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La voce di 3 Papi, padre Federico Lombardi, si racconta

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i.Media per Aleteia - pubblicato il 19/09/22

“Personalità diverse ma splendide... Sono stato felice di aiutare i cristiani a capire che le loro ricchezze sono complementari e non contraddittorie”

Il 6 settembre, p. Federico Lombardi ha festeggiato i suoi 80 anni e il 50° anniversario di sacerdozio con una Messa organizzata dal Dicastero per la Comunicazione. Sei anni dopo aver lasciato la guida della Radio Vaticana e della Sala Stampa vaticana, il gesuita resta attivamente coinvolto nella vita della Chiesa, nella fattispecie come presidente della Fondazione Ratzinger-Benedetto XVI.

In un’intervista con I.MEDIA, ha parlato della sua esperienza personale di sacerdozio e delle sfide che affrontano oggi i sacerdoti, soprattutto nel contesto dei sospetti legati agli scandali degli abusi, tema sul quale ha preso personalmente una posizione attiva favorendo il summit dei presidenti delle Conferenze Episcopali convocato da Papa Francesco nel 2019. 

Nelle sue omelie, Papa Francesco invita spesso i sacerdoti a fare memoria della loro “prima chiamata” e dello“stupore” che hanno provato quando lo sguardo di Gesù si è posato su di loro… Qual è il suo ricordo personale di quella chiamata? Quanto è arrivata la vocazione?

P. Lombardi: La mia vocazione è apparsa gradualmente, in un contesto familiare molto cristiano, caratterizzato dall’esperienza della fede. Cercavo una forma di donazione totale e radicale. Il senso della mia vita era trovare un modo per dedicarmi totalmente al progetto del Signore per me: ho sentito una vocazione religiosa prima che sacerdotale.

Attraverso gli scout sono rimasto affascinato dalla bellezza del creato, e ho sentito la presenza del Signore nel mondo naturale intorno a me, che vedevo come un dono per me da parte del Creatore. Anche aiutare i poveri, accompagnare i malati sui treni a Lourdes e Loreto e visitare gli ammalati a casa loro ha avuto un grande impatto su di me.

Posso poi individuare due momenti forti in cui ho sentito che Dio mi chiamava a prendere la decisione di donarmi completamente. Uno è stato durante un lungo viaggio in bicicletta nel sud della Francia quando avevo 17 anni, l’altro durante un ritiro spirituale. Ci sono stati momenti di lotta interiore, ma sono terminati con la decisione di impegnarmi nella vita consacrata. E ho scelto i Gesuiti perché ero stato educato in una scuola della Compagnia di Gesù.

Quali sono state le tappe fondamentali dell’inizio della sua vita religiosa e del suo sacerdozio?

P. Lombardi: Ero un giovane gesuita all’epoca del Concilio Vaticano II, e sono rimasto segnato da quell’atmosfera di rinnovamento e dinamismo. Ho provato una grande gioia spirituale dopo aver letto la Gaudium et Spes, quell’approccio positivo alla nostra epoca e la prospettiva missionaria di servire il mondo.

Durante la mia formazione ho vissuto con degli studenti a Torino, dove studiavo Matematica. Sono stato poi mandato in Germania, a Francoforte, per i miei studi teologici e il primo anno di sacerdozio, dopo l’ordinazione nel 1972. Al di là degli studi teologici, ero anche molto coinvolto nell’apostolato con gli emigrati italiani e le loro famiglie.

È stato il mio primo settore di esperienza, la mia prima missione come diacono e poi come saceerdote, e ha segnato il modo di vivere il mio sacerdozio. Quelle persone avevano la loro cultura, la loro semplicità, i loro problemi. Mi hanno spinto a cercare di esprimere il messaggio cristiano, a celebrare l’Eucaristia, a pronunciare omelie nel modo più semplice e chiaro possibile, ad andare all’essenziale, a soffermarmi sui problemi concreti delle persone che avevano esperienze di vita difficili.

Anche se in seguito ho lavorato in circoli più intellettuali, mi sono sempre preoccupato di parlare di fede parlando di vita, di situazioni concrete, e non stando tra le nuvole o parlando di realtà teoretiche molto belle ma non direttamente collegate all’esperienza di chi stava ascoltando. Questo è rimasto fondamentale per me, una cosa che non ho mai dimenticato. E gli articoli che ho scritto sugli emigrati italiani in Germania hanno spinto i miei superiori a farmi lavorare a Roma per la rivista La Civiltà Cattolica nel periodo dei dibattiti post-conciliari e alla fine del pontificato di Paolo VI.

Dopo aver lavorato per questa rivista e aver poi servito come provinciale dei Gesuiti in Italia qualche anno dopo, nel 1990-91, lei è diventato il direttore della programmazione della Radio Vaticana. Ha assunto le sue responsabilità nel contesto della Guerra del Golfo e ha vissuto varie crisi internazionali, come anche crisi interne al Vaticano. Come ha conciliato questa attenzione alle notizie a breve termine con la vita di preghiera come sacerdote? Come ha portato avanti allo stesso tempo questi due aspetti contraddittori?

P. Lombardi: Per me è fondamentale il lavoro di squadra. Non era solo una responsabilità personale, non era mio compito trovare soluzioni alle problematiche fondamentali dell’umanità, ma ho lavorato con la grande comunità della radio – ovviamente con i Gesuiti, ma anche con altre persone di grande esperienza.

Alla Sala Stampa vaticana e al Centro Televisivo sono stato supportato anche da un team di tecnici ed editori. La responsabilità di affrontare i problemi della vita della Chiesa non era un problema personale, ma di squadra, con orientamenti condivisi per cercare l’atteggiamento giusto. Per me è stata un’esperienza molto interessante: non dovevo risolvere da solo tutti i problemi del mondo, ma accompagnare, presentare e trasmettere il servizio del Papa per la società e per la Chiesa. Servire la pace, la giustizia, attenzione ai poveri, dignità della persona: ho trovato questi temi nell’atteggiamento e nelle azioni del Papa, e con una squadra abbiamo cercato di presentarli a dovere.

Lavorare nelle comunicazione vaticane offre quindi anche un’esperienza di co-responsabilità tra sacerdoti e laici?

P. Lombardi: Sì. Ovviamente ci sono laici di grande spiritualità e fede, ma stavo svolgendo questo servizio come sacerdote, con la mia formazione, la mia sensibilità e le mie preoccupazioni pastorali. Non mi sono mai considerato un manager. Dovevo gestire un’istituzione in collaborazione con altri, ma non ho mai pensato in termini di semplice efficienza manageriale. Quel modo di pensare è del tutto al di fuori delle mie capacità. Dovevo animare, guidare e organizzare una comunità di comunicatori al servizio dell’umanità e della Chiesa, guidato dalla mia fede, da una visione cristiana.

Non si deve essere necessariamente sacerdoti per farlo, ma io lo ero, e quindi l’ho fatto cercando di unire la mia responsabilità professionale e sacerdotale in relazione alla comunità professionale che mi era stata affidata.

Ho sempre cercato di lavorare con altri, da quando ero un leader di branco negli scout e poi, dopo l’ordinazione, come vice-direttore de La Civiltà Cattolica, e ancora come provinciale dei 1.200 Gesuiti in Italia. Era una responsabilità della comunità, e ho trasferito buona parte di quell’esperienza di squadra anche nel mio lavoro alla Radio Vaticana, all’epoca con circa 400 persone.

In che modo i tre Papi che ha servito direttamente – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – l’hanno ispirata nel suo sacerdozio?

P. Lombardi: Giovanni Paolo II ci ha dato la spinta per una visione di missione universale e di storia interpretata e vissuta alla luce di Gesù Cristo e della Sua missione come Salvatore e Redentore, soprattutto attraverso il Giubileo del 2000. Questo mi ha aiutato nel mio lavoro di situare la visione storica della missione della Chiesa nei confronti dell’umanità, un grande desiderio di servire la pace, la famiglia dei popoli. Ha offerto grandi prospettive per la storia, il mondo e la Chiesa universale, anche cercando di coinvolgere i giovani attraverso le Giornate Mondiali della Gioventù. 

Quanto a Benedetto XVI, durante i miei studi in Germania avevo già ammirato la profondità e l’equilibrio del suo pensiero, la sua capacità di sintesi, il suo modo di presentare tutta la visione cristiana con grande serenità e in dialogo con la cultura contemporanea. Quando era Papa e mi occupavo delle notizie che lo riguardavano, ho apprezzato ancor di più la sua insistenza sul rapporto tra spiritualità e intelligenza. Le sue omelie, la sua capacità di leggere i misteri di Cristo e di parlarne con grande profondità spirituale e teologica mi hanno davvero affascinato.

Ricordo anche la sua capacità di equilibrare le tensioni che la Chiesa e la società stanno attraversando, cercando di tenere tutto insieme, di presentare la cristianità come una visione bella e profonda, in grado di guidare l’esperienza delle culture verso la verità ultima che è in Cristo e nella fede. Ha la capacità di integrare tutte queste riflessioni in una visione che non è affatto ingenua, ma anzi ben consapevole dei problemi del mondo di oggi. Questa sintesi della verità nella fede mi ha nutrito profondamente.

Francesco, dal canto suo, ha uno straordinario carisma di vicinanza, la capacità di far sì che le persone sentano e sperimentino la vicinanza dell’amore e della misericordia di Dio per ciascuno, per i poveri, per chi soffre. In questo senso, è un grande modello e un promotore di rapporti concreti con tutti coloro che incontra, con una capacità spontanea per intavolare relazioni, con i gesti, con il semplice linguaggio.

Tra questi tre Papi vedo una ricchezza complementare che mi ha sempre nutrito nel servizio sacerdotale e spirituale. Ho sempre cercato di capire, interpretare e servire i carismi dei Papi, con personalità diverse ma splendide, e sono stato felice di aiutare i cristiani a capire che le loro ricchezze sono complementari e non contraddittorie.

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Dopo il suo ritiro dalla Radio Vaticana e dalla Sala Stampa è rimasto attivo su varie questioni, inclusa la lotta agli abusi. Al di là dell’attenzione nei confronti delle vittime, cosa può dire ai sacerdoti esausti per via della pressione sociale e mediatica legata a questi fenomeni? Come possiamo trovare un equilibrio tra un approccio più saldo e rigoroso agli abusi senza cadere in un atteggiamento di sospetto generalizzato che provoca in sé molta sofferenza?

P. Lombardi: Credo che di fronte ad abusi e scandali sospetto e umiliazione siano inevitabili. È un prezzo che dobbiamo pagare, come partecipazione alla sofferenza delle vittime e per la purificazione della Chiesa. Non c’è via di purificazione, di conversione e di rinnovamento senza un prezzo da pagare. È vero che come sacerdote soffro e sono umiliato, ma lo accetto. Sulla via della sequela di Cristo, c’è tutta una dimensione di umiliazione da sopportare con umiltà, con pazienza, con la consapevolezza di dover affrontare insieme le conseguenze di quelle mancanze per rinnovarci. È un elemento assolutamente fondamentale.

Dobbiamo continuare però a confidare nella grazia del Signore, nella verità della nostra vocazione. Crediamo nel valore del servizio della fede, del servizio alla Parola di Dio. Se siamo convinti di essere stati chiamati, dobbiamo continuare a servire il messaggio di Gesù Cristo di salvezza dell’umanità con coerenza e decisione.

Dobbiamo quindi accettare e vivere seriamente l’umiliazione come partecipazione alla sofferenza delle vittime, e rimanere consapevoli del valore dell’impegno nei confronti della vita cristiana e del servizio agli altri, anche nella forma del sacerdozio, dei sacramenti e della proclamazione della Parola di Dio.

Come considera la crisi del sacerdozio che sta interessando tanti Paesi? Questa fase di purificazione potrebbe portare a qualcosa di più giusto, più sano e alla fin fine anche più attraente?

P. Lombardi: Lo spero sicuramente! Quando vediamo degli aspetti negativi, dobbiamo anche cercare di discernere i segni positivi che possiamo vedere nella nostra Chiesa e nella nostra società. È un principio della comunicazione: spesso tendiamo a vedere ciò che è negativo, ma dobbiamo vedere anche gli aspetti positivi, e nella Chiesa ce ne sono tanti! Ci sono anche cambiamenti nel modo in cui si esercita il servizio e nella vita della Chiesa, e devono essere cercati insieme.

Il tema della sinodalità che il Papa ci propone è quindi molto importante. È una prospettiva essenziale di questo pontificato: invitarci a ripartire come comunità, insieme, sentire la nostra responsabilità comune, e senza aver paura di vedere la realtà, sperimentando l’aiuto reciproco, pregando insieme, cercando lo Spirito Santo, che può manifestarsi in molti modi.

Pensiamo alla Chiesa delle origini: c’erano solo 12 persone, ma lo Spirito Santo ha trovato la forza per diffondere la fede cristiana. Nella sua storia, la Chiesa ha sperimentato molti cambiamenti. Ad esempio, la Compagnia di Gesù è stata soppressa, ma poi è riuscita a rinascere… Dobbiamo quindi avere una prospettiva che non si lasci colpire troppo da una situazione momentanea, ma trovi nella fede una visione fiduciosa dell’opera di Dio e del Suo Spirito.

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