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Storia dello “Zaffiro di Sant’Edoardo”, donato a (e da) san Giovanni

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Adrian DENNIS / AFP / POOL

Lucia Graziano - pubblicato il 19/09/22

Innumerevoli sono i simboli comparsi durante i funerali di Elisabetta II. Sul feretro della regina, in particolare, splendeva la leggendaria pietra blu che si vuole al centro di una storia memorabile.

Se c’è una cosa che abbiamo imparato grazie alla morte della regina Elisabetta è che le tradizioni dal sapore antico ci affascinano incredibilmente. Sono state molte le persone che, pur non avendo mai nutrito particolare interesse per le vicende della famiglia reale inglese, sono state conquistate dalla sua cerimoniosità solenne; in effetti, non tutti i giorni capita di assistere a cerimonie senza tempo come quella che abbiamo ammirato stamattina, ammantate di un’atmosfera regale e antica che sembra arrivare dritta dritta dal Medioevo.  

E allora, non guasterà spendere qualche parola per commentare due degli elementi che stamane abbiamo avuto modo di osservare: il primo, maestosamente ampio, grande come una cattedrale; il secondo, meno vistoso, piccolo come una pietruzza.

Iniziamo dal primo, cioè la splendida Westminster Abbey che oggi è stata teatro dei funerali. Edificata nel XI secolo per volontà di re Edoardo III d’Inghilterra (meglio noto tra i credenti col duplice appellativo di sant’Edoardo il Confessore), la chiesa nacque allo scopo dichiarato di ospitare tutte le più importanti cerimonie della famiglia reale inglese. Come i giornalisti hanno ricordato più volte, la regina Elisabetta si sposò tra quelle navate e in quello stesso luogo fu incoronata. Su sua esplicita richiesta, sarà seppellita altrove, assieme ai genitori e all’amatissimo marito; e tuttavia, Westminster Abbey è anche il luogo in riposano molti dei re del Regno Unito.

E non da soli.

In maniera piuttosto sorprendente per quello che nasce come pantheon regale, da sempre Westminster volle accogliere in sé anche tutti quegli individui che, nel Regno Unito, si erano distinti non per nobiltà di sangue ma per la loro mente sopraffina. Innumerevoli artisti, poeti e uomini di scienze riposano a fianco a fianco dei sovrani: Daniel Defoe ebbe a scrivere che sotto il pavimento di Westminster «le ceneri regali si mescolano alla comune polvere dei sudditi» – una scelta simbolicamente forte, decisamente in controtendenza rispetto a quella operata da altre monarchie europee.

E se a nessuno sarà sfuggita la maestosità di quella grandiosa chiesa medievale, non è detto che tutti abbiano prestato troppa attenzione a un piccolissimo dettaglio che pure ha fatto capolino nelle riprese che stamane arrivavano da Londra. Sto parlano di quella gemma dal colore azzurrissimo e splendente che è incastonata al centro della croce che sormonta l’Imperial State Crown, la corona che era posata sul feretro della regina Elisabetta.

Ebbene, quella gemma ha un nome, “Zaffiro di sant’Edoardo”, e racchiude in sé una storia leggendaria: una storia che lo collega a re Edoardo il Confessore, quello che appunto volle far costruire la chiesa di Westminster.

Monarca amatissimo dai suoi sudditi, canonizzato nel 1161 e ancor oggi considerato il santo patrono della Royal Family, Edoardo fu oggetto di un miracolo portentoso che – a dar retta a quanto narra la leggenda – ebbe luogo nel dicembre del 1064.

Era la festa di san Giovanni evangelista; ovverosia, era il 27 di dicembre: si era nel bel mezzo delle feste di Natale. Preparandosi a lasciare il suo palazzo per assistere a una Messa in onore di san Giovanni, re Edoardo era perfettamente conscio del fatto che le strade di Londra si sarebbero riempite di uomini e donne che sgomitavano per vederlo.

Natale era appena trascorso, e il buon re volle approfittare dell’occasione per fare un piccolo regalo ai suoi sudditi: diede ordine ai valletti di caricarsi in spalla dei grossi sacchi di denaro, coi quali fare un po’ di elemosina ai popolani. E così, per ordine del re, centinaia e centinaia di monete d’oro furono distribuite quel giorno alla folla, mentre, Edoardo e la sua corte si facevano strada fino al sagrato della chiesa. Fu proprio lì che il re notò un vecchietto che se ne stava in disparte, tremando per il freddo in una tunichetta così malconcia e lisa che l’avresti facilmente detta vecchia di qualche centinaio d’anni.

Il re richiamò l’attenzione di un valletto, per assicurarsi che anche quel vegliardo potesse ricevere la sua moneta; e il povero servitore si vide costretto ad ammettere che quell’ordine non poteva essere esaudito. L’affluenza era stata decisamente superiore alle previsioni, e tutte le monete erano già state distribuite; non c’era più contante da dare alla popolazione.

Re Edoardo – racconta la leggenda – si fermò a guardare di lontano quel vecchietto infreddolito. E poi, senza esitazione, si sfilò dal dito uno dei suoi anelli: un maestoso gioiello d’oro nel quale era incastonato uno zaffiro di incommensurabile valore. Ciò nonostante, il buon re non tentennò nemmeno per un attimo, prima donare il suo anello a quel vegliardo; il quale gli sorrise compiaciuto e poi s’allontanò, facendo rapidamente perdere le sue tracce.  

Riapparse esattamente sei mesi dopo, in Terra Santa, intrufolandosi in una locanda in cui un gruppo di nobili inglesi, che si erano recati in pellegrinaggio a Gerusalemme, si stavano godendo l’ultima serata in quelle lande prima di imbarcarsi per tornare in patria. Il vecchio volle informarsi discretamente su quale opinione avessero quei nobili circa il re che li guidava; e loro gli risposero tessendo di re Edoardo la più sperticata delle lodi: raramente s’era visto un monarca così saggio, così santo, così equilibrato nel governo!

Il vecchio sorrise, posando sul tavolo quell’anello maestoso che il re gli aveva donato qualche tempo prima. In effetti – disse a quei nobiluomini – lui stesso aveva avuto modo di sperimentare la sua generosità disinteressata; ma adesso era bene che quel gioiello tornasse al re, ché il vecchio non aveva più bisogno… anzi: tecnicamente, non ne aveva mai avuto.

Ai suoi attoniti commensali, il vecchio spiegò di essere niente meno che san Giovanni evangelista, sceso sulla terra allo scopo di mettere alla prova la bontà di cuore di Edoardo. Il futuro santo aveva superato ogni aspettativa, accettando di donare un simile gioiello al primo mendicante di passaggio; e il santo evangelista avrebbe ricambiato tanta generosità con un dono, se possibile, ancor più prezioso. Ordinò a quei nobili inglesi di partire senza indugio, per arrivare in patria nel minor tempo possibile: appena giunti a Londra, avrebbero chiesto udienza al re e gli avrebbero detto che san Giovanni evangelista intendeva comunicargli la data della sua morte – esattamente a sei mesi da quel giorno.

E così fu, ci assicura la leggenda.

Ed Edoardo (la cui salute ebbe effettivamente un rapido tracollo nel giorno della festa di Giovanni evangelista, quel santo che tanto aveva amato), ebbe la possibilità di giocare d’anticipo per sistemare i suoi affari di Stato… e soprattutto la sua anima, preparandosi con serenità a quell’appuntamento del resto inevitabile.

Edoardo il Confessore fu sepolto con quel gioiello miracoloso, che tuttavia non rimase a lui troppo a lungo: quando il santo re, dopo la sua canonizzazione, fu traslato in un più acconcio reliquiario, l’anello di zaffiro fu messo da parte e restituito ai tesori della Corona. E lì rimane ancora, oggigiorno incastonato all’interno dell’Imperial State Crown, come un monito silenzioso per tutti i re che via via la indosseranno: talvolta, la generosità può fruttare i miracoli più prodigiosi e più inaspettati. Come, ad esempio, la grazia inestimabile di potersi preparare per tempo per andare incontro a una santa morte. In questo senso, è stato simbolico e struggente vedere quello zaffiro fare capolino tra i fiori che sormontavano il feretro della regina – la storia di questa gemma sembra voler raccontare che un re può avere mille ricchezze e mille onori… ma nulla vale quanto il tesoro più prezioso: quello di andare incontro, a tempo debito, a una buona morte.

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