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Chi ha detto davvero “Siamo un popolo pasquale, l’Alleluia è il nostro canto”?

SAINT AUGUSTINE

Public Domain

Daniel R. Esparza - pubblicato il 22/04/22

La frase viene attribuita comunemente a San Giovanni Paolo II, ma stava citando qualcun altro

Giovanni Paolo II ha visitato l’Australia nel 1986, come parte del suo viaggio apostolico in Oceania. Mentre si trovava ad Adelaide, dopo la Messa domenicale e prima di recitare l’Angelus, il Pontefice ha condiviso una breve riflessione sulla gioia. L’Angelus, ha spiegato, è una preghiera che prende il nome dal messaggio dell’angelo a Maria: “Rallegrati […] Il Signore è con te”. Questa gioia è “la nota fondamentale del messaggio cristiano”.

“Non pretendiamo che la vita sia tutta bellezza”, ha aggiunto. “Siamo consapevoli dell’oscurità e del peccato, della povertà e del dolore. Ma sappiamo che Gesù ha vinto il peccato ed è passato attraverso la propria sofferenza alla gloria della risurrezione. E viviamo nella luce del suo mistero pasquale – il mistero della sua morte e risurrezione. ‘Siamo un popolo pasquale e Alleluia è il nostro canto!’”.

Il lettore attento noterà che la frase “Siamo un popolo pasquale” è racchiusa tra virgolette. Il Papa polacco stava ovviamente citando qualcun altro, ma senza attribuzione. Il testo ufficiale pubblicato dal Vaticano non include alcun riferimento alla fonte originale. Giovanni Paolo II ha scritto la sua dissertazione dottorale su San Giovanni della Croce. Si potrebbe pensare che la frase sia sua, soprattutto perché il santo carmelitano ha scritto il Cantico Spirituale (letteralmente una canzone), e perché la sua teologia mistica è profondamente ispirata dal Cantico dei Cantici di Salomone. E tuttavia non dice nulla sul fatto che i cristiani siano un “popolo pasquale”, nemmeno nella sua nota raccolta di Detti di Luce e Amore.

A differenza di Giovanni della Croce, Sant’Agostino non si scomodava a scrivere brevi aforismi. La sua formazione retorica professionale e la sua tendenza a ripetere la struttura basica dei Salmi (un modello che influisce su buona parte delle Confessioni e che implica il fatto di invertire, ripetere o elaborare in una seconda riga quello che è stato affermato nella prima) invitano il lettore a scoprire molteplici livelli di significato in virtualmente ogni riga di ciascuno dei suoi scritti. Al di sopra di questo, è l’autore più prolifico della Tarda Antichità: Isidoro di Siviglia ha detto che chiunque affermasse di aver letto tutto Agostino mentiva. Trovare la citazione esatta negli oltre 5 milioni di parole che formano il canone agostiniano non è un compito semplice.

Giovanni Paolo II potrebbe quindi aver citato Agostino. Nella sua Esposizione sul Salmo 148 (i salmi, del resto, sono canti), Agostino scrive:

“Nella nostra vita dobbiamo pensare costantemente alla lode di Dio, poiché l’eterno giubilo della nostra vita futura sarà la lode di Dio, e nessuno può essere in grado di vivere la vita futura se al presente non vi si sarà allenato. Al presente quindi noi lodiamo Dio ma insieme lo supplichiamo; e, se la lode ci procura godimento, la preghiera include gemito… Son due periodi: uno quello attuale, pieno di tentazioni e tribolazioni quante ce ne riserva la vita presente, l’altro quello dell’aldilà, nella tranquillità e nella gioia eterna. In rapporto a questi due periodi è stata anche introdotta nelle nostre costumanze ecclesiastiche la celebrazione di due tempi [liturgici]: uno prima e, un altro dopo Pasqua. Il periodo che precede la Pasqua raffigura la tribolazione in cui ci troviamo al presente; quello che invece celebriamo adesso, dopo Pasqua, raffigura la beatitudine, in cui saremo nell’eternità. Pertanto, quel che celebriamo prima di Pasqua è il tempo che trascorriamo adesso, invece quel che celebriamo dopo Pasqua è una anticipazione figurativa di ciò che non possediamo. Proprio per questo trascorriamo quel [primo] tempo in digiuni e preghiere, mentre nel periodo pasquale, ridotti i digiuni, indugiamo piuttosto nelle lodi [di Dio]. Questo indica l’Alleluia che cantiamo: parola che, come ben sapete, in latino si traduce con ” Lodate il Signore “. Quel periodo precede la resurrezione del Signore, questo la segue, e raffigura la vita futura che ancora non possediamo. Ciò che vediamo simboleggiato nel periodo che segue la resurrezione del Signore lo conseguiremo dopo la nostra resurrezione”.

Agostino era un retore, non un inserzionista – sicuramente non scriveva slogan. La tradizione, però, estrapola spesso parti di testi più lunghi e li passa in formati “citabili”. Agostino dice davvero che i cristiani sono un popolo pasquale che canta l’Alleluia che vivrà la propria resurrezione dopo quella del Signore. Anche se questo non è letteralmente ciò che ha citato Giovanni Paolo II, trasmette sicuramente lo stesso messaggio.

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