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Perché la questione religiosa è diventata essenziale in Kazakistan 

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i.Media per Aleteia - pubblicato il 09/09/22

Come fa prima di ogni viaggio del Papa all’estero, i.Media propone un dossier speciale

Dal 13 al 15 settembre 2022, papa Francesco si recherà a Nur-Sultan, capitale del Kazakistan, per partecipare a un summit religioso organizzato dal governo del Paese ospite. Per quali ragioni storiche, politiche e geopolitiche la questione religiosa è essenziale nel Paese dell’Asia centrale? 

Una ricca storia multireligiosa 

La storia del Kazakistan come Paese è relativamente recente, visto che la sua indipendenza dall’URSS risale al 1991. L’unità dell’insieme geografico chiamato “Kazakistan”, tuttavia, trova una parte delle sue origini nell’adozione progressiva dell’islam in quella regione, dove avrebbe rimpiazzato il tengrismo. Fino all’VIII secolo, questa religione tradizionale sciamanica, ancora presente nell’Oriente del Paese, era praticata in tutte le pianure dell’Asia centrale. 

L’islamizzazione fu permessa anzitutto dall’annessione del sud dell’attuale Kazakistan dalla dinastia persa samanide, tra il IX e il X secolo. Fu tuttavia soprattutto la fondazione del kahnato kazako ad opera dell’impero dell’Orda d’Oro mongola – che prese possesso della regione nel XIII secolo – che avrebbe introdotto con forza la fede di Maometto nei vasti altipiani. La popolazione sarebbe rimasta da quel momento principalmente musulmana. A partire dal XVI secolo delle popolazioni uigure, anch’esse musulmane, si installarono poco a poco in prossimità dell’attuale frontiera con la Cina. 

Schiacciato fra l’impero russo e la dinastia dei Quing, che si spartivano il suo territorio, l’impero mongolo declinò poco a poco e finì per passare, in Kazakistan, sotto l’influenza russa. Durante il lento periodo di annessione – che si concluse a metà del XIX secolo – la zarina Caterina II, influenzata dai Lumi (che veicolavano un’immagine assai positiva dell’Islam), decise di non forzare i Kazaki alla conversione, ma al contrario incoraggiò la religione locale, che vide come un vettore di civilizzazione per le tribù nomadi che popolavano la regione. 

L’arrivo dell’impero russo avrebbe comportato l’installazione di una popolazione russofona ortodossa, appartenente spesso all’élite amministrativa. La loro installazione fu durevole e costituì una tappa importante con, a partire dal 1871, la fondazione di una eparchia del “Turkestan” – nome storico dato all’insieme dei paesi turcofoni della regione. Durante questi anni, il Kazakistan divenne anche una destinazione penitenziaria per i polacchi fin dalla metà del XIX secolo. Si trattava di oppositori politici in lotta contro le pretese dell’impero zarista sul loro Paese, e costoro costituirono la prima popolazione cattolica del Kazakistan. 

All’inizio del XX secolo, la rivoluzione russa avrebbe comportato una grande crisi in Kazakistan, poiché un terzo della popolazione morì di carestia tra il 1929 e il 1933. Un’impresa di ripopolazione per sfruttare le risorse del Paese sarebbe stata messa allora in atto da Josef Stalin. Il “Piccolo Padre dei Popoli” decise di deportarvi numerose minoranze che considerava talvolta imbarazzanti nelle loro regioni di origine: fu il caso dei Tartari di Ucraina e dei Ceceni (musulmani), ma anche dei Tedeschi del Volga e del Mar Nero (cattolici e protestanti) che a partire dal 1941 esiliò in massa – per non dire dei Balti, dei Polacchi e degli Ucraini (cattolici e ortodossi). Sarebbero stati seguiti da altre minoranze inviate nei campi di lavoro del Kazakistan durante i decenni successivi. In questi anni, come nel resto dell’URSS, le differenti comunità religiose furono spesso perseguitate. 

Se una parte delle popolazioni lasciò il Kazakistan dopo la caduta del Muro di Berlino, un numero considerevole fra loro risiede ancora sul posto. Oggi la popolazione kazaka è al 72% musulmana (71% sunnita, 1% sciita). Il 23% della popolazione è cristiano (circa al 20% ortodossi, 1,5% cattolici e altrettanti protestanti). Esistono anche minoranze ebraiche, tengriste, induiste e buddiste. 

Mantenere l’unità nazionale e lottare contro le influenze straniere 

Il Kazakistan è dunque segnato da una grande diversità religiosa, ma anche culturale ed etnica: la popolazione di origine kazaka (45%) si affianca, per via della sua storia e del suo posizionamento, minoranze russe (35%), ucraine (5%), tartare (2%), tedesche (2%), uigure (2%), polacche (1%) e di altre più piccole etnie, riteneva nel 2010 il demografo francese Gérard-François Dumont

In seguito, dopo la caduta del Muro, la costituzione della Repubblica del Kazakistan, dal 1995, ha sviluppato grande cura nel garantire l’armonia tra queste differenti componenti, insistendo in particolare sulla natura laica del Paese fin dal suo primo articolo, e sulla libertà religiosa nell’articolo 19. L’articolo 5 proibisce ogni organizzazione che inciti «all’ostilità sociale, razziale, nazionale, religiosa e tribale», nonché ogni «partito religioso»; e l’articolo 20 proscrive ogni «propaganda o agitazione» che faccia apologia di superiorità religiose, etniche o di clan. 

Per preservare l’armonia del Paese, la costituzione controlla dunque molto scrupolosamente le «attività delle associazioni religiose straniere» sul territorio kazako. Queste ultime, in particolare «la nomina dei capi delle associazioni religiose» in Kazakistan, devono essere condotte «in coordinazione con le rispettive istituzioni statali della Repubblica». 

Un controllo rinforzato dei culti 

Tale precauzione si spiega in particolare col fatto della prossimità geografica di teocrazie islamiste, con l’Iran e l’Afghanistan, ma anche con quello della fortissima prossimità etnica, religiosa e linguistica della Turchia, che nelle regioni turcofone dell’Asia centrale gode di un’importante influenza. A partire dal 1990 l’Islam è diretto in Kazakistan da un muftì vicino al potere, che si fa dunque garante della coabitazione con le altre popolazioni. 

L’ortodossia e la “russità” del Paese sono un’altra dimensione, marcata dall’eredità degli zar e del periodo sovietico. La Chiesa ortodossa del Kazakistan è direttamente affiliata a quella di Mosca, senza reale autonomia. La relazione del Kazakistan con la Chiesa cattolica è da parte propria retta da un concordato sottoscritto nel 1999. La visita di Giovanni Paolo II, nel settembre 2001, ha contribuito a dare alla comunità cattolica una certa visibilità sociale. La situazione è invece più complicata per certe comunità protestanti, soprattutto evangeliche, che sono fuori controllo e che restano tuttavia minoritarie. 

Su queste basi il governo, ancora segnato dalle strutture sovietiche, applica un controllo molto importante dei culti, sul proprio suolo, soprattutto a partire dall’adozione di una legge del 2011. “Porte aperte”, l’associazione evangelica specializzata nello studio delle persecuzioni religiose, denuncia una libertà religiosa ridotta, ma ritiene tuttavia che il livello di violenza contro i credenti sia “relativamente debole”, con l’eccezione di qualche arresto di cristiani. 

Il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre sulla libertà religiosa nel 2021 qualifica Nur-Sultan di “governo autoritario” e nota che l’ascesa del “turchismo” – populismo fondato sull’unità culturale ed etnica delle popolazioni di origine turca, fomentato da Ankara – comporta «restrizioni drastiche della libertà religiosa» nella regione. Il Paese ha pure adottato misure più strette per controllare «l’espansione di forme più estreme dell’islam e dello jihadismo associato», annota il rapporto dell’associazione cattolica. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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