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Cattelan chiede a Gianluca Vialli: c’è felicità nel dolore?

ALESSANDRO CATTELAN, GIANLUCA VIALLI

Netflix Italia | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 08/04/22

Nella serie Netflix "Una semplice domanda" Alessandro Cattelan esplora il tema della felicità. Parlando del suo tumore, Vialli gli ha confidato: "La malattia non è esclusivamente sofferenza, può insegnare molto di come sei fatto".

Sto seguendo con curiosità e crescente sorpresa la serie Netflix Una semplice domanda, ideata e condotta da Alessandro Cattelan.

La felicità, un padre e una figlia

Il format si basa su uno spunto suscitato a Cattelan dalla figlia: Papà, cos’è la felicità?. La domanda è semplice, come recita il titolo della serie. Verrebbe anche da dire che è essenziale e irrinunciabile. L’uomo se lo chiede da sempre, cosa cambia quando è un figlio a esigere una risposta?

L’ipotesi di questa serie – vera o fittizia che sia (ma il mio istinto propende per l’autenticità) – è un padre che si mette in viaggio per dare una risposta alla figlia, che sia radicata nelle esperienze umane. Questo fa la differenza tra una speculazione astratta e un’urgenza autentica. Essere interrogati dai figli ci spinge, ci urge a non accontentarci di ipotesi e illusioni. E allora si va on the road, Cattelan si mette a cercare, incontrando amici famosi e gente comune.

Tutte le volte che vedo un uomo impegnato a porsi domande che vanno al cuore della nostra struttura umana e a stare dentro il tumulto delle risposte possibili, mi ritorna in mente il discorso di San Paolo all’Aeropago:

Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi.

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Anche per me è stato così, ho brancolato e sono andata a tentoni finché si è mostrato vicino a me quel fedele compagno di viaggio che è Dio. Vale per tutti, Dio è a un passo da chiunque stia dentro la vita con l‘inquietudine solo ed esclusivamente umana, ma quel passo per il vero incontro con Lui deve farlo la nostra libertà.

3 avversari: te stesso, il campo da gioco e gli altri

Lo sguardo dei figli come criterio di azioni e scelte è stato al centro anche della puntata intitolata C’è felicità nel dolore?, in cui Cattelan ha incontrato su un campo da golf GianlucaVialli.

Hanno giocato assieme, la pallina da mandare in buca era bella grossa: la sofferenza fisica tradisce l’ipotesi di essere felici?

Il tema della malattia e della morte non sono stati aggirati o edulcorati, e la leggerezza del contesto (battute, giochi) non era affatto fuori luogo rispetto alla profondità del succo del discorso. Vialli infatti ha detto:

La malattia non è esclusivamente sofferenza, ci sono dei momenti bellissimi. […] La malattia ti può insegnare molto di come sei fatto, ti può spingere più in là rispetto al modo superficiale di vivere. Io la considero anche un’opportunità.

Senza dubbio è la voce di un atleta, abituato a tirar fuori il meglio di fronte all’avversario. Si dice ce la giochiamo, ed è un modo di stare dentro gli eventi scovando risorse nelle avversità, non cedendo centimetri preziosi anche quando si fa dura. Ma la sua ipotesi resta vera anche per chi piomba dentro la malattia senza allenamento alcuno. Il campo da gioco del paziente non è fatto solo di sofferenza, è anche un tempo di scoperta di sé e quindi il paradosso del “ci sono dei momenti bellissimi” suona assai esperienziale più che illusoriamente motivazionale.

Affetto da un tumore al pancreas, che pareva sconfitto nel 2020 ma poi è ricomparso, l’ex-calciatore della Samp e della Nazionale italiana ha scelto di condividere la chiacchierata con Cattelan giocando a golf. Ogni sport è metafora della vita, sì. E il golf potrebbe essere considerato molto esclusivo. Vialli però sottolinea l’elemento che preferisce di questa disciplina. Ci sono 3 avversari da vincere: te stesso, il compagno che sfidi e anche il campo da gioco.

A volte è proprio la logica dell’avversario, delle avversità, a costringerci a vedere che siamo creature relative e non isolate. Gli altri ci pressano, le condizioni ambientali ci pressano, la nostra voce ci pressa. Siamo impelagati nei rapporti; fatti di legami che ci mettono in gioco.

E così la malattia – in quanto avversario – può svelare la relazione come criterio di vita, facendone sgorgare uno stupore forte. La presenza dei figli, di una moglie, degli amici moltiplica il suo riverbero di bene. Si manifesta, dentro la sofferenza, l’opportunità. Aggiunge Vialli:

Io sono convinto, non so se sei d’accordo, che i nostri figli seguono il nostro esempio più che le nostre parole. Quindi credo di aver meno tempo per essere da esempio, adesso che so che non morirò di vecchiaia […]. Mi sento più fragile di prima e quindi ogni mio comportamento mi porta a fare questo ragionamento: è la cosa giusta, quella che sto mostrando alle mie figlie? […] Io sento di avere meno tempo per poter essere un buon padre e un buon esempio per loro, però mi rendo conto che da parte loro c’è la paura di perdermi e quindi c’è il desiderio di dimostrarmi quanto mi vogliono bene.

Il privilegio di sapere di avere una scandenza

Morte, la parola innominabile e da aggirare il più possibile. Introdurla in un discorso cancella ogni possibilità di felicità? Proprio il contrario.

Alessandro Cattelan e Gianluca Vialli si sono ritrovati ad approdare a quel paradosso che Chesterton espresse così:

Il vero modo per amare qualsiasi cosa consiste nel renderci conto che la potremmo perdere.

In altre parole: perché ci rendiamo conto di quanto siano preziosi i legami che abbiamo e la vita stessa, solo quando la morte entra in scena?

Il limite che consideriamo supremo – la nostra mortalità – diventa una lente d’ingrandimento su quanto l’urgenza di essere felici sia qualcosa di radicale. Va oltre l’ebbrezza passeggera, non è solo ottenere riconoscimenti ed è tutt’uno col rispondere alla domanda “Chi sono?”. Vialli descrive così questa coscienza:

Ho paura di morire, non so cosa ci sarà dall’altra parte quando si spegnerà la luce. In un certo senso sono anche eccitato dallo scoprire. Però mi rendo conto che il concetto della morte serve per capire e apprezzare la vita.

E raggiunto questo crinale impervio, va dato atto a Cattelan di non aver optato per la discesa ma per la salita ancora più ripida. C’è chi desidera morire nel sonno, all’improvviso. Lasciare tutto senza accorgersene…

Cattelan: Lo capisco, ma secondo me chi lo dice non ha figli. A me l’idea di andare a salutare le mie figlie la sera prima di andare a dormire e dire ‘ciao, ci vediamo domani’ e poi domani non esserci, mi sembra un tradimento enorme. E quindi preferirei sobbarcarmi il peso di una malattia per avere il tempo … non so … di dire qualcosa.

Vialli: Sono d’accordo con te. Io credo anzi che sia un privilegio quello di sapere che c’è una scadenza e questo permette di portare a termine cose che altrimenti potrebbero rimanere incompiute. […] Non ti dico che arrivo a dire di essere grato al cancro. Ma non la considero una battaglia. Se mi mettessi a fare la battaglia col cancro ne uscirei distrutto. Lo considero un compagno di viaggio che spero prima o poi si stanchi, e che si congederà dicendomi: ecco, ti ho temprato e sei pronto per andare avanti.

Due uomini, padri, seduti su una panchina che condividono questo livello di ipotesi sul vivere. Ma guarda che strane sorprese riserva il mondo fantasmagorico della TV. Che qualcuno si stia rendendo conto che abbiamo bisogno di contenuti davvero spinti?

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