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Difendere la vita: all’inizio, alla fine e in mezzo

DONNA, PARTO, NEONATO

Lelde Feldmane-Zajarska|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 27/05/22

La difesa della vita si concretizza spesso e a ragione come lotta all'iniquità dell'aborto. Corriamo forse qualche rischio dicendo che "scegliamo" la vita?

Essere pro vita

La vita si sceglie? C’è chi, in questi giorni, ha voluto mostrare il rischio di usare questo verbo per descrivere l’autentica posizione di difesa della vita fin dal suo concepimento.

Questione di lana caprina, sarei tentata di dire, perché chi potrebbe anche solo sospettare che le numerose persone che hanno partecipato e prima promosso la Marcia per la Vita abbiano la più vaga intenzione di sposare la causa pro choice?

Sono per la vita, per la dignità della persona umana che tutti ci definisce fin dal principio; e la famosa scienza senza acca in fondo lo sa benissimo e ce ne mostra di continuo spettacolari conferme.

Nessun salto quantico per passare dalla presunta fase “accozzaglia di materiale organico” a feto umano e a bambino pienamente formato.

La vita e la nostra libertà

La vita ci sceglie, forse? Bel tentativo. Buttarla in caciara poetica per dire che la vita è come un pacco che ci viene recapitato senza averlo richiesto non risolve alcunché. Che sia data non c’è dubbio, che possiamo decidere come agire (il che significa scegliere) a suo riguardo anche. E’ il dramma del libero arbitrio. Sappiamo però che la libertà si compie davvero quando decide senza coercizione di aderire al bene (che è vero, giusto, bello). E per chi usa rettamente la ragione non c’è dubbio: sopprimere una vita, ancor di più se totalmente inerme e innocente, è inaccettabile.

La facilità dell’aborto mette in scena un diritto inesistente, quello di sopprime un altro essere umano

Il fatto che le procedure abortive sembrino aver reso diritto ciò che è mutevole desiderio è un enorme inganno che non fa che confermare la seguente menzogna: la scelta tra non uccidere un figlio in utero e ucciderlo è indifferente e soprattutto insindacabile; tale scelta resta solo nella sfera della vita della donna, lascia il mondo e le persone uguali a prima. E non è veramente uccidere, dai, dicono. Ma non tutti.

Tale padre e madre, tale figlio

Pensare al figlio come a oggetto ed esito di desiderio, e per questo soggetto alla decisione dell’adulto, quand’anche la decisione fosse “Sì, nasci pure, che ti desidero tanto”, nega la pari dignità ontologica delle persone coinvolte, adulto e bambino, genitore e figlio. Cosa che invece, riconosciuta, risolve in anticipo tutta una serie di tormenti da ansia da prestazione che mamme e papà si autoinfliggono. Non sei frutto del mio desiderio, non devi compiere alcuna mia ambizione di realizzazione, tu sei tu, non me.

L’esercizio di un potere che non ci spetta

Questo pseudo diritto che considera equivalenti (ma nei fatti si vede che preferisce che la choice sia sempre per l’aborto) uccidere o non uccidere un figlio in utero consegna nelle mani della sola madre un potere di cui crede di voler disporre. Ci crede a volte disperatamente perché vuole sottrarsi a ciò che spesso a buona ragione teme: sarà dura, non avrò sempre tutti i mezzi necessari, forse verrò a mia volta abbandonata.

L’errore, o meglio il limite di questa posizione, che ha tutta la mia umana comprensione, è appunto che non tutta l’umanità coinvolta è considerata: viene sacrificata proprio quella più debole, il bambino. La sua innocenza dovrebbe tornare a suonare come comando imperioso: proteggimi, ci sono. Per fare tutto il resto, per autodeterminarmi a mia volta, occorre che tu, adulto, mi lasci l’attributo fondamentale: l’essere vivo.

Quando si decide per la vita?

Va detto che anche chi ha la grazia di una coscienza rettamente formata, per cui aderisce alla verità secondo la quale ogni persona ha la dignità di persona fin da subito, e perciò nessuna constatazione di gravidanza in corso pone di fronte ad alcuna scelta, in realtà una decisione l’ha presa prima.

E ha deciso di vincolare la propria volontà anche contro la paura, i rischi, il rifiuto che una gravidanza, fisiologica o a probabile esito infausto, potrebbe suscitare. In qualche modo si sceglie di accogliere, di accettare la fatica di prepararsi anche al dolore, di vivere la gioia nelle dosi che toccheranno in sorte.

Il giudizio orienta la libertà

La scelta per la vita è questa: un assetto di tutta la persona che con la ragione e la volontà fa cordone intorno alla vita nascente perché sa che essa lo esige. E per questo si oppone a leggi inique, invoca la libertà della propria coscienza, si prodiga per risvegliare quelle altrui. La battaglia a difesa dei nascituri è davvero uno snodo epocale per l’umanità intera.

Non sono il concepito, ma anche il nato da un bel po’ di tempo

Ma c’è un aspetto che spesso si nota nei dibattimenti non sempre urbanissimi tra varie correnti di pro life e che emerge con prepotenza. Sembra quasi che chi profonde le proprie migliori energie nella difesa del concepito arrivi come fiaccato o forse pago alla soglia della vita extrauterina. Sei nato? Ben arrivato: la decisione fondamentale è stata presa e ti ha permesso di accedere alla vita, ora pedali la tua bella bicicletta esistenziale.

E se il tema invece fosse che non solo la vita va scelta all’inizio (nel senso di accolta, protetta, custodita, celebrata, difesa a costo della propria, persino intenzionalmente e responsabilmente cercata) ma continuamente, ogni giorno?

Ed è di sicuro già così; non può che essere così proprio per la verità che si difende nell’inizio, nell’invisibile cominciamento di una nuova esistenza. La vita non può che esigere sempre la nostra totale e integra difesa e promozione.

Sei vivo perché l’ho deciso io

Ci sono due video che scorrazzano per la rete che potrebbero esemplificare queste due posizioni: quella della scelta male intesa, come accesso a opzioni equivalenti e insindacabili in capo alla donna, e quella dell’ascesi continua che la vera accoglienza della vita impone.

Canticchiare come nenia al figlio il suo essere scampato all’aborto

La prima è quasi spaventosamente rappresentata da una giovane donna che dal suo profilo TikTok (che ora consente video più lunghi, fino a 10 minuti) spiega con la sua meravigliosa neonata in braccio che va bene così, che lei avrebbe tranquillamente potuto ucciderla e non l’ha fatto, che ha scelto di non ucciderla; è lei che le ha permesso di passare dalla fase zigote a quella di embrione e poi feto, dice vezzeggiandola; e dunque guai a negarle il suo diritto: è donna e deve poter scegliere se uccidere o non uccidere il suo bambino. Dice proprio to kill, uccidere.

mama-claire-tiktok.png
TikTok, @mamaclaire00

Di una brutalità disarmante: mostra con folle lucidità le conseguenze della mentalità abortiva, falsamente detta pro choice. (Da come sembra trattare la sua bimba e l’altro figlio un po’ più grande questa giovane madre mostra una contraddizione che fa ben sperare: predica come ha imparato da anni di indottrinamento, forse, ma razzola più naturalmente, come la sua esperienza di mamma le insegna. Per quanto, pensando a quella piccola, scoprire prima o dopo di essere dei sopravvissuti al pollice verso della propria madre deve essere spaventoso. E chissà quanti già hanno all’attivo questa esperienza).

Decidersi ogni giorno per la vita

L’altra posizione è raccontata nel video di una realtà che si propone di sostenere i genitori nella fatica dell’educazione, Parents Avenue: il breve filmato mostra più che spiegare come la maternità (e parimenti la paternità) sia da scegliere continuamente, giorno per giorno.

https://www.facebook.com/parentsavenue/videos/1660885297365391

Oh mamma, detta così sembra una cosa stressantissima: non scelgo se essere madre di attimo in attimo; piuttosto rispondo con l’energia e la lucidità che posso, ondivaghe entrambe ma stabili nella decisione radicale che le sostiene, all’appello della vita che ho accolto e che ritrovo prima di tutto in me e poi nei miei figli.

Ho scritto difficile una cosa semplice, che però non è per niente facile: servire la vita è cosa per cuori tenaci (e stomaci forti, alle volte).

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