sentì l’appello. Dopo due tentativi falliti, nel 1219 arrivò in Terra Santa, ma era un tipo di crociato diverso. Non arrivò con le armi. Il suo piano era tutt’altro.

Il resoconto della sua impresa viene dal suo primo biografo, Tommaso da Celano. Scritto nel 1228, solo due anni dopo la morte del santo, venne commissionato dal Papa come prima storia ufficiale della vita di San Francesco.

Secondo Tommaso, Francesco “non riusciva a non mettere in pratica in modo fervente il santo impulso del suo spirito”. Nel “tredicesimo anno dalla sua conversione” (1219), si recò in Siria via nave e avanzò coraggiosamente con un compagno di cui non è noto il nome sulla linea di battaglia per confrontarsi con il “Sultano dei Saraceni”.

Non sono registrati dettagli dello scambio, Tommaso indica che il sultano venne colpito dalla testimonianza di Francesco, dal suo contegno e dal disdegno delle ricchezze, e riconobbe che in lui c’era qualcosa di unico. Il resoconto si conclude con la dichiarazione per cui Francesco non ricevette l’agognato martirio, anche se suggerisce che Dio stava aspettando il momento per la sua successiva recezione delle stigmate.

Anche San Bonaventura, teologo francescano e in seguito Ministro Generale dell’ordine, scrisse una biografia di San Francesco nel 1263. Il racconto di Bonaventura rispecchia quello di Tommaso, ma se ne differenzia nell’aggiungere che Francesco sfidò i chierici del sultano in una prova del fuoco, “di modo [il sultano] riconoscerà quale fede merita di essere ritenuta più santa e più giusta”.

Se il desiderio di martirio di Francesco potrebbe oggi sembrare antiquato a qualcuno, è coerente con la figura storica di San Francesco. Il santo era così devoto a Cristo crocifisso che cercava di imitarlo in ogni modo, perfino abbracciando la “croce” del martirio.

Quando Francesco si convertì alla vita di penitente e marcò la sua tunica con una croce, divenne un “portatore della croce” come i crociati, che indossavano una croce sulla loro armatura. Anche se lui depose le proprie armi, era comunque un guerriero nel cuore, e combatteva una crociata spirituale. Le sue armi erano ora la Parola e la croce, la sua armatura la tunica penitenziale.

È improbabile che Francesco abbia sostenuto i crociati, visto che non li menziona mai nei suoi scritti. La sua esperienza personale in battaglia prima della conversione e sua rinuncia alle armi sono poi significative. Il suo percorso di vita mostra chiaramente che aveva rifiutato qualsiasi forma di violenza. Era diventato pienamente non violento.

Anche se il sultano non si convertì e Francesco non venne martirizzato, l’incontro portò a una svolta significativa. Secondo Tommaso, Francesco venne ricevuto “molto amabilmente” dal sultano, che “lo onorò per quanto poteva, offrendogli molti doni”. Due di questi – un corno d’avorio e un tappeto per la preghiera islamica – sono conservati ancora oggi nella basilica di San Francesco ad Assisi.

Cosa più importante, dopo l’incontro la testimonianza di Francesco portò il sultano a trasferire l’amministrazione dei siti cristiani nel suo territorio a Francesco e al suo ordine. Fu un gesto straordinario, perché il il passaggio sicuro dei cristiani in Terra Santa era uno dei primi motivi per i quali erano state indette le crociate. I Francescani continuano tuttora a prendersi cura della Terra Santa.

Chiara, da una famiglia di cavalieri

Anche Santa Chiara d’Assisi crebbe in un contesto segnato dalla violenza. Dopo una rivolta nel 1199, Chiara, ad appena 8 anni, venne esiliata a Perugia con altre nobili famiglie di Assisi. Suo padre, i suoi zii e i suoi cugini erano tutti cavalieri. È probabile che avessero esperienze di combattimenti. Quando uscivano, erano armati di spada. L’armatura, che includeva lance, scudi e asce da guerra, era un elemento fisso del castello in cui Chiara crebbe.

A 18 anni, Chiara ebbe un’esperienza di Gesù. Anche lei pose al Signore la stessa domanda del giovane ricco che Gli aveva chiesto cosa dovesse fare per avere la vita eterna. Lei, però, ascoltò, e fece quello che le aveva detto: “Va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi” (cfr. Mt 19, 16-30; Mc 10, 17-31; Lc 18,18-30).

Nel corso della sua vita, Chiara rifletté e meditò sulla crocifissione e su quello che il Signore aveva sacrificato per lei. Desiderava imitare il Cristo crocifisso e offrire se stessa, come Lui, come sacrificio per salvare altri. Nel suo processo di canonizzazione, tre consorelle testimoniarono che Chiara nutriva il desiderio di morire martire in Terra Santa.

Ebbe la sua opportunità di martirio verso al fine della vita, ad Assisi, quando un esercito di soldati saraceni cercò di attaccare San Damiano. 

Era il 1240, l’ora terza (9.00), quando apparvero improvvisamente, “sciamando come api”. Anche se le religiose erano terrorizzate, Chiara disse loro di non temere e di avere fiducia in Cristo, che le avrebbe difese.

Prendendo a cuore le parole di Gesù “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13), disse alle consorelle: “Voglio essere il vostro riscatto; se i nemici dovessero entrare [a San Damiano], mettetemi davanti a loro”.

Chiara non sapeva cosa le sarebbe successo, e chiese ai frati di portarle la Santa Eucaristia, posta in una pisside d’argento all’interno di una scatola d’avorio. Davanti alla porta del refettorio, Chiara si prostrò davanti al Signore nell’Eucaristia mentre aspettava quello che riteneva sarebbe stato il suo martirio.

Quando i Saraceni sfondarono il cancello ed entrarono nella clausura, si fermarono, disarmati da quella donna misteriosa e velata che non aveva paura di loro. Chiara possedeva una forza infinitamente più grande di loro, dotati di armi e forza fisica.

Santa Chiara stava mettendo in pratica quello che è forse il mandato più impegnativo del Vangelo: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica” (Lc 6, 27-29).

I Saraceni erano così disorientati che se ne andarono, e quel giorno non ci furono violenze.

La violenza non può essere contrastata con la violenza

Nel loro approccio alla costruzione della pace, San Francesco e Santa Chiara non hanno contrastato la violenza con altra violenza, ma hanno cercato di imitare Cristo.

Quando Gesù è stato arrestato, ha rimproverato Pietro che aveva cercato di difenderlo dicendo: “Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada” (Mt 26, 52).

In seguito, durante il suo interrogatorio con Ponzio Pilato, ha affermato: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18, 36).

Cristo chiarisce che il Suo Regno è celeste, ultraterreno. Anche se la Chiesa cattolica permette la legittima difesa (cfr. CCC 2263-2267) e la “guerra giusta” in alcune circostanze (cfr. CCC 2307-2317), il modo in cui San Francesco e Santa Chiara hanno cercato di imitare Cristo mostra un modo radicale di affrontare la guerra e la violenza.

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Nel suo libro A Knight and a Lady: A Journey into the Spirituality of Saints Francis and Clare, Bret Thoman scrive della pace, del peacemaking e di altri elementi della spiritualità francescana.

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