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Aborto: come sono cambiate le donne che si rivolgono ai CAV?

ABORTO, DONNA AL LAPTOP

mytrykau|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 24/06/22

E come deve cambiare il mondo pro life per intercettare un bisogno che esiste ma diventa sempre più sfuggente e nascosto? Intervista alla Presidente del Movimento e Centro Aiuto alla Vita di Varese.

Alla luce dell’ultima Relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge 194/1978 e riflettendo sul cambiamento che l’esperienza dell’aborto attraversa da almeno un decennio a questa parte, abbiamo voluto chiedere a chi opera sul fronte di ascolto e aiuto alle donne tentate di abortire di raccontarci in che termini questo cambiamento sta avvenendo e che cosa richiede ai volontari pro life.

Dopo avere letto e recensito il libro Una chat per la vita- Cinquanta storie di speranza edito da Ares, abbiamo chiesto a una delle due curatrici e presidente del Movimento e Centro Aiuto alla Vita di Varese di rispondere a qualche domanda sul tema. La dottoressa Vittoria Criscuolo si è resa prontamente disponibile.

Ecco le nostre domande e, soprattutto, le sue risposte.

Nel 2020 si è registrato nei primi due trimestri un calo sia degli aborti chirurgici, sia del ricorso alle pillole del o dei 5 giorni dopo: dal terzo trimestre, invece, queste ultime hanno visto aumentare le vendite fino a livelli superiori a quelli pre pandemia. Vorremmo sapere da voi in che modo questo cambiamento ha inciso sulle vostre attività di aiuto, prevenzione e ascolto di donne tentate di abortire. E che cambiamento richiede, se lo richiede, al mondo pro life

Purtroppo la diffusione dell’aborto farmacologico ha influito, e di molto, sull’attività di accoglienza propria dei centri di aiuto: si sono drasticamente ridotti i numeri delle donne che afferiscono ai nostri centri ma, soprattutto, allo sportello in ospedale (realtà presente a Varese da più di 10 anni).

Nella convinzione ormai diffusa che le pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo siano “solo” un contraccettivo d’emergenza, le ragazze e le donne, in generale, le utilizzano in numeri spaventosi, senza rendersi conto di due fattori:

a) in alcuni casi si effettua un micro aborto in fase iniziale; b) l’esposizione a dosi massicce di ormoni potrebbero anche avere effetti a lungo termine sulla salute delle donne.

Urge una rivoluzione copernicana nel mondo pro life: abbiamo verificato ormai da quattro anni, con il movimento per la vita di Varese, che la vita dal mondo reale si è spostata nel mondo virtuale.

Le persone, invece di chiedere aiuto in presenza, lo chiedono al web. Con il nostro sito, con la nostra chat, abbiamo risposto ad un bisogno colmando una lacuna delle associazioni pro life: vengono a leggere i nostri articoli e scrivono sulla nostra chat donne, uomini, ragazzi, tutti con dei problemi e con delle difficoltà ai quali cerchiamo di dare una soluzione.

Se altre associazioni in Italia provassero a mettersi sul web con la modalità che abbiamo sperimentato, noi per primi, forse si otterrebbero risultati inaspettati. 

A vostro avviso quanto hanno inciso su questa tendenza le linee di indirizzo del Ministro della Salute – dell’agosto 2020 – che hanno alzato a 9 settimane di gravidanza il termine per l’assunzione di farmaci abortivi?

Hanno inciso in modo spaventoso: l’aborto è diventato uno degli avvenimenti comuni che possono accadere nella vita delle persone.

Si è ulteriormente persa la consapevolezza del fatto che si sopprime un bimbo e che, indipendentemente dall’epoca gestazionale, una donna incinta, anche se abortisce, è mamma per sempre.

Nell’immaginario collettivo l’aborto così diventa indifferente, la donna depositaria di “ ius vitae necisque”, diritto di vita e di morte ( ma lo aveva sancito già la legge 194, che in questo senso ha “fatto” cultura), l’uomo relegato ad un ruolo secondario, marginale, anzi inesistente , privo della voce per difendere il proprio figlio.

Le donne che scelgono di assumere EllaOne o Norlevo si percepiscono più libere? Si ritrovano invece più sole e ancora meno attrezzate nel far fronte alle conseguenze di un aborto meno visibile, più privato?

L’esperienza della chat del sito www.vitavarese.org dimostra proprio che la donna è lasciata da sola nella decisione più amara della sua vita: sopprimere il bimbo che porta in grembo.

È significativo che le visite al nostro sito e i contatti  sulla chat avvengano di notte, quando le persone sono sole e il dolore diventa sordo e insostenibile.

Se questa è la libertà che Ellaone e Norlevo  hanno consegnato alle donne, forse c’è qualcosa su cui bisognerebbe riflettere: il concetto di libertà. Ma ci vorrebbero pagine e pagine di filosofi per trattarne.

Quali fattori dovrebbe indagare la relazione sull’attuazione della 194 che invece sembra non considerare, prediligendo una lettura in termini di “facilità di accesso all’aborto” e non di rimozione della cause che portano le donne a sceglierlo?

Ritengo che bisognerebbe porre attenzione a due fattori: le cause e le soluzioni.

Le cause principali sono quelle economiche? Allora si provvede con un sussidio per un tempo prolungato, diciamo almeno di tre anni, per sostenere la mamma e il suo bambino. In pratica, ilProgetto Gemmache è stato inventato dal Movimento per la Vita, non resti solo un’iniziativa delle associazioni di volontariato, ma diventi a tutti gli effetti un sussidio dello Stato. 

Le cause sono sociali, di solitudine? Si provveda ad una rete di sostegno, che accompagni la mamma nell’arco della gravidanza, aiutandola a realizzare amicizie significative in realtà solide.

Se lo Stato non è in grado di individuare questo tipo di soluzione, dia appoggio ad associazioni abituate a farlo: le “case di accoglienza”, la Comunità Papa Giovanni XXIII, ecc.

La vera rivoluzione, però, dovrebbe essere culturale: la maternità non più vista come un intralcio alla realizzazione personale, ma come un privilegio per la donna, la famiglia, la società tutta. 

La maternità come ricchezza per la società. Per fare una rivoluzione culturale, però, ci vogliono tempo e intelligenza. 

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