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Perché continuiamo a soffrire se Cristo è risorto?

GESU' RISORTO, RESURREZIONE, ANGELI,

Claudio Giovanni Colombo | Shutterstock

Catholic Link - pubblicato il 06/05/22

Perché continuiamo a soffrire se stiamo celebrando il mistero centrale della vita cristiana? La Pasqua, la vittoria di Cristo sul peccato.

di Pablo Perazzo

“Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi” (Filippesi 4, 4) Perché continuiamo a soffrire se stiamo celebrando il mistero centrale della vita cristiana? La Pasqua, la vittoria di Cristo sul peccato. Con la Sua resurrezione, ci ha aperto le porte del Cielo, e possiamo essere certi del fatto che la morte non ha l’ultima parola.

Il peccato non ci schiavizza più. La luce ha vinto sulle tenebre, la vita sulla morte, la grazia sul peccato. Con l’apostolo San Paolo possiamo rallegrarci perché abbiamo la speranza della vita eterna. Perché, come dice San Paolo, la follia della croce è la ragione della nostra fede. È il segno della nostra vittoria. Nella sua Lettera ai Corinzi (15, 14), ci conferma che essere cristiani ha senso proprio per via della resurrezione. È questo il motivo della nostra gioia.

Perché continuiamo a soffrire?

Se tutto quello che diciamo è vero, perché il male e la sofferenza continuano a esistere? (Se qualcuno volesse, può rivedere il Catechismo dal n. 311 al n. 314 e trovare un’ottima spiegazione su questo tema) Perché tante persone vivono croci che sembrerebbero quasi impossibili da portare?

Potremmo pensare che questo fatto storico che dà fondamento alla nostra fede non abbia cambiato nulla. Anzi… spesso il nostro cuore è vinto dall’amarezza, dal rancore, dalla ribellione, e anche da dubbi e incertezze sulla vittoria di Cristo. In non pochi momenti della loro vita, molti sentono come se Dio non esistesse e ci avesse lasciati alla mercè del peccato.

Come comprendere questa contraddizione che colpisce la nostra vita in vari momenti del nostro passaggio qui sulla Terra? La risposta – che potrebbe sembrare ovvia, ma nella sua semplicità c’è la ricchezza che dobbiamo riscoprire – è proprio nel fatto che continuiamo a vivere su questa Terra finché non sperimentiamo la morte.

Solo chi varca la soglia della morte – mano nella mano con Cristo – potrà partecipare della Sua resurrezione (1 Tessalonicesi 4, 13-17) in modo pieno e definitivo.

Finché viviamo qui “sotto”, continuiamo a soffrire per le conseguenze del peccato. Il fatto che Gesù sia risorto non ha fatto scomparire il peccato come per magia. Il danno provocato dal peccato originale ha corrotto questo mondo in modo definitivo.

La disobbedienza di cui leggiamo nella Genesi ha segnato un prima e un dopo nella storia dell’umanità. Al momento della Creazione, tutto era buono (Genesi 1, 31). Lo sappiamo dal racconto della Creazione. Il peccato originale, però, ha introdotto in questo mondo una rottura così radicale che neanche Dio può farla scomparire, perché rispetta le conseguenze delle nostre decisioni, frutto – in questa occasione – del cattivo uso della nostra libertà.

Cos’è cambiato allora?

È una domanda che tutti dobbiamo porci. Se continuiamo a soffrire per le conseguenze del male e questo mondo continua ad essere il principato del demonio, dov’è la differenza? Perché possiamo rallegrarci come ci invita a fare San Paolo?

Se leggiamo con attenzione il prologo del Vangelo di Giovanni, vedremo che la resurrezione di Cristo ha inaugurato una nuova creazione. Gesù non è tornato in vita, com’è accaduto al Suo amico Lazzaro (Giovanni 11, 32-45), che ha recuperato la sua vita mortale.

Gesù risuscita con un corpo glorioso, rendendo realtà la nuova creazione, della quale partecipiamo già qui, ma in modo spirituale. Grazie al Battesimo, lo Spirito ci rende partecipi di questa nuova vita, ma è il Regno Eterno che cresce nel nostro cuore, dentro di noi, nella misura in cui ci sforziamo di morire sempre più al peccato, abbandonando l’uomo vecchio e rivestendoci dell’uomo nuovo (Efesini 4, 22-27).

Questo corpo materiale è corrotto dal peccato, e il nostro spirito può gioire della gioia pasquale nella misura in cui ci lasciamo convertire dalla Grazia di Cristo (2 Corinzi 4, 16), facendo strada a questa nuova creazione e morendo sempre più all’influsso del peccato. Questa lotta si verifica nella nostra vita spirituale ed è reale, anche se non si può toccare con mano a livello fisico.

Si tratta di un cambiamento spirituale (Galati 5, 24-25), per questo siamo chiamati da Cristo a una lotta o combattimento spirituale, per incarnare nella nostra vita le conseguenze della Sua resurrezione.

In questa vita si tratta di morire spiritualmente al peccato, diventando un altro Cristo, ma non a livello corporale, quanto nella nostra condotta, nel nostro modo di vivere. Per questo soffriamo ancora per il flagello del peccato (Romani 8, 20-22), ma possiamo sperimentare dentro di noi quella gioia di cui scrive San Paolo.

Come vivere allora la gioia pasquale?

Convertendo il nostro cuore dal peccato alla Grazia che Cristo effonde nel nostro spirito, attraverso lo Spirito Santo e collaborando con Lui. Si tratta di un combattimento spirituale, che non è contro la carne, ma contro gli spiriti maligni (Efesini 6, 12), che cercano non la morte della carne, ma la nostra morte eterna, spirituale.

La morte fisica è la possibilità di una vita nuova. Sembra una follia dirlo, ma grazie al fatto che moriamo, lasciamo questa esistenza segnata dal male, e – se ci comportiamo bene – possiamo partecipare alla vita gloriosa instaurata dalla Pasqua.

Anche se viviamo ancora in questo mondo caratterizzato dal peccato, partecipiamo già mediante il Battesimo alla resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Più disponiamo la nostra libertà a scegliere il nuovo cammino che Cristo ha tracciato per noi, più vivremo la vittoria sul male.

Purtroppo, o meglio fortunatamente, dobbiamo seguire Cristo sulla via della Croce (Matteo 16, 24), morendo sempre più alla vita di questo mondo di peccato. Dobbiamo essere disposti a rinunciare alla vita su questa Terra, perché qui sotto siamo pellegrini, e la nostra Patria ora è il Cielo. L’unica via per seguire Cristo è la Croce. Ce lo ha detto molte volte.

Che fare allora della sofferenza?

In primo luogo, bisogno dire che non tutto in questa vita è dolore e sofferenza. Anche se subiamo le conseguenze del peccato, non tutto è oscurità. La natura e noi stessi continuiamo ad essere una creazione buona, uscita dalle mani amorevoli di Dio. Per colpa del peccato, però, questa vita è un misto di gioie e tristezze, luci e ombre, meraviglie e sofferenze.

La chiave sta nel comprendere la dinamica pasquale e nel rendere reale nella nostra vita quell’opzione di camminare mano nella mano con Cristo, nelle gioie e nelle croci di questa esistenza. Ora, grazie a Cristo, anche le croci e le sofferenze di questa vita sono un’occasione per vivere l’Amore, partecipando con Cristo alla Sua opera di riconciliazione.

Per questo, con Cristo il giogo diventa più leggero (Matteo 11, 28). Non smettiamo di soffrire, ma viviamo in un rapporto di amicizia con Cristo, è la via per maturare come persone. Ci impegniamo e diventiamo responsabili della nostra vita, con le croci che – misteriosamente – il Signore ci permette di prendere su di noi.

Diventiamo protagonisti della nostra sofferenza, perché grazie a Cristo possiamo smettere di essere semplicemente vittime, incapaci di fare qualcosa contro il pungiglione del peccato. Con San Paolo come esempio, Cristo ci invita ad accettare umilmente le nostre debolezze, perché è allora che può operare tutto il potere della Gloria di Dio (2 Corinzi 12, 9).

È la via che porta alla nostra santità. Per questo, non lasciatevi mai vincere dalla disperazione, che è quello che più vuole il demonio. Pensare che la Pasqua di Cristo non ci abbia portato nulla di nuovo, che tutto resti uguale. Non fermiamoci allo sguardo superficiale degli occhi della carne, e guardiamo la nostra vita con gli occhi della fede, che ci fanno percepire la vita nuova che ci ha portato il Signore. Rallegriamoci, quindi, perché Dio ci ha portato un mondo nuovo.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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