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Il vero san Francesco non era un fricchettone

SAINT FRANCIS

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Lucia Graziano - pubblicato il 02/10/22

A giudicare dai ritratti che ne sono stati fatti nel corso degli anni, san Francesco sembrerebbe una via di mezzo tra il borghese che si fa clochard nel nome della lotta contro il capitalismo e l’antesignano delle principesse Disney che passano il giorno a chiacchierare con gli animaletti. Ma quanto c’è di vero in questi ritratti? E soprattutto: chi è il vero san Francesco?

Quando san Francesco viene citato sui mass media, gli storici della Chiesa tendono a esser colti da una sintomatologia riconducibile all’attacco di orticaria. Non v’è dubbio che il Poverello sia (e a buon diritto!) uno dei santi più amati al mondo; ma la grande popolarità porta con sé dei contraccolpi, e spesso capita che san Francesco si trovi a essere tirato per la giacchetta (anzi: il saio) da movimenti e ideologie che pretendono di farne il loro portavoce. 

A torto? A ragione?

Scopriamolo assieme, analizzando alcune delle “etichette” che più di frequente vengono appiccicate sulla figura del Poverello. 

Il santo compagnone che parla agli animali, come il protagonista di una fiaba per bambini

Il paragone non è casuale, perché la narrativa per l’infanzia ha davvero avuto un ruolo nello scolpire quest’immagine. Nelle prime decadi del XIX secolo, molte case editrici cattoliche cominciarono a dare alle stampe dei libretti sulla vita di san Francesco, rivolti a un pubblico in età scolare. Fu una vera e propria moda editoriale, che effettivamente funzionava bene: i Fioretti sono una miniera inesauribile di aneddoti a cui attingere per scrivere storie adatte ai più piccini. Raccontati in toni fiabeschi, episodi a effetto come quello del lupo di Gubbio entusiasmarono generazioni di bambini… ma, inevitabilmente, finirono anche col semplificare gli episodi più celebri della vita del santo. Li trasformarono in storielle a misura di bambino, per l’appunto. 

Ma le “vere” fonti francescane, rivolgendosi a un pubblico adulto, tendono a descrivere in modo più sfaccettato le vicende che vedono protagonista il santo di Assisi. Prendiamo l’episodio della predica agli uccelli, che è citato con sfumature diverse in numerose fonti d’epoca: Ruggero di Wendover (†1236) lo colloca al termine di un pomeriggio infruttuoso in cui san Francesco aveva inutilmente cercato di annunciare il Vangelo ai passanti, ricevendo null’altro che insulti e derisione. Di fronte a tanta ostilità, il santo aveva reagito con un secco «me ne andrò dunque ad annunciare Cristo agli animali bruti e agli uccelli dell’aria; essi ascolteranno queste parole di salvezza!». E infatti gli animali ascoltarono con devozione, mostrando paradossalmente d’essere migliori di quegli uomini gretti che rifiutano il Vangelo. 

Così descritto, l’episodio non perde nulla della sua bellezza, ma acquisisce un po’ più di profondità: non è che san Francesco parlasse agli animali perché era l’antesignano delle principesse delle Disney; aveva un insegnamento importante da passare, tramite quella predica agli uccelli.

Il santo ambientalista e vegetariano

Nell’era del WWF e dei Fridays for Future, Francesco viene spesso additato come il patrono morale dei movimenti ambientalisti. L’associazione, in realtà, è di vecchia data, ed era già presente all’inizio del Novecento; basti pensare che Evelina Martinengo Cesaresco (†1931), autrice di vari studi sul folklore italiano, accostò san Francesco ai personaggi di Bacco e Orfeo: figure religiose che, a vario titolo, si erano caratterizzate per uno stretto legame con la natura. Bontà sua, l’autrice ci tenne a precisare che il santo era un caso particolare perché era esistito per davvero. 

Come ben sappiamo, san Francesco amò veramente la natura, tanto che papa Giovanni Paolo II lo volle nel 1979 «patrono dei cultori dell’ecologia»; questo però non vuol dire che il santo di Assisi avesse posizioni perfettamente sovrapponibili con quelle del moderno movimento ambientalista. Per esempio, nei circoli che promuovono l’alimentazione vegan, è diffusa la convinzione che il Poverello fosse vegetariano: in realtà, le fonti francescane ce lo dipingono come un uomo di buona forchetta che, nei momenti opportuni, amava gustare un buon arrosto. «Voglio che in un giorno come questo anche i muri mangino carne!» disse un giorno ai suoi frati, che discutevano su cosa portare in tavola a Natale. 

Il mito di san Francesco vegetariano? Probabilmente nasce dall’errata interpretazione di un aneddoto ripotato da Giuliano di Spira (†1250): essendo stato invitato a pranzo da un uomo che aveva preparato per lui un gran banchetto, il Poverello si limitò a spiluccare le portate di carne, preferendo sfamarsi con piatti più modesti. Nel contesto, è facile capire che a spingere Francesco fu il desiderio di frugalità, e non il rifiuto di consumare prodotti d’origine animale: poiché la carne era un cibo costoso, e il suo anfitrione aveva chiaramente speso molti soldi per offrirgli un banchetto fin troppo ricercato, il Poverello assaggiò tutto per non mancare di rispetto al cuoco, ma non volle ingozzarsi di cibi eccessivamente ricchi.   

Il santo hippie fricchettone

L’affermazione può sorprendere, ma la prima associazione tra san Francesco e i figli dei fiori nacque quasi per caso, sfruttando la coincidenza per cui la culla del movimento hippie fu la città americana di San Francisco. Lì, nell’estate 1967, un collettivo di giovani organizzò un grande raduno che prese il nome di Summer of Love  e che non è rimasto impresso nell’immaginario collettivo per l’unica ragione che il festival di Woodstock arrivò a scalzarlo. 

Eppure, la Summer of Love attirò migliaia di giovani nella città californiana: fu il primo evento di questo genere, inedito per portata e per dimensioni. L’artista Bob Schenpf, che si occupò di creare le locandine per la manifestazione, ebbe poi a dichiarare che era stata una scelta voluta, quella di associare il santo di Assisi alla Summer of Love, giocando appunto sulla coincidenza per cui il festival si sarebbe tenuto nella città dedicata a san Francesco. Dichiaratamente, l’idea era quella di sfruttare la popolarità di un personaggio religioso per tranquillizzare gli abitanti di San Francisco, che non vedevano di buon occhio la prospettiva di trovarsi invasi da centinaia di capelloni. E così, san Francesco si trasformò nello sponsor del movimento hippie: le locandine che annunciavano la Summer of Love lo ritraevano in compagnia dei suoi fidi animali mentre se ne stava a braccia spalancate su uno sfondo psichedelico, circondato da slogan non-violenti ispirati alla preghiera della pace. 

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Fu quella la prima associazione tra il Poverello e il movimento hippie; ma non fu l’unica, ovviamente. Ai giovani del Sessantotto non parve vero di potersi identificare in un santo che si ribellava all’autorità paterna, rifiutava le sue ricchezze borghesi, si spogliava nudo davanti al vescovo e si trasformava in clochard nel nome di una rivoluzione culturale. Nel 1973, il film Fratello Sole e Sorella Luna rappresentò il trionfo di questa linea di pensiero: Franco Zeffirelli si spinse a presentare il “suo” Francesco come «un ragazzo che aveva tutto, ma non voleva fare parte dell’Establishment», sottolineando che «le parole che disse a suo padre trovano oggi un’eco in quelle che molti giovani stanno ripetendo ai loro genitori».

Una curiosità? I Beatles erano fortemente affascinati dalla figura di san Francesco e dalla rilettura che ne stava facendo Zeffirelli. Per un po’, valutarono persino la possibilità di farsi coinvolgere nel progetto, con Paul McCartney a vestire il saio francescano in qualità di attore protagonista.

Alla fine non si trovò un accordo, ma il dettaglio la dice lunga: il Poverello era diventato un modello di virtù anche agli occhi di individui che avevano ben poco a che vedere con il cattolicesimo, e che non necessariamente amavano Francesco in quanto santo. 

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