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La conversione dal razzismo di Bartolomé de las Casas

BARTOLOME DE LAS CASAS

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Jaime Septién - pubblicato il 19/07/22

Perché potrebbe essere santo? Forse perché è stato un uomo capace di affrontare il proprio peccato

Il livello raggiunto dal razzismo negli Stati Uniti, soprattutto dalla terribile morte a Minneapolis di George Floyd, asfissiato da un poliziotto bianco, ha portato molti autori cattolici a cercare esempi di come convertire il cuore di un razzista confesso o di qualcuno che pur non essendolo era refrattario nei confronti di uguaglianza razziale, giustizia e rispetto della dignità degli altri esseri umani.

La scrittrice e oratrice statunitense Meg Hunter-Kilmer ha pubblicato su Our Sunday Visitor una lucida riflessione sul percorso del frate e vescovo domenicano Bartolomé de las Casas (1484-1566), il “Protettore degli Indios”, che per molto tempo è stato schiavista ed encomendero per poi diventare uno dei più grandi sostenitori dei diritti umani e dell’uguaglianza dei popoli originari del continente americano, alla sua epoca scoperto e colonizzato da poco.

In The redemption of Bartolomé de Las Casas, l’autrice scrive che Bartolomé de Las Casas “era un sacerdote schiavista. Peggio ancora, era un sacerdote che faceva incursioni nei villaggi indigeni per catturare schiavi. E anche se alla fine ha rivisto il suo atteggiamento sulla schiavitù dei popoli indigeni, ha continuato a sostenere la schiavitù della gente di colore. È sulla via della santità. Com’è possibile? Perché questa non è stata la fine della sua storia”.

Verso gli altari?

La “leggenda nera” che circonda fra’ Bartolomé de las Casas deriva dalla sua difesa “esagerata” dell’uguaglianza e della condizione di esseri umani degli indigeni, che ha trattato paternalmente, soprattutto nel suo breve ministero di appena sei mesi come primo vescovo di quello che oggi è il Chiapas (Messico meridionale). Il suo nome è rimasto impresso in una delle diocesi emblematiche dell’America originaria: San Cristóbal de las Casas

Dal 2 ottobre 2002, nella parrocchia sivigliana de La Magdalena, l’arcivescovado di Siviglia ha aperto la causa di beatificazione di colui che arrivato in terra americana come encomendero, concretamente in quelle che ora sono Haiti e Repubblica Dominicana, cinque secoli prima, nel 1502, essendo successivamente vice-postulatori fino alle rispettive morti i frati domenicani Fernando Aporta (+4 ottobre 2002) ed Herminio de Paz (+2013). Nel 2019, nel suo capitolo generale, l’ordine ha nominato fra’ Alfonso Esponera Cerdán vice-postulatore (fuori da Roma) di questa causa.

Qual è il tema centrale della sua beatificazione? La Hunter-Kilmer lo descrive così:

“Bartolomé de Las Casas era soprattutto un uomo capace di affrontare il proprio peccato e di convertirsi. È avvenuto gradualmente, a caro prezzo, ma è accaduto. E un giorno potrebbe essere elevato agli onori degli altari, non perché sia sempre stato un brav’uomo, ma perché non aveva paura di riconoscere ciò che c’era di negativo in lui e di compiere il lavoro necessario (con la grazia di Dio) per sradicarlo”.

L’itinerario di de Las Casas

Bartolomé era figlio di un accompagnatore di Cristoforo Colombo quando questi realizzò il suo secondo viaggio a quelle che credeva fossero le Indie orientali. A 18 anni accompagnò il padre nella spedizione di Nicolás de Ovando nel 1502, essendo uno dei primi 1.500 colonizzatori scelti a caso per far produrre i territori scoperti di recente. Ebbe una encomienda di indios a La Española, che impiegò nelle attività. Ordinato sacerdote a Roma, tornò poi nei Caraibi, dove continuò ad avere un’encomienda.

Egli stesso confessò in alcune delle sue opere che faceva lavorare duramente i suoi indios e che aveva avuto anche schiavi di colore, seguendo le condizioni di lavoro del luogo e del tempo, anche se non li maltrattava né li puniva abusivamente. Nel 1512 intervenne nella conquista di Cuba come cappellano del conquistador Diego Velázquez, ricevendo anche in quel caso un’encomienda de indios. La sua conversione avvenne il 15 agosto 1514, dopo aver ascoltato un sermone di fra’ Antón de Montesinos sulla condizione umana libera e sulla vocazione alla fede cristiana e alla santità delgi indios e dopo aver affrontato le parole dell’Ecclesiate per cui chi non paga il giusto salario al lavoratore effonde sangue.

Emilio Castelar lo descrive così: “Las Casas è innanzitutto, dall’inizio alla fine della sua vita, un uomo di passioni, ed essendo appassionato soggetto a violenze nel suo procedere e a un linguaggio brusco. Senza quella passione, che riteneva tutto possibile, non avrebbe lottato come ha fatto, né avrebbe sofferto come ha sofferto, ma non sarebbe neanche diventato grande com’è stato nel concetto di umanità e nella riconoscenza della storia”. È diventato domenicano, ottenendo una buona formazione teologica e giuridica, che impiega in quell’ideale di difesa degli indios.

Assedio alla Corte da parte degli indigeni

Non c’è stato personaggio più impopolare di Las Casas, né alla corte spagnola né tra i suoi compagni dell’ordine o tra gli encomenderos e i colonizzatori spagnoli, che lo hanno sempre definito esagerato e perfino eretico per il sou anelito di far crescere la figura dei nativi e decrescere l’impresa spagnola in America. È morto a Madrid nel 1566 dopo aver assediato la corte con memoriali e proposte di liberazione degli indios da parte degli encomenderos e ottenere per loro la categoria di cittadini liberi, direttamente dipendenti come gli Spagnoli dall’autorità del re.

“Las Casas ha argomentato non solo contro la schiavitù, ma anche contro la conquista, insistendo sul fatto che gli indigeni americani non erano i selvaggi incivili che si riteneva che fossero”, scrive nel suo articolo la Hunter-Kilmer. E aggiunge: “Anche se Las Casas desiderava la conversione delle Americhe, sapeva che si poteva verificare solo attraverso l’autentica evangelizzazione, non la conquista e la conversione forzata”.

L’autrice conclude argomentando sul perché e come il domenicano possa essere un grande faro di luce che illumina le tenebre del razzismo: “In questo periodo di agitazione e divisione, il Servo di Dio Bartolomé de Las Casas si erge come un grande interecesore per coloro che sono attivamente razzisti, che promulgano o sostengono leggi e sistemi oppressivi. (…) Possiamo, come Las Casas, mettere in atto una riflessione onesta, esaminando i nostri pregiudizi e rifiutandoci di giustificarli? Possiamo compiere il duro lavoro di lottare per la giustizia, anche se questo ci pone in disaccordo con chi amiamo?”

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