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Un’impresa a misura di mamme e bambini: un esempio da seguire

MAMMA, BAMBINO,LAVORO,FASCIA

lastdjedai|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 25/05/22

WearMe Baby è una piccola azienda veneta in crescita esponenziale. E pensare che tutto è nato dalla nascita di un bambino...Il lavoro che si adatta all'esigenze di madri e bambini e che fa bene a tutti è possibile.

Sto guardando, su consiglio di un caro amico, una serie tv con la regia di Ben Stiller, su Apple TV (poi tolgo l’abbonamento, ok marito?). Si intitolaSeveranceed è bellissima: ambientazione, luci (pochissime e artificiali), attori, ritmo, idea di fondo. Distopica e chic, inquietante e anche (credo, ma non sono ancora abbastanza avanti con la visione) carica di speranza sull’uomo: che resta sempre fatto allo stesso modo, con il suo insopprimibile bisogno d’amore, la sua vocazione alla felicità passando per il dolore. Il soggetto si basa sulla realizzazione utopistica e infernale della totale separazione, lì si chiama scissione ed è operata bio-tecnologicamente, tra vita privata e vita lavorativa.

Lavorare senza distrazioni

Quando gli impiegati sono in ufficio non ricordano assolutamente nulla della loro vita da “esterni” e viceversa. Quale miglior sistema per avere la assoluta dedizione, la totale concentrazione sulle proprie mansioni e sugli obiettivi specifici della professione che essere liberati di quel fardello di emozioni, pensieri, preoccupazioni e vulnerabilità che ogni persona con dei legami normali si porta dietro?

Non posso spoilerare nemmeno se lo volessi per cui vi consiglio di guardarla.

Un modello diverso di business

Possiamo invece raccontare il finale aperto di un’altra storia, vera e in pieno svolgimento, di una piccola impresa italiana davvero femminile. Ha preso tutta un’altra strada da quelle delle quote rosa, delle rivendicazioni di classe in stile smaccatamente marxista, delle donne in ruoli apicali.

E’ partita da una mamma e dal suo bambino, per giunta con dei problemi di salute. (Quanta simpatia ho provato nel leggere di questo particolare: lo sapevo, partire dal figlio e ancora di più da quello più fragile, non può che farci bene, ma bene al punto da significare addirittura maggior benessere e prosperità, non solo per sé ma per tutta la comunità).

Porta il tuo bambino

Ho letto in questi giorni dell’azienda WearMe Baby, di cui è titolare Virginia Scirè, una donna, che poi è diventata moglie e quindi mamma e intende restare tutte e tre le cose senza portare allo scontro con eliminazione diretta nessuna di loro – trappola nella quale purtroppo spesso cadiamo anche noi prolife, ma su questa forzosa identificazione della donna nel suo ruolo di madre ci aveva già messe in guardia la stessa Edith Stein.

Mamma e figlio: unione benefica e non intralcio

Dall’intervista pubblicata sulla rivista DiLei scopriamo con giusto compiacimento che una strada diversa è possibile. Anche adesso, persino prima che lo Stato si decida a fare fino in fondo il proprio dovere promuovendo e tutelando famiglia e maternità, investendo davvero sul futuro, avendo a cuore soprattutto i bambini e i loro fondamentali bisogni. Uno di questi è e resta il rapporto costante, stabile e il più possibile sereno con i propri genitori, innanzitutto la mamma: suo è il pur costoso privilegio della gestazione, sua la dolce fatica dell’allattamento, sua l’esperienza di fusionalità transitoria ma necessaria e a lei e al bimbo per un sano sviluppo futuro.

Conciliazione contromano

Allora, cari tutti, perché non si parte da questa evidenza grande come una casa per trovare la necessaria conciliazione tra famiglia e lavoro (e l’ordine dei due termini significa che prima viene quella e dopo quello)?

Sarà il lavoro a doversi conciliare con la persona, così come sono i vestiti, di solito che si comprano o si realizzano adatti alla nostra fisicità e non viceversa (sebbene sappiamo quanto la taglia 38 o 40 eserciti ancora un fascino irrestisbile su giovanissime e non solo).

La storia di Virginia

Virginia ha fatto esattamente questo: aveva già un lavoro, prima di avere il suo primo figlio; subito dopo ha addirittura ricevuto una promozione che però avrebbe previsto uno spostamento di chilometri da casa e quindi aggiunto ore di separazione tra lei e il piccolo. Da quel momento di crisi è nato il cambiamento che, passo dopo passo, l’ha portata all’attuale assetto familiare e professionale.

La sua non è la vendetta contro gli imprenditori in stile Elisabetta Franchi, potrebbe diventare però un ottimo esempio da imitare.

A misura di madre

Ma se è vero che c’è sempre un’eccezione che conferma la regola e che anzi, non la conferma, è vero anche che esiste un’azienda in Italia che ha creato un’organizzazione a misura di mamma.

Chi lavora per WearMe Baby, questo il nome dell’azienda, ha diritto a orari flessibili, ad accedere a modalità di lavoro ibrida e a portare i figli a lavoro. E per quanto riguarda gli orari si chiude alle 16, così tutti hanno il tempo di organizzare gli impegni familiari e anche il tempo libero.

DiLei

Senza spendersi in melense e ininfluenti sviolinate sull’eccezionalità di approccio di questa donna, la cosa da mettere a fuoco è il pensiero che la precede: come si può essere donne, madri e lavorare bene, facendo profitto? La risposta, per una volta, non è stata “correndo ancora di più, aggiungendo più ore, allungando gli orari degli asili nido, offrendo bonus baby sitter”.

Più vicini

E’ stata il contrario: avvicinare ancora di più la mamma e il figlio, adattando il vestito ai due corpi. E nel caso di WearMe Baby non si tratta solo di una metafora. Gli articoli di punta dell’azienda sono esattamente quelli che permettono di “portare il bambino”: fasce, marsupi, cappotti e felpe per portare il bimbo sul dorso o sul petto.

Insomma, l’opposto di Severance. E con risultati eccellenti, se è vero che l’azienda ha triplicato i propri ricavi nel giro di pochi anni.

La cosa più interessante è vedere il seme iniziale, quello che ha permesso la maturazione di questi frutti. I semi, al solito, sono cose piccole, quasi invisibili, ma contengono tutto il necessario.

Se ci costringete a scegliere…

La storia di Virginia, donna 43enne e mamma di due bambini, almeno nella sua parte iniziale, condivide lo stesso destino di moltissime altre mamme, quelle che si sono viste costrette a rinunciare al lavoro per trascorrere del tempo con i figli.

DiLei

Ci hanno imposto un aut aut e noi, di solito, brilliamo per la capacità dell’et et: questo e quello, tu e l’altro, cucino e intanto scrivo un paragrafo (salvo poi bruciare il sugo o inciampare in un refuso). Diventare madre ci cambia nel profondo, ma non taglia via dei pezzi di noi, anzi, li attraversa tutti. Non ultimo il nostro bisogno e la nostra capacità di lavorare.

Il super potere della normalità

Non ci interessa più essere delle wonder woman, vogliamo il ritmo giusto, abbiamo capito che il tempo, quello sì, ha una qualità imprescindibile: è limitato e non è mai uguale a sé stesso. Madre e figlio hanno bisogno di tempo. Per questo, se siamo costrette a scegliere, non abbiamo dubbi (ma a volte non si ha nemmeno questo privilegio):

Dopo la laurea in economia ho trovato lavoro in un’azienda finanziaria. Nel 2008 sono diventata mamma, ma poco prima della fine del periodo di maternità mi hanno proposto un trasferimento a Verona con contratto full time. Questo avrebbe voluto dire stare lontano dal mio bambino per 8 ore e anche di più, considerando il percorso giornaliero per raggiungere la città da Castelfranco Veneto.

Così è accaduto anche a Virginia: ha dovuto fare una scelta “anche e soprattutto in vista del fatto che il mio bambino è nato con un problema di salute”.

Dal licenziamento alla “gestazione” di un nuovo lavoro, il suo

Così si è licenziata, immaginiamo con dolore.

e ho approfittato del restante periodo della maternità per reinventarmi. Ero diventata mamma, è vero, ma sentivo la necessità di affermarmi anche sul lavoro. Io a quello non volevo rinunciare così come non ho mai rinunciato a essere donna, prima che mamma.

Ibidem

Siamo già al lieto fine o meglio al buon inizio? Non ancora; anche in questa storia, come nelle nostre gestazioni, c’è gradualità, progressione, passi che man mano coprono chilometri.

Passo dopo passo

Ed è stato allora che hai pensato a WearMe Baby?

No in realtà no, o meglio non ancora. Ho scelto di aprire un negozio di abbigliamento per bambini online facendo un piccolo investimento iniziale. Dopo soli 15 giorni avevo già venduto tutta la merce che avevo messo online e questo mi ha dato la spinta ad avviare l’attività. Nel 2010 ho aperto il mio primo e-commerce e ho iniziato a lavorare da casa. Quando nel 2013 sono diventata di nuovo mamma di Emma mi sono avvicinata alla pratica del baby wearing introducendola nella mia quotidianità. Dovendo conciliare il lavoro da casa con la presenza della mia bambina ho iniziato a utilizzare la fascia e la mia vita è cambiata

Ibidem

E’ da un po’ che proviamo a dirvelo: non è separandoci dai nostri bimbi, soprattutto piccolissimi, ma anche dopo, vi assicuriamo in molte che la presenza è quanto mai necessaria, che otterrete da noi il contributo che ci teniamo a dare. E’ esattamente il contrario: più vicinanza, meno spreco di tempo, più libertà.

Dulcis pondus

Dal dolce peso della sua bimba portata in fascia è partito lo slancio dell’azienza che ora veleggia su eccellenti risultati anche economici.

Le cose che racconta Virginia sono particolarmente interessanti perché, nel difendere i diritti di mamme e bambini, non si chiude in un ghetto, non eleva la madre a icona staccata dalla realtà e non sminuisce le altre persone. Il lavoro a misura di mamme, infatti, fa il bene di tutti. Nessuno sta bene se lavora instancabilmente, pensando solo alla produttività, dedicandosi all’azienda come si trattasse di una divinità. Il lavoro deve essere a misura di persona, semplicemente le mamme e i bambini piccoli lo rendono particolarmente evidente perché richiedono speciali attenzioni.

C’è bisogno di un certo ritmo

E’ il modello entro il quale ragioniamo, o abbiamo ragionato fino ad ora, che ostacola le soluzioni. Non dobbiamo adattare le nostre famiglie e soprattutto le esigenze dei più fragili, per fase di vita o per condizione, bambini o malati o anche solo anziani che siano, ai ritmi serrati e sempre uguali della produzione industriale o all’erogazione di servizi. La prima tutta intenta a ottimizzare risorse e a non sprecare tempo, la seconda a considerare le voglie capricciose del cliente come legge suprema.

POV: la Chiesa è davvero madre e maestra

Ancora una volta la Chiesa offre il POV (come dicono ora i tiktoker, il point of view) migliore, perché considera tutte le dimensioni in gioco e si preoccupa del vero bene della persona. La persona è guardata secondo la sua dignità indisponibile a tutti (persino alla persona stessa) e anche il lavoro è letto secondo il rapporto dell’uomo con Dio e con tutto il Creato; al link il compendio della Dottrina Sociale.

Il lavoro ha bisogno di inserirsi nel e di favorire il ritmo umano. Quando noi donne diventiamo madri ci accorgiamo di questa dimensione ancora di più: le esigenze del nostro neonato richiedono riposo e attività, pause e movimento. Persino il nostro atteggiamento nei confronti dei beni d’acquisto cambia: non sempre e solo smania di fare shopping purchessia, ma anche attenzione alla qualità, alla durevolezza, all’eticità di un capo, di un oggetto.

Meno usa e getta, per le cose e per le persone

E anche in questo senso l’azienda di Virginia Sciaré sembra assecondare questo trend.

(…) quanto le collezioni che produce WearMe rappresentano il modello che ha utilizzato l’azienda?

Il collegamento c’è ed è evidente. I capi d’abbigliamento che produciamo sono fatti per le persone, per farle sentire bene a loro agio attraverso forme e tessuti, naturali e Made in Italy, che possono accompagnare la donna, ma anche l’uomo, in ogni fase della vita. Al centro di tutto ci sono le persone, c’è il cliente finale e ci sono i dipendenti dell’azienda. Perché è il fattore umano che fa la differenza.

Ibidem

Dal bisogno di una bimba appena nata e della sua mamma di stare insieme è fiorito un modello di business sano, efficiente, prospero e cooperativo. Così si dimostra lo stile “giurassico” di certi modelli che resistono come fossili (speriamo) di un’epoca che dobbiamo superare.

Come sei arrivata all’organizzazione a misura di mamma?

Con WearMe Baby ho dovuto affittare un nuovo ufficio e mi sono avvalsa di due collaboratrici. Una è andata presto in maternità e l’altra era già mamma. È stato in quel momento che ho capito che dovevo ripensare l’organizzazione. Ho ridotto gli orari, programmando la chiusura delle attività alle 16 e ho concesso la modalità in smart working. Non solo, però, ho anche dato alle mie collaboratrici la possibilità di portare i bambini a lavoro, così possono tenerli con loro, grazie alle fasce, mentre sono al computer.

E ha funzionato?

Assolutamente sì. Il brand è cresciuto tantissimo triplicando in pochi anni il fatturato e producendo capi d’abbigliamento Made in Italy, artigianali e con fibre naturali che accompagnano le donne in ogni fase della vita, quindi non solo in gravidanza. Le mie dipendenti riescono a ottimizzare al meglio il lavoro e ad avere quel perfetto equilibrio tra tempo libero, famiglia e professione, non rinunciando a niente.

Cambiamenti a portata di mano

Che questo modello non sia una specie di oasi per minoranze etniche minacciate lo dimostra il fatto che la titolare assuma tutti, donne, uomini, madri, padri, persone single. La scoperta della maternità non più come minaccia ma come valore aggiunto ha fatto bene al lavoro e al benessere di tutti.

Certo, ogni decisione comporta rischi e sacrifici, persino incomprensioni; e ogni cambiamento richiede tempo (ma che, volete insegnarlo a chi ha aspettato 9 mesi la nascita del proprio figlio?)

L’azienda WearMe Baby chiude alle quattro del pomeriggio e non tutti sono d’accordo o accettano questa anomalia in controtendenza rispetto ai centri commerciali aperti fino alle 22, i supermercati notturni, le aperture domenicali. Non importa:

L’idea di chiudere alle 16, di introdurre la modalità di smart working che durante il Covid si è rivelata fondamentale, e di concedere part time con orari flessibili, mi ha permesso di dare vita a questo modello efficace ed efficiente. Le persone, e non solo le mamme, in questo modo riescono a organizzare meglio la vita. E lavorano più rilassate perché sanno che il lavoro non è un ostacolo rispetto all’organizzazione degli impegni.

Hai incontrato qualche difficoltà prima di trovare questo equilibrio perfetto?

Una più di tutte, quella relativa all’orario di chiusura. Non è facile per i clienti adeguarsi a questi orari, perché in Italia non funziona così, nessuno chiude alle 16.00. E so che forse alcuni clienti li ho persi ma io continuo a fare così. La mia è una scelta consapevole. Per avere un’azienda che funziona devo avere dei dipendenti sereni e felici, e facendo così li ho.

Ibidem

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