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Chiesa Cattolica e dilemmi etici sulla guerra

Żołnierze ukraińscy niosą dziewczynkę

AP/Associated Press/East News

Lucandrea Massaro - pubblicato il 13/05/22

Un colloquio con il professor Rocco D'Ambrosio, presbitero e ordinario di Filosofia Politica presso la Pontificia Università Gregoriana sul tema della "guerra giusta" in Ucraina

Dopo quasi tre mesi di guerra in Ucraina, le domande sulla liceità della resistenza, sull’invio delle armi, sul conflitto stesso restano ancora intatte. Domande che interrogano sia la fede cattolica, sia l’idea stessa di come si debba regolare la comunità internazionale, un punto essenziale in un mondo sì interconnesso, ma tutt’altro che pacificato. Per guidarci in questa riflessione, Aleteia ha contattato ilprofessor Rocco D’Ambrosio, presbitero e ordinario di Filosofia Politica presso la Pontificia Università Gregoriana.

Professore quali sono i termini di questa questione?

Il punto sono i dilemmi etici relativi alla difesa armata. Sono le domande che ci siamo posti in queste settimane, vale a dire se è lecito che gli Ucraini si difendano con le armi, se è etico aiutarli come comunità internazionale.

Partiamo da qui allora: è lecito aiutarli? Non stiamo peggiorando la situazione?

Nella dottrina cattolica esiste il diritto alla difesa personale e poi esiste nel Catechismo (2309) la legittima difesa con la forza militare, a livello popolare, che ha delle particolari condizioni di liceità tra cui essere vittima di aggressione, essa non deve causare un danno maggiore della stessa aggressione, deve essere stata provata prima la via diplomatica. ecc. Essa si basa quindi su quella personale. Io posso usare le armi – almeno per quanto riguarda la persona singola -, però la persona singola può anche offrirsi come martire, io posso fare questa rinuncia evangelica ma è personale, tuttavia se a fianco a me c’è un disabile, un anziano, un bambino io ho il dovere, ripeto il dovere, di difenderlo, perché ho la responsabilità di proteggerlo. Quando la difesa riguarda gli indifesi è un dovere morale attuarla. Anche se sono un pacifista convinto. Lo stesso si applica alla difesa collettiva, che dovendosi occupare anche degli indifesi, è sempre legittima. È un obbligo morale, non solo cristiano, ma anche civile e costituzionale. Su questa linea si inserisce il richiamo all’ingerenza umanitaria, nella formulazione di Giovanni Paolo II: “Quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Queste tuttavia devono essere circoscritte nel tempo e precise nei loro obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto internazionale, garantite da un’autorità riconosciuta a livello soprannazionale e, comunque, mai lasciate alla mera logica delle armi” (Pace in terra agli uomini che Dio ama, 1° gennaio 2000).

E’ il tema della guerra giusta?

La guerra non è mai giusta. L’espressione ormai è superata: meglio parlare di difesa armata! Come dicevo il Catechismo esplicita che “Essa è giustificata solo se sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale”. E dopo aver elencato le condizioni aggiunge: “Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della ‘guerra giusta’. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune” (CCC, 2309).

Questo riferimento alla “guerra di difesa” non significa in nessun modo negare la dottrina sulla pace, ma fornisce una indicazione etica precisa ai governanti, nei casi particolari in cui i popoli sono oggetto d’aggressione “durevole, grave e certa”. Per diversi aspetti esse richiamano la legittimità (l’eticità!) del ricorso alla lotta armata contro i sistemi totalitari. È il caso, per noi italiani, della Resistenza e lotta al fascismo e nazismo: “L’unica guerra ‘giusta’ (se guerra giusta esiste)… la guerra partigiana”, come scriveva don Lorenzo Milani. Un’eco la si trova anche nella precisazione di Paolo VI, valida per molti simili casi nella storia: l’insurrezione rivoluzionaria è possibile solo “nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del Paese” (Populorum Progressio, 31).

Torniamo all’attualità: come Occidente, come comunità internazionale, stiamo facendo abbastanza o stiamo facendo il minimo sindacale?

In un primo momento forse come comunità internazionale ci eravamo convinti che Putin potesse ritirarsi, sperando che si “accontentasse” di qualche territorio ucraino, per così dire. Poi però scoperte le fosse comune ci siamo mossi ancor più, e lo abbiamo fatto con rapidità e proporzionalità. E’ qui che c’è un limite etico: possiamo sostenere l’aggredito ma non per armarlo per aggredire. Naturalmente questo rende la questione complessa: una pistola è sia un’arma offensiva che difensiva, ma la responsabilità qui passa ai politici e all’esercito dell’Ucraina. Si ha l’impressione, tuttavia, che alcuni Paesi che aiutano abbiano interesse che la guerra duri un po’ di più (anche per sperimentare armi e aumentare i profitti), e da questo derivano certe scelte.

Il Continente europeo è più attento?

L’Europa, in generale, si è comportata abbastanza bene, con le sanzioni, ma l’Europa non può fare altrimenti perché non ha una forza militare comune, per intervenire servirebbe il via libera dell’ONU, ma è impossibile a causa del veto proprio della Russia e della Cina.

Viviamo in un momento di “unanimismo” che blocca le decisioni, tanto all’ONU quanto in Europa…

Io credo che sarà più facile far cadere l’unanimità della UE che non quello dell’ONU. Il secondo è un meccanismo radicato con molte teste che decidono e difficilmente si sbloccherà, ma non disperiamo! Il primo ha ricevuto da questa crisi una spinta, sia nei politici ma anche nelle persone c’è un sentimento più europeo, perché si è capito che davanti al folle populista di turno non puoi difenderti da solo. Si guardi ad esempio a Svezia e Finlandia che non sono entrati nella NATO per decenni e ora si sono decisi in poche settimane adesso, con ampio sostegno popolare.

Il Papa può fare la differenza?

Io vedo in lui una sorta di cammino magisteriale e di gesti per favorire il dialogo tra le parti – è un’opinione strettamente personale. Il papa non ha mai detto “armiamoci” ma non ha neanche mai detto “non è lecito difendersi”. Nell’intervista a TV2000 il papa ha affermato: “Io capisco i governanti che comprano le armi, io li capisco. Non li giustifico, ma li capisco”. Per come lo comprendo io, la sua priorità è far partire la mediazione vera, seria e lavora in quella direzione, anche la frase sulla Nato nell’intervista al Corriere serve per far capire a Putin che lui, per così dire, non è il “cappellano” (atteggiamento che ha intravisto in Kirill) di una parte, per lui l’Occidente, ma è un pastore libero e interessato solo al bene di tutti.

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