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In un bunker di Černihiv la prima parrocchia di padre Roman

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Schron w Czernichowie

Beata Zajączkowska - pubblicato il 21/04/22

Nella cittadina del nord dell’Ucraina padre Roman Hridkovet ha trasformato un bunker in chiesa: «La mia missione è di annunciare Cristo in tempo di pace, ma anche in tempo di guerra».

La prima parrocchia in un bunker. Quando la guerra in Ucraina è scoppiata, il 24 febbraio scorso, Roman Hrydkovets, prete greco-cattolico di Černihiv, a nord di Kiev, ha indossato il proprio abito da prete, ha preso la Bibbia e si è seduto in mezzo agli abitanti terrificati, pregando silenziosamente per loro. 

«Non potevo che stare con loro», confida il prete sopravvissuto all’armata russa durante i quaranta giorni di assedio. Mentre le truppe russe si sono ritirate, gli abitanti sono di ritorno e ciascuno cerca di curare come può le piaghe della guerra, padre Roman Hrydkovets racconta ad Aleteia la storia di quella che è diventata la sua prima parrocchia. 

Era arrivato a Černihiv nel dicembre 2021, con sua moglie e suo figlio, dopo essere stato ordinato prete, aver ottenuto il diploma in un seminario di Kiev ed essersi specializzato in missiologia a Roma. La sua missione? Creare una nuova comunità in questa città prossima alla frontiera con la Bielorussia. 

La parrocchia – spiega – c’era solo sulla carta. Non c’erano fedeli, non c’era chiesa, neanche un sito nel quale potessi cominciare a costruire qualcosa. Bisognava partire da zero. 

Eppure, quando il 24 febbraio scorso la guerra è scoppiata lui non ha esitato un istante: ha deciso di restare tra quelli a cui doveva annunciare Gesù. La moglie e il figlio sono partiti con gli altri rifugiati verso zone più sicure: «Ho realizzato che la mia missione, in quel preciso momento, era semplicemente stare con gli abitanti rimasti in città». 

All’inizio pregava in silenzio, restava seduto al riparo e piano piano imparava a conoscere quanti erano rimasti a Černihiv, la maggior parte dei quali non aveva particolare inclinazione religiosa. Poco a poco, il prete propose loro di pregare insieme per la pace, per le famiglie, con parole semplici e quotidiane. 

Ho proposto loro di ripetere più volte giaculatorie come “Custodiscici, Dio”, “Signore, non abbandonarci”. Queste invocazioni semplici sono venute direttamente dai nostri cuori. 

Nel bunker aveva anche dei bambini, come testimoniano i disegni colorati lasciati sulle pareti. Ogni sera padre Roman Hrydkovets, coi suoi occhi sorridenti, è riuscito a radunare piccoli e grandi per raccontare la storia di Gesù e i suoi numerosi miracoli. 

Quando lo si sente raccontare quel che è stato il mese di assedio a Černihiv, la calma delle sue parole contrasta con i contenuti infuocati del racconto. Gli abitanti non hanno potuto lasciare il loro rifugio temendo attacchi da parte dell’esercito russo. 

La gente è scioccata dalla violenza, dall’ingiustizia e dalla barbarie di cui è stata testimone. Cerco di sostenerla quanto posso: è naturale che ora sorgano collera e ribellione, quindi sto con loro tutto il tempo. Li ho lasciati parlare, sfogare tutta l’amarezza, tutto il dolore, e li ho invitati a pregare Dio di sostenerci e di liberarci dall’odio. Preghiamo per non odiare. Ci sarà tempo per il perdono e per la riconciliazione. 

Annunciare Cristo in tempo di pace e di guerra 

Oggi i rifugi e i bunker della città si sono vuotati, e ognuno è rientrato a casa propria. Numerose abitazioni, però, sono state distrutte dalle bombe, e allora uno dei bunker è diventato un rifugio. A immagine delle catacombe per i primi cristiani, è in questo bunker che è nata la prima comunità, la prima “parrocchia” di padre Roman Hrydkovet: 

È diventata una tradizione: nel posto in cui abbiamo vissuto i momenti più duri ritrovo quelle persone e discutiamo, preghiamo insieme. 

Il prete non calca molto l’enfasi sul proprio ministero, e parla semplicemente di “presenza”: 

Il mio compito è annunciare Cristo, «a tempo opportuno e inopportuno», in tempo di pace e in tempo di guerra. Per dare testimonianza del suo amore, grazie al quale il male e la morte non hanno l’ultima parola. Vorrei che credessero che c’è davvero Qualcuno che li ha già salvati donando la vita per loro. 

E poi aggiunge, pieno di speranza: 

Presto tutti i ripari e i bunker di Ucraina saranno vuoti, come la tomba di Gesù. Ci sarà una risurrezione. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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