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Una notte insieme ai senzatetto in Piazza San Pietro

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© Associazione Missione Solidarietà

Ary Waldir Ramos Díaz - pubblicato il 23/03/22

I volontari di “Missione Solidarietà” e altri gruppi percorrono le vie di Roma per assistere i senzatetto e distribuire cibo e coperte. Ary Ramos di Aleteia li ha accompagnati una notte...

La chiesa di Santo Spirito in Sassia, adiacente a Piazza San Pietro in Vaticano, è il punto di inizio dell’itinerario dell’associazione “Missione Solidarietà”. Il messaggio del Papa per la Quaresima accompagna i volontari: “Non stanchiamoci di fare il bene”.

È giovedì, l’umidità smorza un po’ il freddo invernale romano. I volontari si danno appuntamento prima del tramonto.

Una gigantografia del Cristo della Divina Misericordia campeggia sulla facciata della chiesa, e veglia sulla preghiera che sta per iniziare.

Sul sagrato del santuario del XII secolo, a semicerchio, sono riuniti 10 uomini, giovani e di mezza età, e due sacerdoti, che tuttavia non dirigono la preghiera. Lo fa un giovane laico, capelli neri corvini e carnagione chiara.

La preghiera si svolge prima di iniziare ogni missione nelle strade vicine alla basilica di San Pietro. Angelo Romeo, 42 anni, siciliano, sociologo e professore universitario, recita la preghiera scritta insieme a vari senzatetto:

Maria, madre della vita, ascolta la preghiera di chi vive nella disperazione, di chi si sente escluso, lontano da tutti, lontano da Gesù.

Maria, madre degli emarginati, degli indigenti, delle donne violate, del giovane tossicodipendente, tendigli la mano, stringila forte e portala da Gesù.

O Maria, madre d’amore, non stancarti mai di proteggerci e di donarci un sorriso.

Maria, madre dei poveri, prega per noi.

Ave Maria…

I volontari indossano abiti sportivi. I due sacerdoti si riconoscono per il collarino, e uno di loro, di origine belga, porta un mantello e un berretto di lana neri. Tutti indossano poi dei gilet blu per essere riconoscibili.

I volontari non sono sempre gli stessi, e oggi ce ne sono due nuovi. Al centro del circolo, mentre pregano, quasi come il pane che si spezza e si dona, spiccano le borse, i thermos di alluminio e i carrelli della spesa colmi di cibo.

Giovanni, un senzatetto romano, si avvicina in silenzio per non interrompere la preghiera. “Amen!”, dicono in coro. “Angelo, hai portato una merendina?”, grida Giovanni, 60 anni o più. Dice che ha già mangiato, indicando la mensa dall’altro lato della strada, ma che aveva voglia di qualcosa di dolce. “Mi dispiace, Giovanni, abbiamo panini o un pezzo di pizza”. “Angelo! Sai che sono diabetico”, risponde lui ironico.

Giovanni chiede ai volontari notizie di altri senzatetto. Sembra che abbia fame non di cibo, ma di essere ascoltato.

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Un giovane di colore, congolese, si avvicina timido. Sente che lo chiamano per nome, “Samuel”, e allora accelera il passo e chiede un panino. I volontari gli offrono anche tè caldo.

I volontari riguardano ancora una volta le provviste: “Tutti devono ricevere una porzione”. Camminano con passo fermo, senza fretta, anche se prima dell’alba c’è un coprifuoco implicito.

Il sacerdote belga è stato ribattezzato da un senzatetto con gli occhiali dalle lenti spesse, il fisico massiccio e l’accento siciliano “il prete della foresta di Sherwood” per il suo abbigliamento.

Un altro volontario intercetta la carovana. “Spesso il tempo è la cosa più preziosa da donare”, dice l’uomo, un robusto italiano 40enne, che lavora nell’amministrazione all’ospedale Bambino Gesú.

“Sento la gioia di aiutare”, spiega Fabrizio, 43 anni, disoccupato, dicendo che questa è l’esperienza di volontariato più bella che abbia mai fatto. Ama preparare il cibo, pregare e servire il prossimo.

“Prima mi sentivo un numero che consegnava cibo agli altri”, dice, aggiungendo che ogni settimana qualcosa in lui si rinnova. “Non facciamo tutto questo per noi, ma per gli altri”, aggiunge con gli occhi che brillano.

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L’associazione è nata 3 anni fa, ma il gruppo di amici e volontari percorre le strade di Roma da 15. Angelo ha iniziato quasi da solo, con una manciata di studenti universitari, e ora non ricorda una notte in cui non abbia avuto il sostegno di altri compagni di cammino.

Un gruppo di senzatetto si rifugia sulla scalinata esterna dell’edificio in cui ha sede la Sala Stampa della Santa Sede. Di giorno, da lì si lanciano i messaggi del Papa, come quello della Quaresima di quest’anno: “Non stanchiamoci di fare il bene” (Gal 6a 6,9-10a). 

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Il Vaticano e le sue organizzazioni benefiche gestiscono strutture che includono rifugi notturni, bagni, mense e una clinica, ma servono volontari. Il Papa ha chiesto il loro aiuto perché non si verifichino più tragedie come quella di Edwin, un nigeriano di 46 anni morto di freddo vicino a Piazza San Pietro nel gennaio 2021.

“La Quaresima è un seme, e sarebbe splendido che anche una volta terminata potessimo tutti portare la carità in ogni angolo. Credo che donarsi gratuitamente incarni la legge del Vangelo”, commenta Angelo mentre cammina con uno zaino pieno di panini che ha preparato.

“Le persone in strada hanno innanzitutto un bisogno speciale di rapporti”, afferma. “C’è molta solutudine. È quindi importante non rispondere solo alle necessità materiali, donare un piatto di pasta… Hanno bisogno di essere considerate. Madre Teresa insegna che il mondo sta morendo di solitudine, di mancanza d’amore e di ascolto”.

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L’associazione ha l’obiettivo di promuovere l’amicizia sociale di cui parla il Papa, vissuta da volontari e senzatetto. “Siamo un gruppo di amici che fa visita ad altri amici, persone che ci aspettano, che altrimenti soffrirebbero non solo il freddo e la fame, ma anche solitudine e indifferenza”.

I volontari entrano in una baraccopoli sotto un ponte e salutano come vecchi amici che entrano in punta di piedi quanti passano la notte tra tende e cartoni, chiamando per nome gli abitanti di questi luoghi di fortuna.

Dietro ai gesti di questi uomini, da entrambe le parti, cresce una fraternità che riscalda la notte.

Da un lato, la mano tesa di chi offre un piatto di riso con verdure perché sa che sei musulmano, dall’altra quella che si apre per ricevere senza alcun sospetto e la voce che offre un “Grazie” austero ma sentito. E gli sguardi si incontrano.

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Ahmed è del Bangladesh, Pedro del Perú, ma fame, sete e freddo perdono la cittadinanza in questa notte in cui si ascolta un’eco silenziosa a ogni passo di questa carovana di uomini tra uomini senza passaporti e dogane: “Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito” (Mt 25, 35).

La marcia dei volontari procede a zigzag per Via della Conciliaizone, di giorno piena di turisti e fedeli di tutto il mondo.

“Angelo, hai portato la pasta?” “Certo, tu mangi solo quella!”, risponde Angelo. “Bene!”, grida un anziano che continua a raccontare le sue esperienze ai volontari. Un’anziana italiana ben vestita riceve una tazza di tè. È nuova nella piazza, è stata da poco sfrattata.

Dall’altro lato della strada è parcheggiato un food truck per senzatetto. È un’idea di un’altra associazione, il Progetto Arca onlus, per servire chi non ha una casa e durante la pandemia non poteva accedere a una mensa.

Un giovane africano grida forte: “Niente telecamere, solo cibo”. Vari amici della strada si lamentano con Angelo, che li tranquillizza. Uno di loro, italiano, dice con ironia che giornalisti e cineoperatori li filmano come se fossero animali da circo. 

Angelo e i suoi amici dell’associazione “Missione solidarietà” sono orgogliosi del rapporto che hanno con ogni persona che aiutano. Perla, una donna dell’Europa dell’Est, scherza e chiede scarpe nuove per la prossima volta che passeranno.

Nella piazza adiacente al Passetto di Borgo e poco distante dal colonnato del Bernini, due anziani italiani accolgono i volontari con grande gioia. Fanno tacere il loro cane da guardia e offrono le loro sedie di legno.

Più avanti Paweł, senzatetto polacco, spiega ai volontari che con Vladimir Putin non si deve negoziare. “È un dittatore”, dice. Paweł è seduto davanti alla sua tenda con un cellulare in mano, e spiega ai volontari la geopolitica.

È tardi, e vari senzatetto si sono già stesi tra cartoni e ripari di fortuna. Piazza San Pietro sembra un quadro ornato di luci. C’è silenzio. I carrelli della spesa viaggiano più leggeri, e anche gli zaini pesano meno.

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La risata di Mario, senzatetto rumeno, risuona nell’oscurità. Alla fine all’improvviso pone una domanda che sorprende (ma forse non i volontari): “Recitiamo un Padre Nostro?” Tutti obbediscono, e si riuniscono a semicerchio per pregare insieme a Mario, che dirige la preghiera.

Dopo aver salutato Mario, i volontari si muovono rapidamente e con meno ordine per distribuire le ultime provviste ai senzatetto. Ci sono alcune donne con accento slavo. La polizia di turno vigila e offre loro sicurezza.

Dopo che tutto il cibo è stato consegnato, i volontari si mettono a cerchio davanti a Piazza San Pietro per concludere la missione. La parte destra del colonnato del Bernini sembra abbracciarli. Quasi tutti hanno lo stesso atteggiamento: testa abbassata e mani unite in preghiera.

Questa volta è il sacerdote italiano del gruppo a dirigere la preghiera, che inizia con l’Ecclesiaste, capitolo 3: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante”.

Il sacerdote sottolinea che per Dio c’è un tempo per tutto, ma non un tempo “per non amare” e “per non donarsi agli altri”. Mentre si recita il Padre Nostro, una calamita invisibile attira un’intera famiglia di pellegrini, che si unisce alla preghiera notturna e silenziosa. Cade la notte, senza grande clamore. Quegli uomini sembrano fratelli che non si sono stancati di fare il bene. Al contrario, sembra che si siano portati via un tesoro, e non ci sono parole che un giornalista possa usare per descrivere questa realtà.

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