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Angosciarsi indica una mancanza di fede?

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Marcos Mesa Sam Wordley - Shutterstock

María Álvarez de las Asturias - pubblicato il 26/09/22

Molti credenti si preoccupano quando soffrono per qualche problema o difficoltà, e si chiedono se la loro angoscia non sia una dimostrazione di mancanza di fede

Qualche giorno fa ho condiviso questo tweet, e varie persone mi hanno fatto sapere che le ha aiutate:

Molti credenti si preoccupano quando soffrono per qualche problema o difficoltà, e si chiedono se la loro angoscia non sia una dimostrazione di mancanza di fede. Di fronte a eventi della vita come la malattia o la morte di una persona cara, la tristezza – normale – può essere interpretata, credono, come una mancanza di conformità alla volontà di Dio.

Credo sinceramente che questa lettura non sia corretta. Gesù stesso ha pianto per la morte di Lazzaro, si è commosso davanti al dolore della vedova di Nain che doveva seppellire suo figlio e ha sofferto intensamente nell’Orto degli Ulivi. L’umanità di Cristo è come la nostra, e l’uomo non è stato creato per la sofferenza e la morte, ma per la vita, per cui tutto il nostro essere si ribella di fronte al dolore.

Per capire bene la questione, mi sembra che dobbiamo tener conto del fatto che siamo persone in un corpo, con sentimenti, ragione e volontà, e che non sempre tutti gli aspetti della nostra vita procedono in modo armonico.

Quando una persona cara muore, un cattolico crede fermemente che Dio sappia quello che fa, e quindi che se la Sua volontà è stata chiamare quella persona alla Sua presenza in quel momento, è il meglio. Accettare questo “con la testa” è già un atto di fede: “Credo, Signore”.

Il sentimento di tristezza è normale

Questo atto di fede non è del tutto incompatibile con la tristezza provocata dalla separazione fisica: siamo persona corporee, abbiamo bisogno del contatto fisico, della presenza fisica di coloro che amiamo. È quindi normale che, di fronte all’assenza, il sentimento sia di grande tristezza.

Questo sentimento non toglie nulla all’atto di fede che, se è sincero, si esprimerà così:

“Signore, credo che ciò che Tu hai deciso sia il meglio, ma mi costa molto viverlo”.

È quello che ha vissuto Gesù nell’Orto degli Ulivi e durante tutta la Sua passione: accettare la volontà del Padre non Gli ha tolto dolore, angoscia e sofferenza. Ha accettato tutto liberamente, aderendo alla volontà del Padre, ma con angoscia e dolore.

Personalmente, mi sembrerebbe una mancanza di rispetto nei confronti del Signore presentarmi davanti a Lui e dirgli qualcosa che non è vero, ad esempio “Signore, credo che la morte di mio padre sia la cosa migliore perché Tu hai deciso così, e sono molto contenta che sia morto”.

Abbiamo bisogno di tempo

Una reazione di questo tipo potrebbe indicare che la persona è in stato di shock e non si è resa conto dell’accaduto, perché è normale che di fronte alla morte ci invada la tristezza. Tristezza compatibile, come dico, con la totale accettazione della volontà di Dio. Un’accettazione razionale e della volontà (“Credo che quello che fai sia il meglio e lo accetto”) non viene vissuta immediatamente con pace emotiva, perché serve tempo perché i sentimenti e le emozioni accompagnino ciò che è stato accettato con la ragione e la volontà: voglio aderire alla Tua volontà, ma il mio essere si ribella di fronte alla sofferenza. La preghiera potrebbe essere allora “Signore, concedimi di vivere tutto questo con pace!”

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Se poi la personalità già tende alla preoccupazione o all’ansia, che può anche richiedere un trattamento clinico, tutto questo si acuisce. Qualsiasi decisione o evento della vita ha un impatto maggiore sulla persona ansiosa, e possono sorgere dei dubbi: “Non mi fido di Dio? Non ho fede?”

Magari si ha un tratto della personalità che porta a reagire in un modo che ci provoca facilmente ansia, o che rende più difficile mettere in pratica le decisioni… Il fatto di vivere la volontà di Dio in base alla difficoltà emotiva o d’animo non toglie valore all’atto di fede: dal mio punto di vista, è un atto di fede e d’amore enormemente prezioso accettare ciò che ci chiede il Signore, anche se costa.

La cosa migliore che possiamo fare è accettare con umiltà l’aiuto clinico – o di altro tipo – di cui abbiamo bisogno, ringraziare per la possibilità di riceverlo, offrire al Signore le sofferenze che provoca la personalità per consolarlo delle Sue e non dare spazio al male che cerca di separarci dall’amore di Dio.

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