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Elisabetta Franchi su donne, lavoro e maternità. Non ci siamo

Elisabetta Franchi

Elisabetta Franchi | Instagram

Paola Belletti - pubblicato il 10/05/22

Le dichiarazioni dell'imprenditrice bolognese su donne, figli e carriera all'evento promosso dal Foglio hanno suscitato accesissime reazioni. Forse è proprio ora che su lavoro e maternità si comincino a dire cose diverse e più vere. Altro che asili nido e parti cesarei fast and furious.

Parlano di donne nel mondo del lavoro (ma sembrano fuori dal mondo)

Il 4 maggio Elisabetta Franchi, stilista e imprenditrice bolognese, è stata intervistata dalla giornalista Fabiana Giacomotti curatrice de Il Foglio della Modanell’ambito dell’evento Donne e Moda, Barometro 2022. Obiettivo dell’incontro presentare come e quanto fosse cambiato il lavoro femminile nel settore della moda.

La risposta alla questione è non abbastanza. Ma le domande che sorgono, alcune davvero sconsolate, ad ascoltare questa successione di voci e in alcuni casi dei più triti luoghi comuni, sono tante.

Date le reazioni infuocate alle dichiarazioni dell’imprenditrice bolognese converrà anche a noi concentrarci su quelle, senza rinunciare al giusto perimetro di contesto.

La ricerca annuale sul lavoro delle donne nel lusso

PWC Italia, la società italiana del gruppo internazionale che si occupa di consulenza e servizi, presenta per il secondo anno di fila il risultato di una ricerca su lavoro e crescita professionale femminile nel sistema lusso. Coinvolte le principali associazioni di categoria del settore.

Donne al lavoro ma non ai posti di comando

La presenza femminile nel settore moda nel nostro paese è molto più scarsa rispetto ad esempio alla Francia o al Regno Unito; da noi le donne in ruoli apicali si attestano ad un 25 per cento in Francia siamo al 41 abbondante. La relatrice della PWC promette che chiederà lumi su questo mancato record alle imprenditrici ospiti dell’evento. Al settore servono la sensibilità e il saper fare tipicamente femminile, chiosa.

Molto maggiore la presenza di donne in ruoli di comando nelle piccole o micro imprese, dove spiccano per doti organizzative, flessibilità e capacità di coprire più funzioni (e non ci pare questa grandissima scoperta, a dire il vero. Nelle PMI è questa la tendenza).

La maternità: ancora vissuta solo come ostacolo

Su queste figure così promettenti piomba improvvisa, lasciando tutti attoniti, una sorta di catastrofe: è la maternità. Perché questo sembra, da come ne parlano anche solo citando i dati. (Beata ingenuità, ma dove vivono? Dove i figli arrivano fatti da qualcun altro, magari un bel modello autopulente? C’è poco da scherzare, la surrogata risponde in parte a questo desiderio di cavarsi d’impaccio).

Arriva dunque la maternità, fregandosene dei task ancora aperti, delle scadenze che incalzano, dei progetti da implementare e interrompe il percorso di carriera di una donna distogliendola dal sistema economico produttivo.

Anche l’idea di lavoro e di uso del tempo va rimessa in discussione

Non viene il sospetto, invece, che il lavoro h24, le riunioni a orari impossibili, le feste aziendali quando si deve ancora fare la spesa, i ritmi esasperati a volte del tutto ingiustificati facciano di peggio, ovvero distogliere le mamme e anche i papà dal rapporto preziosissimo coi loro figli? O con la vita nel suo ordine più naturale?

Altra domanda: tutta questa mirabile sensibilità e questo saper fare in un certo modo, senza mitizzare o semplificare troppo – quante amiche “carrarmato” conoscete? quanti uomini capaci di ascolto e immedesimazione? – , non pensate che trovino la lor migliore espressione e senso di esistere proprio nella maternità e non solo quella biologica?

La maternità ha senso insieme alla paternità

Ma non chiudiamo la questione perché il rischio di appiattirci su un’idea di materno stucchevole e artificiale è sempre in agguato. Fatto sta che, lo dirà anche l’ospite incriminata, siamo noi a partorire, (ci aggiunge anche un richiamo all’angelo del focolare).

Vero e sacrosanto: siamo noi che concepiamo, portiamo avanti la gravidanza, partoriamo e allattiamo e sono tutte esperienze dal valore incommensurabile. Benissimo, e poi?

Perché non si fanno altri passi oltre questa prima poetica parentesi che a tutti o quasi strappa una lacrima d’ufficio e un estemporaneo incoraggiamento?

L’imprenditrice donna per niente femminile

La parola a questo punto è passata alla giornalista Giacomotti che come da scaletta convoca Elisabetta Franchi. Il frame incriminato è quello rilanciato con apposita quota di sdegno da giornalisti e influencer vari (la Lucarelli osserva però che i grandi nomi si sono astenuti il che proverebbe una certa intoccabilità della signora). E hanno ragione. Ha infilato una serie di sfondoni inascoltabili, ha tradito in vari passaggi l’idea riduttiva che ha della maternità, del genio femminile, dei figli, dell’uomo e anche – accidenti – del lavoro e del valore del fare impresa a servizio di un sistema e del proprio paese. Consiglio spassionato, tenetevi le braccia perché altrimenti precipiteranno irrimediabilmente a terra.

Certo, non può e non deve dipendere tutto dall’imprenditore (anche se esistono esempi eccelsi, vedi Brunello Cucinelli) occorre trovare un equilibrio: tra congedi, part time concessi senza doversi umiliare, una pianificazione dei percorsi di carriera onesta.

Serve un intero sistema che tenga conto della centralità della maternità, della sua indisponibilità e che non faccia finta che le donne in età fertile non solo rischiano di dovere, ma desiderano dedicare le maggiori energie a disposizione all’educazione dei figli e alla propria famiglia.

Ma anche che a fronte di una reale flessibilità diffusa, e di un lavoro a ritmi sopportabili, molte donne sono più che disposte a lavorare e non solo per portare i soldi a casa. Servono inoltre anche obiettivi chiari da raggiungere e un ideale da servire che trascenda l’impresa stessa.

Quello che racconta la Franchi invece è ancora la versione secondo cui è la donna, anzi la madre, a doversi piegare – senza lamentarsi – ai ritmi del mercato del lavoro. Che non sono solo maschili, ma molto spesso semplicemente sbagliati.

La donna, dove la metto?

La cinquantatreenne bolognese, che di sicuro avrà dei meriti professionali da vantare oltre le più recenti cadute di stile, racconta di essersi interrogata sul perché nella sua azienda non avesse ancora donne a livelli di comando. Si confrontava di più con gli uomini e, osserva, il valore di questo confronto rimane (anche ora che il dogma donna a tutti i costi si sta imponendo, sembra dire) eppure per molto tempo le donne in posti di rilievo non ci arrivavano.

Ora sì ma solo se hanno determinate caratteristiche. Il tasso di fertilità e il desiderio di maternità andranno classificate come soft skill? “Divorziata” varrà come il vecchio “militeassolto” dei giovani uomini prima dell’abolizione del servizio di leva?

Chissà.

Teorema

Fatto sta che ora, ci spiega, le donne lei le mette. Ma sono tutte “anta”. La giornalista cerca di rimediare spiegando come la Franchi vi sia costretta dalla mancanza di servizi a sostegno della maternità (e ridagli con questi “nidi”). Elisabetta detta Betta non raccoglie e prosegue spedita nell’esposizione del suo teorema: prende una donna e la tratta male, lasciando che lavori per ore (specifica con un classico H24). Se è “anta” infatti i figli li ha già avuti o ormai è tardi, idem il marito: o ce l’ha e non le costa troppo sforzo o ha già divorziato.

E’ proprio così che si lavora e si ottiene successo?

Domanda un po’ a lato: se un imprenditore ha bisogno di spremere le sue “risorse” più preziose per ventiquattro ore al giorno sette giorni la settimana, vuoi pure che siamo in un ambientino stile il Diavolo veste Prada, non è che ha qualche problema di gestione? Non sarebbe necessario rivedere obiettivi e organizzazione dello staff?

Ma restiamo su quello che ha dichiarato lei: che idea ha della donna se le serve solo già appagata, o delusa o irrimediabilmente spacciata, per dirla come traspare dalle sue parole? Che idea ha dell’altro, del valore della persona, anche della propria? Un disastro su tutta la linea.

Non ci sono più i manager di una volta

E’ tutto disarmonico, eccessivo, e grottescamente anni novanta, massimo primi duemila. Tante di noi hanno, temo, personali ricordi che vorrebbero non dover custodire su quell’inglorioso periodo. A me è toccato, tra le molte altre cose – non ultimo un licenziamento durante una gravidanza con diagnosi infausta – sentirmi dire davanti a tutti i neo assunti da me selezionati “gliele faccio chiudere quelle tube!” dal titolare.

I figli? certo che si possono fare, ma come un paio di scarpe di tendenza, hanno il loro costo e forse non si possono portare sempre.

Fare impresa, fare figli. Insomma si può fare tutto

Infatti questo faro dell’imprenditoria femminile i figli se li è fatti, dice con l’assertività che deve aver imparato a qualche workshop dedicato, e le piacciono pure.

A riprova che non si è trattato di un acquisto d’impulso se li gode tutti i weekend e, pensate, ci si diverte. Il fatto è, cara donna comune che sei all’ascolto ma veloce che ho i minuti contati, che i tuoi desideri non possono e non devono ricadere sull’impresa (ma lo stesso discorso lo fa la società. I figli sono piez’ ma del tuo core soltanto, per cui arrangiati).

Il cesareo come “efficientamento”

Per questo potremmo, noi donne modello base, prendere in considerazione l’idea di programmarli per tempo i parti, con taglio cesareo e dimissione a catapulta, come racconta di aver fatto lei, mentre probabilmente non è nemmeno vero. Ecco la dignitosa replica di Francesca Barra. Ha ragione, la maternità è un bene che va tutelato e promosso, accidenti. Non scansato, reso innocuo, scomposto in mille incombenze da delegare.

Altra considerazione che mi spiace non aver letto da nessun’altra parte: che questa procedura forzata non fosse il bene del figlio pare non avere sfiorato i pensieri di nessuno, o nessuno ha trovato il coraggio di dirglielo, né allora né adesso davanti a questa compassata e vecchissima platea, ancora ferma a ragionare di quanto sono pigri i maschi e quanto multitasking le donne, ma solo quelle vere, le altre sono quelle che non reggono il ritmo.

(A tal proposito, come pratica detox, consiglio un giro sulla pagina mammedimerda, giusto per riequilibrare un po’ gli umori).

Per un pugno di follower

Un altro passaggio cringe di questa mattinata, in cui il solo barometro a funzionare è quello della bassa pressione atmosferica, è quando la Giacomotti si lascia prendere dai risolini alle battute trite sul maschio bamboccione, sulla sua pigrizia inguaribile, sulle donne che alla fine risolvono tutto.

E mentre scivola e si riaccomoda su quegli inspiegabili sgabelli da programma di approfondimento che girano, sono sempre troppo alti e rendono scomoda qualsiasi posa, decide di spendere due garrule parole per ringraziare la Franchi di averla taggata e averle portato in dote ben 150 nuovi follower.

Aiutare le donne a lavorare, non le mamme a stare coi figli

E’ come ci sembrava già: si può fare di tutto per far tornare al lavoro una donna che, ostinata, ha deciso di partorire, ma praticamente nulla affinché lei, suo figlio e persino il padre possano stare insieme e dedicarsi il tempo necessario. Non solo i primi tre giorni quando la chat di famiglia frigge e tutti ti regalano fiori e tutine taglia 1 mese, anche dopo, anche nel ritmo normale della vita.

La risposta non sono i nidi perché la domanda non è “potete toglierci di torno il nostro bambino appena nato dal quale non posso separarmi neanche un secondo senza sentire dolore?” E nemmeno, quasi mai, ” potete darci un ruolo apicale nelle vostre frenetiche organizzazioni?”. Spesso ciò che si cerca è un lavoro pieno di significato, adeguatamente retribuito e che non ci sequestri più tempo ed energie del necessario.

Qual è dunque la vera domanda?

Di cosa abbiamo bisogno davvero noi donne – più o meno dolcemente – complicate? e poi perché solo noi donne e non anche gli uomini insieme con noi? Appunto.

Come al solito qua giuso intra mortali ci agitiamo senza costrutto mentre possiamo trovare un luogo dove ogni istanza umana, ogni nostro desiderio e dimensione trova la giusta collocazione e viene letto secondo la sua profondità.

La Chiesa vera maestra di umanità

E’ la voce della Chiesa, la sola capace di comprendere e spiegare l’uomo nel suo mirabile unicum.

Vi lascio con un assaggio dal pensiero limpido di Benedetto XVI, ma si può attingere ovunque, da San Giovanni Paolo II a Papa Francesco.

«(…) Le donne hanno il diritto di impegnarsi nella vita pubblica, tuttavia senza che venga mortificato il loro ruolo nella famiglia: missione, questa, fondamentale da svolgere sempre in responsabile condivisione con tutti gli altri elementi della società e soprattutto con i mariti e i padri» Pensiero n. 34, Catechesi, 1.IV. Benedetto XVI

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