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Famiglie missionarie a km0: cambiare il mondo rimanendo in parrocchia

FAMIGLIA, CHIESA, FIGLI

Rawpixel.com | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 06/04/22

Mantengono il loro lavoro e fanno una vita normale, ma abitando in parrocchia. Sono famiglie che decidono di portare Cristo ai confini del mondo, cioé a chi è vicinissimo ma sperduto.

In missione a casa propria

Dici ‘missione’ e pensi a coraggiosi paladini della fede che vanno in luoghi sperduti, ai confini del mondo. Eppure i confini del mondo sono qui, dove sembra che un saluto tra condomini sia una fatica degna di Ercole o ci s’ignora aspettando i figli all’uscita di scuola. Sperduti lo siamo senza andare lontano, tra vicini di casa e vita.

La missione a km0 è un’intuizione preziosa in seno alla chiesa. Ne sono venuta a conoscenza leggendo il bel contributo di Elisa Calessi su donne chiesa mondo di aprile, in cui racconta l’esperienza di molte famiglie che scelgono di abitare in parrocchia per affiancare il sacerdote e arricchire l’esperienza di fede e comunità. Sono andata a sbirciare nel sito che raccoglie le esperienze delle Famiglie missionarie a km0. Si raccontano così:

La coppia mantiene il proprio lavoro e la famiglia i propri ritmi (scuola, lavoro, occupazioni settimanali), ma abita con stile di apertura e di ascolto gli spazi parrocchiali.

Il primo compito della famiglia è quello della presenza “sulla soglia” in uno stile di accoglienza e apertura a chi bussa, soprattutto per chi si sente lontano dalla vita delle comunità parrocchiali. In base alle esigenze della comunità, vengono scelti compiti di animazione pastorale, non a sostituzione dei laici già in parrocchia, ma a sostegno di una presenza laicale sempre più lieta e significativa. 

Da Famiglie missionarie a km0

Oggi mi cimento in una veloce incursione nell’avventura di queste famiglie, riproponendomi poi di fare quel che dicono, andare a bussare alle loro porte, per condividere altre testimonianze, sorprese, scoperte dalla loro viva voce.

Un chiesa vicina, plurare, fraterna

Sono famiglie normali, che vivono la loro normalissima vita, fatta di lavoro e figli, semplicemente spostandosi a vivere in parrocchia. Si tratta di un’ipotesi missionaria presente soprattutto nella diocesi di Milano, ma che si sta diffondendo anche in altre città. Così sintetizza Elisa Calessi:

A Milano oggi sono 32 famiglie. Ma ce ne sono a Treviso, Padova, Verona, Torino, Reggio Emilia, Bologna, Firenze, Ancona. E ad avvicinarsi sono anche famiglie mai partite per l’estero. Non sono sagrestani. Hanno un lavoro esterno. Pagano le utenze, spesso anche un affitto. Ovviamente partecipano alla vita della parrocchia. Ma più dei ruoli, la novità è la loro stessa presenza. In alcuni casi, è una fraternità allargata.

donne chiesa mondo

Ma perché? L’impulso iniziale a questa vera e propria vocazione è venuto da alcune famiglie di ritorno da missioni all’estero. L’ipotesi era quella di vivere la stessa fraternità anche a casa propria. La conversione non riguarda solo i popoli lontani dalla fede cristiana, ma ciascuno di noi, anche fedeli e anche praticanti. E la presenza di queste famiglie non è un’invasione di campo rispetto al compito del sacerdote, è proprio un lavoro di squadra per portare a tutti il volto di una chiesa che è casa (coi rumori di stoviglie e risate e pianti in sottofondo).

Il km0 è una forma virtuosa di valorizzazione del territorio, vale per l’agricoltura e vale per le persone. Fa fiorire le presenze. Che una parrocchia possa essere associata al volto accogliente e conviviale di madre, padre e figli può essere per molti occasione di curiosità e avvicinamento. Si superano certi pregiudizi sull’austerità del mondo ecclesiastico, si arriva alla – meravigliosa! – “pastorale del caffè”.

«La vita in parrocchia —spiegano — non è un “dopo lavoro”. Cerchiamo la profondità di una fede condivisa, partendo da occasioni di vita normale». La chiamano la “pastorale del caffè”, nel senso che anche un gesto così semplice può diventare un’occasione: «Nel clima di famiglia è più facile conoscersi, confidarsi e pregare». La domenica luogo di missione è il sagrato: «Incontriamo le persone dopo la messa e condividiamo momenti di vita, a volte apparentemente insignificanti, ma sono queste attenzioni che ci aiutano a diventare familiari gli uni agli altri».

Ibid.
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A Cana, con Zaccheo, insieme a Marta e Maria, i momenti e i luoghi prediletti da Gesù per cambiare il cuore dell’uomo erano domestici e conviviali. Dio cambia il mondo offrendo un pezzo di pane, lavando i piedi, versando vino. Facendo ciò che ogni madre e padre fanno, e riempiendolo del senso eterno per cui ciascuno di noi presidia un luogo piccolo e normale.

Preparare un incontro vero con Dio

Entrare nelle storie di queste famiglie squaderna davanti agli occhi piccole scene di ordinaria carità, feconde come la pioggia fine che bagna in profondità i campi. Noi badiamo molto alle tempeste rumorose, che passano in fretta. Ma ciò di cui ha bisogno la terra è la pioggia silenziosa, un amore versato giorno per giorno a chi è vicino (e però si sente lontano da ogni forma di accoglienza, speranza, conforto).

Sul sito di Famiglie missionarie a km0 sono raccolte numerose testimonianze. Mi ha colpito la storia della famiglia di Sara e Max che abita nella parrocchia di Sant’Antonio Maria Zaccaria a Milano:

La presenza dei figli facilita e le relazioni si sono strutturate sulla base di scambi di aiuti, di conoscenza, scoprire dove abitavamo portava stupore, dalla faccia si capiva che si chiedevano se eravamo bigotti….

Questo intessere relazioni ha permesso negli anni l’avvicinamento di famiglie di varie provenienze, molte coppie di conviventi o sposate civilmente. Accoglierli in casa nostra e poi in oratorio ha portato a creare le occasioni di incontro con le persone della comunità in primis don Martino. Ha permesso di farli sentire accolti e non giudicati, abbiamo semplicemente preparato la strada per quel vero grande incontro con il Signore.

Alcune di queste coppie hanno chiesto il riconoscimento del loro matrimonio civile alla Chiesa, alcuni hanno fatto recuperare gli anni di catechismo perduti ai figli, c’è chi è diventata catechista… certo magari non tutti si sono lasciati incontrare nel profondo, qualcuno è ancora sulla difensiva, ma intanto c’è. E’ qui.

Da Famiglie missionarie a km0

Si deve sapere che esiste questa realtà. Mentre m’immedesimavo nel racconto di Sara e Max, pensavo ai nostri quotidiani in cui sono sempre troppe le notizie di tragedie familiari. Omicidi, suicidi, liti, tradimenti, questi ormai sono gli argomenti correlati alla famiglia nel pensiero comune. Ma l’antidoto è già piantato nel tessuto della vita, anche se non fa rumore quanto un caso di cronaca nera – e va bene così. La famiglia può curare la famiglia: queste piccole chiese domestiche che lasciano aperta la porta, offrono un caffé sulla soglia e ascoltano sono il segno indubitabile che Dio si fida e incoraggia ‘i suoi operai’. L’alternativa alla disperazione di massa è proprio una speranza a portata di cortile, incontrata sui sagrati, dalla voce materna e paterna.

WOMAN, SHADOW, HOUSE

Il prete non è un single

E il sacerdote cosa dice? Che ne è del suo ruolo quando un nucleo familiare ‘invade il suo regno’? Una prima risposta può essere semplicemente tecnica. Sappiamo che ci sono pochi parroci rispeto al bisogno reale, e su quelli che ci sono gravano incombenze mastodonitiche. Spesso a una sola figura sacerdotale vengono affidate più chiese, che non può seguire con la dedizione che vorrebbe. I missionari a km0 sono, perciò, anche alleati al sacerdote nel presidiare i quartieri, o fette di territori che altrimenti sarebbero sguarnite.

Ma questa è solo una risposta parziale. L’opera di Dio non si riduce a ruoli e posizioni, mette sempre al centro il destino delle anime ed è bellissima la testimonianza offerta da un parroco, che afferma di essere cambiato grazie alla compagnia di una famiglia nella sua chiesa.

Anche per un sacerdote vivere insieme a una famiglia è un’esperienza che cambia la vita. «In questi vent’anni — dice don Alberto — ho imparato a non pensarmi come il capo indiscusso della parrocchia, a capire che la comunità non è mia, ma del popolo cristiano». La fraternità tra vocazioni diverse «aiuta a riscoprire la propria. E a chi ci incontra si dà un’immagine di chiesa familiare». Peraltro, è anche un modo per vincere la solitudine dei sacerdoti. «La prima pagina della Bibbia dice che non è bene che l’uomo sia solo. Vale anche per noi. Il celibato non è sinonimo di isolamento. Non siamo single. Io cerco di viverlo come opportunità di rapporti liberi e profondi. La fraternità è la forma più normale per vivere il celibato». Una piccola rivoluzione che allarga, con la forza delle cose vere.

da donne chiesa mondo

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