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Questionario ai caregiver: “scioccanti” non sono le domande

MAMMA CAREGIVER FIGLIO DISABILE

Lipa23|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 27/06/22

Scioccanti sono i carichi di lavoro che tante persone portano per seguire il proprio familiare non autosufficiente, a volte provando sentimenti "poco presentabili". La presa di coscienza di questa realtà dovrebbe innescare un cambiamento nelle istituzioni e nella società per passare dallo commozione estemporanea e i discorsi altisonanti ad aiuti concreti, intelligenti, strutturati. (Da non dover ottenere previe lunghe sevizie burocratiche).

Il questionario del Comune di Nettuno

Come prima reazione sono esplosa, inveendo contro le domande (che non avevo letto integralmente, né mi ero ancora adeguatamente informata del contesto e dello scopo per il quale sono state formulate) ammorbando i miei colleghi nella chat di redazione; dopo, invece, mi sono ampiamente ricreduta.

Il questionario del Comune romano, Nettuno, è stato inviato alle famiglie con un familiare disabile affidato alle loro cure e ha (avrebbe avuto) lo scopo di indagare e misurare il livello di stress e di conseguenza la qualità dei servizi offerti per sostenere il carico del caregiver. Certo, è richiesto come ulteriore documento da presentare insieme a ISEE, diagnosi mediche. Siamo stanchi di documenti da produrre continuamente.

Caregiver Burden Inventory

L’intervista utilizzata è quella messa a punto da Mark Novak e Calor Guest nel 1989, pubblicata sulla rivista scientifica The Gerontologist, volume 29. Le domande quindi sono la traduzione del CBI, Caregiver Burden Inventory (CBI).

Il “questionario dello scandalo”, ridotto da quasi tutti i media alle ultime domande lanciate dritte al bersaglio dell’indignazione automatica da semplici ma sempre efficaci “virgolettati”, è lo stesso che ha utilizzato anche Roma capitale e obbedisce a linee guida regionali sul tema disabilità, impegno e stress dei caregiver.

 La stessa Amministrazione, in una nota, spiega che il modulo era “inserito nelle linee guida regionali e utilizzato da altri Comuni della regione nonché in altre regioni d’Italia.

E’ stato recepito – si legge -dal distretto socio sanitario territoriale prima di essere sottoposto alle famiglie.

Il questionario è uno strumento scientifico indicato da una delibera di Giunta regionale tra i possibili strumenti da utilizzare da parte dei Comuni e consiste in una modalità di autovalutazione (percezione soggettiva dello stress), semplice ma efficace, riferita a cinque differenti aspetti della condizione di caregiver familiare: carico oggettivo, psicologico, fisico, sociale ed emotivo (percezione soggettiva). L’obiettivo è quello di individuare idonee misure di sostegno per le famiglie interessate“. (grassetti nostri, NdR)

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Le domande

Eccole, dunque, le terribili domande, che per capire basta leggere in ordine, partendo dal titolo, facendo propria la scala di valore da utilizzare nelle risposte, cominciando dalla D1 e terminando con la E24. E considerando che è uno strumento di raccolta di informazioni salienti.

CBI-domande-stress-caregiver.png

Il carico è anche emotivo

Solo l’ultima sezione, che viene dopo aver risposto e forse essersi anche resi conto di quanto incida l’impegno di cura nella propria vita, si domanda se e quanto il proprio caro disabile susciti in noi sentimenti negativi; sentimenti che sono solo apparentemente in contrasto con l’amore e la dedizione che nostro figlio, coniuge o genitore merita.

Provare imbarazzo per un’azione effettivamente strana, non adeguata all’età del bambino o dell’adulto; sentire fastidio per il peso degli sguardi o le osservazioni pur comprensibili di chi si avvicina solo di rado o per la prima volta al nostra familiare disabile, provare rabbia perché a causa sua, pur senza alcuna colpa, siamo costretti a rinunciare a normali e salutari occasioni di socialità o a rispondere a domande inopportune (molto peggio di queste, lo possiamo assicurare in milioni), non è sintomo di poco amore.

E’ segno inequivocabile che il questionario ha senso di esistere.

Il carico di lavoro, la riduzione estrema della propria libertà, spessissimo la rinuncia al lavoro fuori casa, l’ininterrotto susseguirsi di attività di accudimento e, cosa in assoluto peggiore, l’estenuante e spesso umiliante ammonticchiarsi di pratiche da sbrigare, dottori da sentire, procedure da fare, farmaci da ritirare, consulti da chiedere, è talmente greve, ottuso, pervasivo che non si ha nemmeno la forza di parlarne e di rendersi conto di quanto ci appesantisca. Figuriamoci se si ha l’energia per protestare.

L’amore non è scemo

L’amore non è patetico slancio sulle ali del sentimento; non è nemmeno rinunciare a sé stessi o sacrificare il resto dei familiari alle necessità imprescindibili del fratello o figlio malato; non è ingoiare e ignorare i moti di rifiuto, la stanchezza, a volte la disperazione (sì, a me capita: dispero delle mie forze, ho paura del futuro, mi intristisco, non spero più di trovare ascolto sincero. Eppure so che ciò che provo non è vero, che la visione tornerà più serena. A volte basta una passeggiata. Capite?).

Il sacrificio per amore non è questo, non è ridursi a uno stracco. Per questo occorre fare di tutto per alleggerire e rendere praticabile e vivibile ogni condizione;

la cura, quindi, è da destinare non solo alla persona fragile per condizione patologica ma anche a chi, per un obbligo che accoglie liberamente, persino con gratitudine e con grande profitto personale, se ne fa carico.

Quando i mesi, fatti di giorni e notti tutte attaccate, diventano anni sulle spalle di chi accudisce e anche sulle articolazioni e i muscoli poco usati di chi è curato ogni giorno capita che gli altri, i familiari un po’ più lontani, certi amici forse poco attrezzati, i conoscenti, si abituino alla vostra esistenza e non vedano più la vostra fatica. Non la sentano nemmeno, perché sono sicura che spesso la si racconti, ci si confidi.

E in ogni caso non siamo mosche bianche colpite da un destino avverso che si accanisce su pochissimi per lasciare a tutti gli altri solo giorni felici e vacanze in resort di lusso; la vita picchia duro in molti modi. Così come offre delizie anche in condizioni proibitive.

Un impegno che non ha pause naturali

Non basta l’amore melenso, non serve la cieca temerarietà del kamikaze, anche perché il carico del caregiver è costante e tendenzialmente crescente, mentre non così sono le sue forze.

Servono intelligenza e calcolo delle risorse. Occorre una vera valutazione del carico, una ridistribuzione dello stesso, sarebbe bellissimo imbattersi in una sincera condivisione. Serve soprattutto che nella vita dei caregiver entri altra vita; che non arrivi, se possibile, a coincidere con la cura del familiare. Nemmeno il familiare accudito, se è in grado di comprendere, lo vuole, ne sono sicura-sicura.

E anche quando l’impegno diventa totalizzante serve sempre una sorgente che non siamo noi stessi alla quale attingere per dissetarsi, riposarsi, giocare con l’acqua.

Lo sguardo della Chiesa, maestra di civiltà

Persino Papa Francesco agli operatori dell’Istituto Serafico di Assisi ha parlato dell’importanza di contemplare Cristo nascosto nelle piaghe dei più fragili ma anche nell’Eucarestia, mistero che i poveri riflettono e che dà la forza necessaria per riconoscerLo. E sempre in quella occasione, nel 2013 ad Assisi, ha ricordato con forza quanto siano benedette e preziose queste vite che il mondo tende a considerare un inutile peso, ma ha anche richiamato con autorevolezza la necessità che le istituzioni facciano di più e meglio per sostenere e non lasciare sole queste famiglie.

Le parole del Santo Padre

Grazie per questo segno di amore che ci offrite: questo è il segno della vera civiltà, umana e cristiana! Mettere al centro dell’attenzione sociale e politica le persone più svantaggiate! A volte invece le famiglie si trovano sole nel farsi carico di loro. Che cosa fare? Da questo luogo in cui si vede l’amore concreto, dico a tutti: moltiplichiamo le opere della cultura dell’accoglienza, opere anzitutto animate da un profondo amore cristiano, amore a Cristo Crocifisso, alla carne di Cristo, opere in cui si uniscano la professionalità, il lavoro qualificato e giustamente retribuito, con il volontariato, un tesoro prezioso.

Discorso del Santo Padre con bambini e operatori dell’Istituto Serafico

Il terribile equivoco

C’è il rischio, invece, proprio in ambito cattolico, di caricare il caregiver di una missione che non gli è affidata nemmeno da Dio: immolarsi al familiare fragile, farlo col sorriso sulle labbra, lodando il Padre per tanta predilezione. Queste cose sono segreti dolcissimi tra l’anima e la Trinità Santa, non se ne fa argomento di trattativa. Ci sono molte cose che come genitori di un bambino invalido assoluto non diremo mai, cose meravigliose, profonde, bellissime, segrete.

Siamo cristiani, quindi dovremmo primeggiare per uso della ragione e non per la riduzione a icone di persone vere, con drammi veri, malattie durevoli e inguaribili e sì, spesso sono curabili. Il che significa che vanno curati e chi cura è parte cruciale, in senso quasi letterale, della questione.

Sostenere i caregiver in modo quanto più sistematico e organizzato possibile è la maniera più utile e caritatevole di aiutare anche la persona destinataria di tali cure.

Ed è necessario per non privare tutti noi, la società di oggi e i frutti che raccoglierà quella futura, di persone piene di risorse, in grado di dare il proprio essenziale contributo anche in altri ambiti che non siano la cura del familiare.

Essere guardati e riconosciuti

Dati precisi sui caregiver in Italia non ci sono; altra prova della non adeguata considerazione che questo impegno meriterebbe. Non sono visti perché, semplicemente, ci si aspetta che svolgano il loro compito senza troppe pretese, dato che non è un lavoro. Verissimo, non è un lavoro ma ha valore e produce valore.

Caregiver familiare o informale

Il caregiver è, per definizione, chi si prende cura, a titolo non professionale e gratuito, di una persona cara affetta da malattia cronica, disabilità o che necessiti per altri bisogni di assistenza continua e a lungo termine. (cfr IssSalute)

Cosa significa in concreto?

Che provvede alla cura e all’igiene personale, al reperimento e alla somministrazione di cure e terapie farmacologiche, all’assistenza notturna, alla presenza costante durante i ricoveri, alla responsabilità di comprendere e mettere in atto le indicazioni dei medici, all’enormità di incombenze burocratiche, alla memoria storica, alla continuità, alla vigilanza dei parametri di benessere della persona di cui si fa carico.

Non ha diritto a riposi e ferie pagati, ma ne avrebbe parecchio bisogno; spessissimo rimanda sine die i propri screening medici. Non perché si voglia immolare totalmente all’altro ma perché non ha tempo né sostituti. Nemmeno quando la famiglia c’è, il coniuge condivide il carico senza risparmiarsi, i nonni fanno il possibile.

Questo incarico che certo nasce dall’amore e risulta affrontabile proprio per amore, persino desiderato, apprezzato nella sua insolita bellezza, a volte sembra, nel sentire comune, che non possa conoscere cedimenti, fasi di rifiuto e ribellioni. Invece è così, ed è normale ma molto, moltissimo si deve fare per alleviare le fatiche di queste persone. (C’è un disegno di legge che giace tuttora in Senato e che potrebbe dare un senso alla seconda R del PNRR: più resilienti di così si muore. In moltissimi ne attendono i progressi)

Per questo certe reazioni sdegnate temo feriscano parecchio di più delle domande del questionario (che personalmente considero colpevoli e inopportune solo se fatte fuori contesto o non servono ad altro che ad aumentare la montagna di scartoffie burocratiche sotto la quale, a volte, ci sembra di venire seppelliti. Anche se si tratta di PDF).

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