Parlano di donne nel mondo del lavoro (ma sembrano fuori dal mondo)
Il 4 maggio Elisabetta Franchi, stilista e imprenditrice bolognese, è stata intervistata dalla giornalista Fabiana Giacomotti curatrice de Il Foglio della Modanell’ambito dell’evento Donne e Moda, Barometro 2022. Obiettivo dell’incontro presentare come e quanto fosse cambiato il lavoro femminile nel settore della moda.
La risposta alla questione è non abbastanza. Ma le domande che sorgono, alcune davvero sconsolate, ad ascoltare questa successione di voci e in alcuni casi dei più triti luoghi comuni, sono tante.
Date le reazioni infuocate alle dichiarazioni dell’imprenditrice bolognese converrà anche a noi concentrarci su quelle, senza rinunciare al giusto perimetro di contesto.
La ricerca annuale sul lavoro delle donne nel lusso
PWC Italia, la società italiana del gruppo internazionale che si occupa di consulenza e servizi, presenta per il secondo anno di fila il risultato di una ricerca su lavoro e crescita professionale femminile nel sistema lusso. Coinvolte le principali associazioni di categoria del settore.
Donne al lavoro ma non ai posti di comando
La presenza femminile nel settore moda nel nostro paese è molto più scarsa rispetto ad esempio alla Francia o al Regno Unito; da noi le donne in ruoli apicali si attestano ad un 25 per cento in Francia siamo al 41 abbondante. La relatrice della PWC promette che chiederà lumi su questo mancato record alle imprenditrici ospiti dell’evento. Al settore servono la sensibilità e il saper fare tipicamente femminile, chiosa.
Molto maggiore la presenza di donne in ruoli di comando nelle piccole o micro imprese, dove spiccano per doti organizzative, flessibilità e capacità di coprire più funzioni (e non ci pare questa grandissima scoperta, a dire il vero. Nelle PMI è questa la tendenza).
La maternità: ancora vissuta solo come ostacolo
Su queste figure così promettenti piomba improvvisa, lasciando tutti attoniti, una sorta di catastrofe: è la maternità. Perché questo sembra, da come ne parlano anche solo citando i dati. (Beata ingenuità, ma dove vivono? Dove i figli arrivano fatti da qualcun altro, magari un bel modello autopulente? C’è poco da scherzare, la surrogata risponde in parte a questo desiderio di cavarsi d’impaccio).
Arriva dunque la maternità, fregandosene dei task ancora aperti, delle scadenze che incalzano, dei progetti da implementare e interrompe il percorso di carriera di una donna distogliendola dal sistema economico produttivo.
Anche l’idea di lavoro e di uso del tempo va rimessa in discussione
Non viene il sospetto, invece, che il lavoro h24, le riunioni a orari impossibili, le feste aziendali quando si deve ancora fare la spesa, i ritmi esasperati a volte del tutto ingiustificati facciano di peggio, ovvero distogliere le mamme e anche i papà dal rapporto preziosissimo coi loro figli? O con la vita nel suo ordine più naturale?
Altra domanda: tutta questa mirabile sensibilità e questo saper fare in un certo modo, senza mitizzare o semplificare troppo – quante amiche “carrarmato” conoscete? quanti uomini capaci di ascolto e immedesimazione? – , non pensate che trovino la lor migliore espressione e senso di esistere proprio nella maternità e non solo quella biologica?
La maternità ha senso insieme alla paternità
Ma non chiudiamo la questione perché il rischio di appiattirci su un’idea di materno stucchevole e artificiale è sempre in agguato. Fatto sta che, lo dirà anche l’ospite incriminata, siamo noi a partorire, (ci aggiunge anche un richiamo all’angelo del focolare).
Vero e sacrosanto: siamo noi che concepiamo, portiamo avanti la gravidanza, partoriamo e allattiamo e sono tutte esperienze dal valore incommensurabile. Benissimo, e poi?
Perché non si fanno altri passi oltre questa prima poetica parentesi che a tutti o quasi strappa una lacrima d’ufficio e un estemporaneo incoraggiamento?
L’imprenditrice donna per niente femminile
La parola a questo punto è passata alla giornalista Giacomotti che come da scaletta convoca Elisabetta Franchi. Il frame incriminato è quello rilanciato con apposita quota di sdegno da giornalisti e influencer vari (la Lucarelli osserva però che i grandi nomi si sono astenuti il che proverebbe una certa intoccabilità della signora). E hanno ragione. Ha infilato una serie di sfondoni inascoltabili, ha tradito in vari passaggi l’idea riduttiva che ha della maternità, del genio femminile, dei figli, dell’uomo e anche – accidenti – del lavoro e del valore del fare impresa a servizio di un sistema e del proprio paese. Consiglio spassionato, tenetevi le braccia perché altrimenti precipiteranno irrimediabilmente a terra.
Certo, non può e non deve dipendere tutto dall’imprenditore (anche se esistono esempi eccelsi, vedi Brunello Cucinelli) occorre trovare un equilibrio: tra congedi, part time concessi senza doversi umiliare, una pianificazione dei percorsi di carriera onesta.
Serve un intero sistema che tenga conto della centralità della maternità, della sua indisponibilità e che non faccia finta che le donne in età fertile non solo rischiano di dovere, ma desiderano dedicare le maggiori energie a disposizione all’educazione dei figli e alla propria famiglia.
Ma anche che a fronte di una reale flessibilità diffusa, e di un lavoro a ritmi sopportabili, molte donne sono più che disposte a lavorare e non solo per portare i soldi a casa. Servono inoltre anche obiettivi chiari da raggiungere e un ideale da servire che trascenda l’impresa stessa.
Quello che racconta la Franchi invece è ancora la versione secondo cui è la donna, anzi la madre, a doversi piegare – senza lamentarsi – ai ritmi del mercato del lavoro. Che non sono solo maschili, ma molto spesso semplicemente sbagliati.