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La paura blocca e avvelena l’apprendimento, chi educa deve saperlo

STUDENTESSA SORRIDENTE

Jacob Lund|Shutterstock

Paola Belletti - pubblicato il 13/09/22

Da un'intervista a Daniela Lucangeli sul Corriere della Sera, una riflessione e un appello: seminiamo intelligenza, fiducia e coraggio e raccoglieremo intelligenza, fiducia e coraggio. In dosi massicce

Ci stiamo abituando a conoscerla, io soprattutto, per eccellente interposta persona e per la condivisione di approccio dei due sul tema mastodontico e urgentissimo dell’educazione, dell’insegnamento, della scuola.

La scienza compassionevole di Daniela Lucangeli

Lei è Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento. All’interno di un evento che durerà un anno intero e si sta snodando lungo la via Francigena toccando diverse città italiane, ha tenuto insieme a D’Avenia una conferenza dal titolo:

“Passo dopo passo verso la Scuola che vorrei: dialogo su una scuola possibile

Non è un tour, nemmeno un “calendario di incontri”; così come lo è educare e apprendere, entrare in relazione e crescere, è un cammino. La Marcia della “Scienza Servizievole in Cammino” è partita il 13 giugno scorso e toccherà in tutto 90 tappe e chissà quante menti, cuori, immaginazioni di genitori, specialisti, docenti, studenti.

Il ritorno a scuola

Nel frattempo la marcia scolastica è partita, in molte regioni siamo già tornati sui banchi e quest’anno di nuovo col lusso di vederli vicini, almeno due a due.

Verso dove si cammina? Si procede già allo spron battuto dell’estinto “programma ministeriale” che pure continua a tormentare giorni e notti di frotte di insegnanti? precari, supplenti, chiamati in corsa per scorrimento di graduatoria, motivati o sfiniti che siano?

Ad essere onesta non lo so dire, ho la visuale limitata di ciò che stiamo vivendo noi come famiglia e non può diventare legge generale.

Eppure, nel leggere le risposte della professoressa Lucangeli alle domande del Corriere della Sera, ho avuto un sussulto di gioia e compiacimento.

Sì, ha ragione, mi sono detta! I ragazzi, i nostri bambini e i nostri adolescenti, figli, nipoti, vicini di casa, partono già pieni, riempiti di cose, informazioni, istruzioni e richieste. E ansie.

«Ragazzi caricati, ingolfati come se fossero contenitori da riempire con schede, compiti, messaggi e materiali fino a sera»: ecco come arrivano gli studenti all’inizio del nuovo anno scolastico.

Corriere della Sera

Emozioni e apprendimento

Li costringiamo ad accendere e far girare un motore dalla tecnologia vecchia, dispendiosa e decisamente troppo inquinante: fatti oggetto di continue richieste di prestazioni a cui seguiranno agognate e temutissime valutazioni, li vediamo accendersi soprattutto con l’innesco della paura e del senso di colpa.

La professoressa sa spiegarlo fuor di metafora, perché conosce il funzionamento del sistema nervoso centrale e l’influenza enorme delle emozioni sull’apprendimento, prima, dopo, senza o con disturbi più o meno specifici::

Professoressa, cosa chiediamo ai nostri studenti?
«Continue prestazioni. Colpa e paura sono le emozioni alla base del nostro sistema educativo. Ma tutto ciò tiene i ragazzi in costante allerta e produce un cortocircuito emozionale che genera malessere e inceppa l’apprendimento».

Ibidem

Cosa ci costruisce?

L’ambiente scolastico che da anni si cerca di modernizzare, mostra la sua fragilità più critica in questa carenza strutturale: non sappiamo come la persona è fatta e soprattutto come “si fa”: cosa la sostiene, cosa la costruisce, cosa la conduce sempre più dentro il senso della propria esistenza e vicina alla felicità (che ha molto a che fare con il significato). Chiediamo poco (conoscenze e competenze) perché sappiamo poco della complessità umana.

Forse soprattutto perché si è andata spegnendo la fiamma della nostra grandezza, sostituita casomai da una continua e corale autoaccusa: non più signori del creato, ne siamo diventati i sofisticati e attrezzati devastatori, il virus letale che intacca questo grande essere – innocente ma impersonale -che è la natura, l’ambiente o, peggio, il pianeta.

Invece, proprio osservando con attenzione qualsiasi aspetto naturale, dovremmo essere facilitati a riconoscere anche in noi stessi, creature umane, la legge fondamentale che ci contraddistingue: la gradualità, la lentezza, la crescita che non è mai sviluppo cieco, semplice replica di ciò che già è acquisito.

Cosa serve, alla scuola, agli insegnanti, a chi la dirige (ma sarebbe bellissimo poter tornare a dire a chi ne è responsabile), agli studenti e alle famiglie? Non perdiamo tempo con problemi marginali, andiamo al cuore della questione.

La persona che matura: si cresce in base ai semi che vengono gettati

Secondo Daniela Lucangeli


«
Ci vorrebbe una maggiore consapevolezza dei sistemi di apprendimento, maturazione e qualità psichica. A scuola, come nella vita, cresce ciò che semini. Quindi un insegnante che vuole far crescere l’intelligenza deve seminare l’intelligenza; se vuol far crescere il benessere, deve seminare il benessere; se vuol far nascere la fiducia, deve seminare la fiducia.

Ibidem

Significa che per poter seminare tutto questo ben di Dio nei terreni che ci sono affidati, dobbiamo accertarci di possederlo innanzitutto noi.

Ma anche come adulti educatori (insegnanti, genitori, allenatori, chiunque) dobbiamo decisamente abbandonare la logica dell’erogazione e assimilazione di contenuti da tradurre anzi no da “dimostrare” come competenze; non ci si può “addestrare” alla fiducia, ma si può essere educati alla fiducia.

Bisogna riportare anche su di sé, prima di tutto su di sé, uno sguardo compassionevole, accogliente, intero.

Ma non sarà che queste belle parole sul coraggio, la bellezza e la fiducia sono solo suggestioni affascinanti, buone per un corso base di self-empowerment o qualche frase da postare sui social, mentre alla fine ciò che conta sono le nozioni, le formule, gli elenchi e tutto ciò che è in grado di fissarle nelle menti dei ragazzi?

“Non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso”

No, perché la faccenda di come avvenga questo “fissaggio” gioca un’enorme differenza.

C’è una rotonda all’uscita di una tangenziale che faccio spesso dove un furgone, per errore dell’autista, mi ha urtato con forza rovinando tutta la fiancata sinistra; ero in auto con due delle mie figlie.

Ecco, l’esperienza di quella rotonda ora è indelebilmente associata alla paura e al rischio di subire o provocare altri incidenti. Non me la dimenticherò mai, cerco soltanto di abbassare il volume delle emozioni negative a cui quella singola esperienza me l’ha fatta associare.

Non è meglio, dunque, che un bambino impari una poesia a memoria sentendo dentro di sé il coraggio e la fiducia che il suo insegnante gli ha trasmesso piuttosto che per la paura di una sgridata epocale o abboccando all’esca ingannevole del voto alto?

Come sono fatti, dunque, gli insegnanti migliori? Qual è il bene a cui tende la loro professionalità che permette di stabilirne il livello raggiunto? Non quella sottesa al provvedimento contenuto nel Decreto Aiuti Bis che premia il docente esperto in base al solo criterio del superamento di un percorso formativo triennale, temo.

Il bravo insegnante è maestro

Come è secondo lei un bravo insegnante?”, chiede il giornalista all’esperta:


«È magister, è colui che aiuta ad apprendere, che dà fiducia e coraggio, e che non soltanto giudica e verifica quanto le informazioni fornite sono passivamente mantenute in memorie prestazionali. A tal proposito, mi viene in mente una frase celebre pedagogista sovietico Lev Semënovič Vygotskij che recita così: “Diventiamo noi stessi attraverso gli altri”.

Ibidem

Allora educare è una faccenda decisiva, non solo impegnativa in termini di ore, procedure, schede da compilare, colloqui con genitori agguerriti da sostenere. Non sarà proprio la mancanza di questa dimensione, centrale ma troppo spesso taciuta, a rendere a volte troppo faticoso il mestiere di educatore e docente?

Avere questa gigantesca, sproporzionata responsabilità, cioè sapere di poter incidere così tanto e così a lungo nella formazione di un’altra persona, non metterebbe paura anche ai più temerari?

Che le procedure e lo sbriciolamento del compito del docente in decine di incombenze non servano anche ad offuscare questo orizzonte, sconfinato e per alcuni forse troppo spaventoso? Congetture che lasciano il tempo che trovano; sono tanti i docenti che continuano a vivere con serietà e professionalità il proprio lavoro, pur in condizioni difficili se non opprimenti.

Secondo la Lucangeli ogni educatore dovrebbe ricordare

«che con il loro lavoro hanno delle enormi responsabilità ma anche immense potenzialità: in ogni istante della loro azione educativa stanno lasciando un segno in una persona che sta costruendo non soltanto un bagaglio di nozioni e procedure, ma il proprio Sé, la propria intelligenza, la struttura del suo pensiero, l’organizzazione del suo sentire e la percezione del proprio talento. Non è romanticismo, ma scienza».

Ibidem

Le emozioni agiscono già nei nostri processi di apprendimento, nella costruzione di noi stessi, nel modo di concepirci e di guardare il mondo. Sapere che possiamo orientarle, favorendo attivamente quelle positive e togliendo ossigeno a quelle legate alla paura, è un potere buono di cui imparare a disporre.

La psicologia che “funziona” è quella che riconosce la complessità di cui siamo fatti e che considera un cambiamento sempre possibile, senza facilonerie, certo, ma in forza di quei tre beni speciali di cui siamo dotati e che si regolano a vicenda: intelligenza, amore, volontà.

Warm cognition

Finora il concetto di conoscenza scientifica è stato associato ad un’idea di oggettività e freddezza, mentre l’uomo conosce e trattiene nella memoria perché in lui agiscono le emozioni.


«Negli ultimi anni si è sviluppato un nuovo filone di ricerca scientifica, a cui è stato dato il nome di warm cognition, letteralmente “cognizione calda”. Abbiamo imparato che le nozioni si stabilizzano insieme alle emozioni e quest’ultime, a loro volta, influiscono concretamente sui processi cognitivi, come attenzione, memoria, comprensione. Significa che se un bambino impara con curiosità, interesse, impara di più e meglio. Se è sostenuto, guardato e incoraggiato da un insegnante che si pone come suo alleato, nella sua memoria resterà traccia dell’emozione positiva, portatrice del messaggio: ”Ti fa bene, continua a cercare”».

Ibidem

Mente e corpo

Va da sé che la paura, l’ansia (un disagio tanto diffuso e pervasivo), l’angoscia non fanno che generare un continuo stress, ci mettono in un costante e sfibrante stato di allerta che può addirittura ingolfare il motore dell’apprendimento.

Spesso è il corpo che dà segnali: il cortisolo, ormone dello stress, influisce negativamente sul sistema immunitario – ci si può ammalare di più, sui livelli di glicemia nel sangue, sullo stato infiammatorio degli organi, sulla capacità di concentrazione.

Se davvero una transizione ecologica serve, e serve per carità, non può che partire da questa: torniamo a nutrirci e a nutrire l’altro, soprattutto chi è in formazione, con emozioni buone, con pensieri costruttivi, con stati d’animo contagiosi ispirati alla fiducia e alla gratitudine. Ci libereremmo di una quantità notevole di scorie assai pericolose, che non sappiamo nemmeno più dove stoccare.

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