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Le dodici virtù del buon maestro secondo san Giovanni Battista de La Salle

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Lucia Graziano - pubblicato il 05/10/22

Il santo patrono degli educatori ci offre un prontuario di virtù che sarà prezioso per chi lavora nella scuola, ma non solo. Le “dodici virtù di un buon maestro” sono regole di vita per chiunque abbia a che fare, a vario titolo, con la formazione dei ragazzi.

Non si corre il rischio di esagerare nel dire che san Giovanni Battista de La Salle cambiò, e radicalmente, il modo di far scuola: l’uomo diede il via a una vera e propria rivoluzione pedagogica, nella Francia del Re Sole. Per esempio, fu sua la proposta di prediligere l’insegnamento in lingua madre nelle scuole gratuite per ragazzi poveri, lasciando perdere quel Latino su cui ci si ostinava inutilmente e che sarebbe stato di ben poca utilità ai figli di pastori e contadini.

Ma non fu questa la sua più grande intuizione. Consapevole della bassa qualità didattica dell’insegnamento che veniva offerto nelle scuole popolari, il santo istituì un corso di formazione per insegnanti, aperto alla frequenza di chiunque avesse voluto iscrivercisi. Di fatto, aveva inventato prima scuola magistrale: una svolta che cambiò davvero il mondo dell’educazione.

Giovanni Battista de La Salle ha lasciato molti testi pedagogici, a partire dai quali fu tratto, in maniera postuma, un elenco delle “dodici virtù di un buon maestro”: dato alle stampe nel 1785, godette immediatamente di grande diffusione per la bontà dei suoi insegnamenti. 

Ma dunque, quali sono queste dodici virtù? 

Analizziamole assieme. 

1La gravità

Oggi la definiremmo come capacità di sapersi porre nel modo giusto, con un comportamento autorevole ma senza eccessi. Evidentemente, nel Settecento, non esisteva il problema del maestro compagnone che non riesce a mantenere la disciplina perché è poco autorevole; i consigli del santo vanno semmai nella direzione opposta, raccomandando di evitare «gli impeti di collera», «gli sguardi minacciosi», «il tono imperioso, le parole ingiuriose o dettate dall’ironia». Globalmente, il buon maestro «eviterà di farsi temere, perché, come suo scopo, persegue di attirarsi la confidenza degli alunni per meglio conoscerne le virtù, coltivarle e perfezionarle»: un obiettivo difficile da raggiungere, se il prof. terrorizza tutti non appena entra in classe. 

2Il silenzio

Che ovviamente non vuol dire mutismo, ma «una saggia discrezione nell’uso della parola: discrezione per cui il maestro tace quando non deve parlare e parla quando non deve tacere». Proporre nel modo giusto pochi concetti incisivi è molto più efficace rispetto al cianciare per ore con digressioni senza senso, che finiscono solamente col confondere i ragazzi.  

3L’umiltà

Mettiamola così: le aule di una scuola di campagna non sono esattamente il posto migliore per chi vuole superbamente sfoggiare la sua cultura. Il buon maestro «non si compiace per le sue doti naturali né per l’istruzione che può avere acquisito; non lascia trasparire disprezzo né per i colleghi né per il loro operato», né tantomeno mostra preferenze per i suoi studenti, beandosi del successo dei pupilli promettenti e abbandonando gli altri al loro destino. L’umiltà si riverbera anche nel metodo di lavoro: il buon maestro eviterà colpi di testa e «perseguirà l’uniformità nei metodi didattici, evitando interpretazioni particolari, in considerazione […] delle difficoltà in cui porrebbe il maestro che eventualmente dovesse succedergli».

4La prudenza

Questa virtù «richiede che si conoscano pienamente sia la questione di cui ci si occupa, sia i mezzi che sono richiesti per condurla a buon fine». Da un lato, il maestro deve essere in grado di offrire un insegnamento impeccabile, cioè «deve richiamarsi con esattezza alla memoria le nozioni che gli possono sfuggire e gli provocherebbero discredito dinanzi agli alunni»: gli strafalcioni, insomma, non sono ammessi. Dall’altro lato, deve avere cura di svolgere il suo lavoro coi i migliori mezzi a sua disposizione, evitando di esprimersi «con termini troppo elevati che gli alunni non capiscono o, al contrario, in modo sciatto».

5La saggezza

Preparare una lezione, va da sé, non vuol dire limitarsi a ripassare le nozioni che verranno esposte in classe. Un buon maestro è quello che ha studiato a fondo il tema di cui dovrà trattare e che sa rispondere alle eventuali domande dei suoi alunni: «la saggezza gli sarà di guida nell’approfondire le materie scolastiche che deve insegnare, e non solo, ma anche i loro significati più profondi; diversamente darà ai suoi alunni parole vuote, oppure nozioni senza fondamento e senza connessione logica».

6La pazienza

Evidentemente, è quantomeno dal Settecento che “non ci sono più i bambini educati di una volta, signora mia”. Con rassegnazione, il pedagogo raccomanda ai suoi maestri di «non infastidirsi dei modi rozzi, degli scherzi di cattivo gusto e delle maniere grossolane degli alunni e dei loro genitori». 

Ma è solo la maleducazione dilagante a mettere a dura prova la pazienza di chi lavora nella scuola. L’insegnante virtuoso è pronto a «ripetere sovente e con insistenza gli stessi avvisi, sempre con bontà e affetto, per inculcarli nella memoria degli alunni», nonostante la fatica che si può provare nel tornare cinquanta volte sullo stesso tema. Non tutti apprendono con la stessa rapidità, ma non bisogna demordere: «a forza di istruzioni, avvertimenti, ripetizioni, si giunge, presto o tardi, a conseguire lo scopo che ci si propone». 

7La riservatezza

Secondo il pedagogo, esiste un limite alla confidenzialità opportuna: il maestro avveduto eviterà qualsiasi atteggiamento che possa indurre i ragazzini «a formularsi giudizi imprudenti che possono diminuire il rispetto e la reputazione di cui il maestro ha bisogno per influenzare positivamente gli alunni e per meritare la loro stima». 

8La dolcezza

Non sta facendo un buon lavoro, quel maestro che «si presenta sempre malcontento dei suoi alunni, per qualsiasi motivo, o di pessimo umore, gelido, che non apre la bocca se non per dire parole mortificanti, sgradevoli, minacciose, se non ingiuriose». È un comportamento inutile e deleterio; al contrario, il maestro si sforzerà di rivolgersi ai suoi alunni con «affetto, delicatezza, benevolenza, modi accattivanti e persuasivi; eviterà gli ordini duri e intransigenti, anzi ne smusserà le asprezze».

9Lo zelo

Mai sedersi sugli allori, vien da dire: quello di insegnante è un mestiere in continua evoluzione. Per dare sempre il meglio, il buon maestro «non si limiterà alle lezioni già preparate» che sono scritte sul sussidiario, ma valuterà di volta in volta la classe e l’occasione per «proporre con inventiva» qualche piccola variazione sul tema, che «non essendo prevista, fa ordinariamente più impressione di una proposta con metodo, alla quale a volte gli alunni sono assuefatti».

10La vigilanza

Sia per evitare incidenti, sia per prevenire cattivi comportamenti, il maestro deve avere sempre il pieno controllo di ciò che fanno gli scolari. «Ma sempre in modo prudente, per non dare l’impressione di sorvegliarli», e senza trasformarsi in un pazzo paranoico: «la vigilanza non deve essere ansiosa, diffidente, sospettosa, posta su congetture infondate» – anche perché serve a ben poco avere una classe di ragazzi che rigano dritto solo perché si sentono il fiato sul collo.

11La pietà cristiana

Una raccomandazione che forse suonerà strana a chi pensa alla pratica quotidiana di chi insegna nelle scuole statali; ma nelle scuole cristiane fondate dal santo, il maestro era al tempo stesso docente e catechista. E di certo non svolge un buon lavoro di catechesi quell’educatore che «recita o permette di recitare le preghiere in fretta» e di malavoglia, e «trascura o compie distrattamente alcune pratiche di devozione, come prendere l’acqua benedetta, fare il segno della croce»: la fede non si insegna con la sciatteria.

12La generosità

Quanto vale, il lavoro di un individuo che spalanca a un bambino un mondo di infinite opportunità, accompagnandolo in quel viaggio meraviglioso verso l’età adulta? Quello di insegnante è un lavoro dal valore incommensurabile: «e, benché procuri al prossimo vantaggi di una importanza infinita, egli lo fa con perfetto disinteresse, lungi dal trarne un profitto personale». L’insegnamento è una missione: «eccellente, molto faticosa e, per sua natura, non sempre gratificante agli occhi degli uomini, perché viene poco apprezzata». Ma il buon maestro si cura poco dei riconoscimenti mondani: «la sua vera preoccupazione è che i suoi alunni raccolgano frutti abbondanti, perché possa dire come san Paolo: Per conto mio ben volentieri mi prodigherò, anzi consumerò me stesso per le vostre anime».

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