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La preghiera notturna “vale di più” di quella diurna? 

prayer night

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Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 25/05/22

La notte, mentre il mondo si riposa e il silenzio regna, alcuni vegliano e pregano. Perché la calma notturna è propizia alla preghiera? È la condizione ideale per una preghiera più efficace?

Come molti, soffrivo di insonnie dovute probabilmente allo stress e alle angosce del quotidiano. Contavo le pecore con gli occhi spalancati, oppure le fessure sul muro, incapace di trovare il sonno mentre il resto della famiglia dormiva dolcemente… E un giorno mi è venuta un’idea: piuttosto che tentare invano di provocare il sonno, tanto vale trasformare l’insonnia in veglia. 

È così che Julie ha confidato ad Aleteia il punto in cui la sua vita è cambiata. Professoressa di lingua e letteratura a Nantes e madre di un ometto di tre anni, lo conferma – ora, quando si trova sveglia nel cuore della notte, si rivolge a Dio: «Signore, sono qui, mi metto in ascolto di Te». 

Da allora i momenti di veglia, anche se non sono volontarî, restano per lei molto preziosi: 

Mi sento connessa pienamente a Dio, in modo molto più forte, grazie al silenzio e alla calma della notte, lontano dal ritmo frenetico della giornata. È un’esperienza stupefacente per me: questo tempo che si dilata mi permette di immergermi completamente nella mia interiorità, come un sottomarino in acque profonde. Talvolta ho quasi voglia di non tornare in superficie, per non lasciare questo spazio confortevole in cui Dio si manifesta. È molto sorprendente, perché prima ero angosciata, quasi disperata, quando il sonno non arrivava… 

Superare la propria propensione all’assopimento per restare con Dio 

conduce alla scoperta di una veglia più interiore, spesso eclissata dalle preoccupazioni mondane. 

Questa è l’opinione di Xavier Accart nel prezioso opuscolo L’art de la prière. È in tal senso che la preghiera notturna può essere più efficace: essa permette di raggiungere il silenzio e la calma interiori, indispensabili per vivere l’esperienza della presenza di Dio, ma difficili, talvolta impossibili da trovare nella vita quotidiana e diurna. 

Se ogni cristiano è invitato a consacrare alla preghiera una certa parte della notte – afferma dom André Louf, citato da Xavier Accart –, poco importa la durata: anche una veglia brevissima è l’opera dello Spirito santo in noi. 

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Questa affermazione risponde ai ripetuti appelli di Gesù a vegliare. Egli stesso passava le notti in preghiera. Per lui, la lode come l’intercessione non si arresta(va)no mai. Mentre il mondo si riposa e il silenzio regna, Gesù prega perché il mondo riposi fra le mani di Dio. Come lui, i monaci si levano di notte per offrire a Dio i loro momenti di veglia. È appunto quanto i salmi cantano: 

Nel mio giaciglio di te mi ricordo,
penso a te nelle veglie notturne. 

Sal 62,7 

Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per le tue giuste sentenze. 

Sal 118,62 

Pratica comune dei primi cristiani 

Uscire un momento dal sonno per pregare sembra essere stata pratica comune fra i primi cristiani. 

Dobbiamo alzarci spesso dal nostro letto, durante la notte, e rendere grazie a Dio – consigliava Clemente d’Alessandria nel II secolo –: beati quelli che vegliano per Lui, perché assomigliano agli angeli che noi chiamiamo vigilanti

Guidato dalla parola di Dio, san Paolo esortava anch’egli i cristiani a pregare incessantemente. San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, riprende da parte sua questa dottrina invitando i monaci ad alzarsi di notte per vegliare e pregare Dio. Mediante tale preghiera notturna, essi vivevano così in maniera simbolica il passaggio dalla morte e dalle tenebre alla luminosa Risurrezione di Cristo. 

Altri grandi santi sono noti per le loro veglie notturne. Charles de Foucault, segnato dall’esempio di Cristo, amava particolarmente l’adorazione notturna. 

È così dolce passare ai Vostri piedi le ore silenziose della notte – scrisse nel 1897 –: essere tête-à-tête con Voi mentre dormo sulla terra, essere solo ad adorarVi, a d’enormi in ginocchio davanti a Voi dicendoVi che Vi amo… Santissimo Sacramento esposto! Che felicità! 

L’unione a Dio che si opera in pienezza 

Quanto a san Giovanni della Croce, nei suoi scritti la parola “notte” non è mai lontana da “purificazione”. Egli vi insiste ripentendo che la notte purifica. Quando uno dice “Dio mi ha abbandonato”, il santo carmelitano rettifica e dice piuttosto “Dio mi purifica”. Le risonanze liturgiche della notte di Natale e le notti della Settimana santa, specialmente quella del Giovedì e del Venerdì santo, hanno fortemente influenzato il carmelitano spagnolo: la notte diventa allora per lui il simbolo della spoliazione totale, ma anche quello della riparazione e della speranza. 

Per san Giovanni della Croce, l’anima ha radicalmente la propria vita in Dio. Solo che, se Dio è sempre presente nell’anima, Egli non è sempre presente all’anima… Nel suo senso più profondo, la preghiera notturna può permettere allora che l’unione con Dio si operi pienamente. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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