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Rosario: «Ero un bravo imprenditore. Ora imparo ad essere un uomo»

CAMPAGNA PASQUA DON PIETRO SIGURANI

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Paola Belletti - pubblicato il 08/04/22

La storia di Rosario assomiglia a quella di tanti: bravi imprenditori, persone capaci che per truffe subite, eventi avversi o anche scelte improvvide finiscono in rovina. E se questa dis-grazia diventasse addirittura occasione di grazia? Così è stato per lui, grazie a Don Pietro e alla Casa della Misericordia.

E’ stato proprio così per Rosario, un uomo di 53 anni, brillante, capace, gran lavoratore. Dopo il successo della sua impresa, a causa di una truffa subita, si ritrova solo, povero, escluso dalla società che conta e che aveva contribuito a creare. Eppure, in questa situazione, scopre qualcosa di sé e del proprio valore che nessun affare andato in porto avrebbe mai potuto insegnargli.

La storia di Rosario

Un po’ di dopobarba lo metto ancora, non riesco a farne a meno.

Mi serve sentirlo sulla pelle, anche se ora è più secca, e le guance tendono a scendere verso il basso. E non è mica solo questione di forza di gravità, che quella, si sa, fa il suo mestiere; è che io invece il mio mestiere, quello che mi sono fatto da solo, quello che mi venivano a cercare tutti in paese, per il figlio, dammi una mano, è bravo a scuola, trovaglielo un lavoretto nella tua azienda, quel mestiere lì non ce l’ho più.

Avevo soldi, case, vacanze esclusive, vestiti esclusivi, incontri esclusivi. Ora sono uno poveraccio, uno qualsiasi. A forza di escludere sono finito escluso?

Prima sapere il mio nome poteva fare la differenza, poi per un po’ è diventata una specie di maledizione, e alla fine nessuno se lo ricordava manco più. Fino ad ora.

Prima il tempo correva e correva, avevo sempre da fare e nessun tempo libero. Mi fermavo giusto per cena.

Fino a che la cena è diventata il momento peggiore. Ma da quando sto qui alla Casa della Misericordia ho capito che le cene non si fanno solo per chiudere affari, sfoggiare belle donne e appoggiare sulla tavola le chiavi del mio ultimo macchinone. Vuoi farci un giro?

Mi sentivo una specie di divinità a concedere favori, giri in macchina, prestiti. Persino una telefonata con me, che non avevo un secondo libero, era una specie di lusso per pochi: “dimmi di cosa volevi parlarmi ma hai due minuti, non di più”.

UOMO, AFFARI, INCONTRO

Ma dopo che mi sono trovato per strada, dopo quella cosa che è successa e mi vergogno anche a parlarne, la strada non era più il mio tappeto rosso. I marciapiedi prima quasi non li vedevo, ora, anzi fino a poco tempo fa ci ho addirittura vissuto. E poi uno si domanda cosa sia il cambiamento, come essere pronti al cambiamento, come imparare a pensare out of the box.

Lo sai che ci dormivo, dentro a una box quando ero rimasto solo come un cane? Almeno il cartone teneva via un po’ l’umidità e il freddo.

Dopo che ho sentito per la prima volta fame perché non avevo più una lira (sono vecchiotto, sì, penso ancora in lire ogni tanto) nemmeno per comprarmi un panino col formaggio;

dopo quel lungo periodo buio in cui la sera non facevo altro che sperare di addormentarmi in fretta per non vergognarmi;

dopo tutto questo, ma prima di incontrare Don Pietro desideravo solo due cose, tutte e due impossibili. Anzi tre, ma una meglio non nominarla nemmeno che invece è possibile e non bisogna dare da mangiare a certe idee da pazzi.

Uno: volevo tornare forte, potente e farmi più furbo che nessuno doveva più fregarmi come quello là che mi ha tolto tutto e non fa manco fatica a dormire la notte. Tornare forte solo per vendicarmi.

Due: c’era un’altra cosa che mi tornava sempre in mente, come fossi un drogato. Volevo che sparisse dalla memoria di tutti, non solo di Google, quello che mi era successo. Ho provato a spiegare che non era stata colpa mia, che ero stato truffato alla grande ma, sai com’è, se parlano tanto male di te qualcosa di vero ci sarà di sicuro.

Una volta ho sentito uno del paese, una faccia che conosco, che diceva apposta a voce alta “gli sta bene, era ora che imparasse come gira li mondo anche lui”.

Ma se ero io, con le mie idee, i progetti, i soldi dati in beneficienza, alle scuole, alle polisportive, ero io che glielo facevo girare e anche bene il loro piccolo mondo? Francesco dove ha fatto la scuola calcio e il provino per la prima squadra, eh? ho pagato io, tutto io, ho regalato tutto borsoni, maglie, pullman per le trasferte.

Ma in fondo, se ci penso bene, hanno ragione: non ero libero prima, lo sono di più adesso. E non perché ho imparato a mie spese cosa vuol dire essere poveri e bisognosi di tutto. No, è soprattutto perché vedo che c’è qualcuno che mi guarda e mi vuole bene solo perché ci sono, perché sono Rosario. Don Pietro, alla fine, e tutti i volontari, e i pasti buonissimi che gustiamo al ristorante, sono come una raffica di messaggi, tutti con lo stesso contenuto: “ti voglio bene!”

E adesso allora non mi pesa ricominciare, fare nuovi progetti, cercare i finanziatori perché imprenditore lo sono stato per anni e lo sono fino alla punta dei capelli.

E’ un talento, alla fine, ed è un vero peccato buttarlo via; me lo ricorda sempre anche don Pietro che usa le parole di Gesù e le sue parabole “da investitore”.

Non è un male sapere fare i conti, organizzare le persone, avere chiaro dove si vuole arrivare. E’ così bello vedere che una cosa che all’inizio era solo nella tua testa diventa fatta di muri e pavimenti, vetri, tavolini del bar, cucine e cuochi stellati. Ancora più bello è vedere le persone contente, perché a lavorare bene si diventa contenti, si diventa più uomini. Tutti dobbiamo poter lavorare e allora se io aiuto gli altri a lavorare sto facendo del bene e mi trovo contento. Questo qua è il modo giusto, non “il giro giusto”, “i nomi che contano”, “le raccomandazioni”.

Oh come sono felice, sì, forse vi sembrerò un po’ matto, ma quasi quasi dico grazie a quel disgraziato che mi ha fregato e lasciato in braghe di tela. Grazie del tuo inganno che ha scoperto il mio: io sono Rosario, sono un uomo, un papà, un marito, un amico. E, prima di tutte queste belle cose, dice Don Pietro, sono figlio di Dio. E’ Lui il Capo, quello che conta e può tirarci fuori dai guai. Ma soprattutto è mio Padre.

Adesso dormire è per riposare e recuperare forze: il giorno dopo ho sempre da fare e gente da aiutare. E sapete una cosa? non vedo l’ora.

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