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Un imprenditore può andare in Paradiso? Sì, ma a tre “condizioni” 

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Gorodenkoff I Shutterstock

Mathilde De Robien - pubblicato il 19/09/22

Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano, lo scorso 12 settembre, 5mila membri della Confindustria, la Confederazione generale dell’industria italiana. Davanti a questi manager il Papa ha delineato il proprio ritratto del capo d’impresa, e le “condizioni” perché questi entri nel Regno dei Cieli.

«È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli» (Mt 19,24), dice Gesù ai discepoli dopo aver raccontato loro la parabola del giovane ricco. 

Cristo non è tenero con i ricchi. Il suo sfogo sui mercanti del tempio lo mostra eloquentemente. E tuttavia, rassicura il Papa, «si può essere commercianti, imprenditori, ed essere discepoli di Cristo». Questo però richiede alcuni sforzi. Francesco identifica le tre condizioni «perché un capo d’impresa entri nel Regno dei Cieli». Attraverso lo specifico sindacato che aveva davanti, il Romano Pontefice si rivolgeva «al mondo degli imprenditori» in generale, che ha descritto come «una componente essenziale della costruzione del bene comune» e «un motore primordiale dello sviluppo e della prosperità». 

1Condividere

La condizione più importante per essere un imprenditore secondo il cuore di Dio è la condivisione. La condivisione è «un altro nome per la povertà evangelica», ha spiegato il Papa. «La ricchezza invoca la responsabilità». Un capo deve dunque farla fruttificare e agire in modo che serva al «bene comune». 

La condivisione può essere filantropia, ha proseguito il Romano Pontefice, perché consiste nel «restituire alla comunità». Egli ha però anche difeso l’esistenza, in ogni società, di un «patto fiscale» di redistribuzione delle ricchezze mediante imposte e tasse. Esse non sono «una usurpazione», ha insistito, ricordando che permettono di creare «beni comuni» come scuole e ospedali. 

La condivisione passa anche dalla creazione di posti di lavoro, ha insistito il Papa, in particolare per i giovani. «Le imprese, senza i giovani, perdono innovazione, energia, entusiasmo» – ha insistito. 

Creare lavoro «genera una certa uguaglianza» nelle imprese ma anche nella società, ha affermato. Per questo però «i salari non devono essere troppo differenti», ha proseguito deplorando che «la parte del valore che torna al lavoro» sia oggi «troppo debole» se paragonata alle «rendite finanziarie» e ai «salari degli alti dirigenti». 

In ultimo, il Papa ha invitato gli imprenditori ha fare uno sforzo «patriottico» per favorire un modello sociale che combatta la denatalità. Il Vescovo di Roma ha vivamente criticato il fatto che, per le donne impiegate, «quando si vede la pancia che cresce una viene messa alla porta». E ha chiesto agli imprenditori di trovare una soluzione per cui una donna incinta e una giovane madre possa continuare a lavorare. 

2Favorire una integrazione costruttiva

Davanti a quei capi d’impresa, Francesco ha pure sottolineato il ruolo-chiave che le imprese giocano a fronte dell’immigrazione, «favorendo una integrazione costruttiva», e ha pure condannato lo sfruttamento di cui soffrono i migranti. «Se il migrante – ha insistito – è rigettato o semplicemente utilizzato come un lavoratore senza diritti, è una grande ingiustizia e questo nuoce anche al Paese». 

3Non dimenticare l’odore del lavoro

«Il buon imprenditore conosce i lavoratori perché conosce il lavoro», ha dichiarato papa Francesco ai capi d’impresa in udienza da lui, ingiungendo loro di non dimenticare «l’odore del lavoro» coltivando la prossimità coi loro dipendenti. 

Una delle gravi crisi del nostro tempo è la perdita di contatto degli imprenditori col lavoro: crescendo, diventando grandi, la vita trascorre in uffici, riunioni, viaggi, convegni, e non si frequentano più le officine e le fabbriche. Si dimentica “l’odore” del lavoro. È brutto. È come succede a noi preti e vescovi, quando dimentichiamo l’odore delle pecore, non siamo più pastori, siamo funzionari. Si dimentica l’odore del lavoro, non si riconoscono più i prodotti ad occhi chiusi toccandoli; e quando un imprenditore non tocca più i suoi prodotti, perde contatto con la vita della sua impresa, e spesso inizia anche il suo declino economico. Il contatto, la vicinanza, che è lo stile di Dio: essere vicino. 

Alla fine il Papa ha ricordato il legame di interdipendenza tra un capo e i suoi dipendenti: 

[…] se è vero che ogni lavoratore dipende dai suoi imprenditori e dirigenti, è anche vero che l’imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima: possiamo dire che dipende dal loro “capitale” spirituale, dei lavoratori.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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