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Marco Bellavia e l’irreality show che accetta tutto tranne la fragilità mentale

Alfonso-Signorini-AFP

MAURO FAGIANI / NURPHOTO / NURPHOTO VIA AFP

Paola Belletti - pubblicato il 05/10/22

Alla settima edizione del reality show di gente famosa solo per essere in quello show, il GFVip, scoppia il caso Bellavia. Bullizzato dai coinquilini per il suo stato mentale, decide di lasciare il programma.

Grande Fratello VIP, niente di grande, niente di fraterno

Come credo moltissimi di voi, non guardo mai il Grande Fratello Vip, né altri reality simili. Mi ricordo solo di Cristina, la ragazza di Iseo, che vinse la prima edizione (non vip) e di Pietro Tarricone, morto in seguito ad uno sfortunato lancio col paracadute dodici anni fa.

Impossibile però non venire a conoscenza, negli ultimi giorni, del caso Marco Bellavia nell’inspiegabile già settima edizione del programma Mediaset, guidato da Alfonso Signorini.

La sofferenza mentale e i disturbi dell’umore

I fatti in sintesi: Marco Bellavia, attore, modello ed ex presentatore di Bim Bum Bam dopo l’era Bonolis – parliamo di neolitico televisivo insomma- entra nella casa del GFVip e inizia presto a manifestare disagio e anche a generarne negli altri. Dichiara la propria fragilità, il fatto di non essere una persona equilibrata, di sentirsi assalire dai mostri che lo seguono da una vita, si scusa e soprattutto chiede aiuto. Spesso scoppia in lacrime, anche durante la notte.

Alcuni lo ascoltano e cercano, più o meno goffamente, di consolarlo e dargli coraggio; i più lo isolano, lo respingono e ridicolizzano con crudeltà le sue esternazioni. Qualcuno teorizza che sia giusto che venga bullizzato (pare che la cosa sia legata al fatto che allungava le mani su alcune concorrenti donne).

Apriti cielo e, appena rimediata una scaletta decente, si aprano subito i microfoni, ché Signorini parte col sermone.

Tutto fa spettacolo?

Il reality continua ad essere una febbrile faccenda inconsistente, generatrice di profitti, che si alimenta di rinunciabili opinionisti, innumerevoli commenti su dinamiche innescate sul quasi niente.

Il tutto a danno (ma loro credono sia a favore) di un gruppo di persone che, per essere vip, devono essere apparse non troppo a lungo e in modo non troppo indimenticabile in tv; e, soprattutto, devono avere un che di eccessivo, ma politicamente corretto, facile a trasformarsi in caricatura o almeno in tipo umano. La messa a punto del gruppo, si capisce, richiede un certo lavoro di selezione e pianificazione per ottenere le combinazioni più effervescenti.

Non si fanno test persino con le testate nucleari? Ecco, anche in questi tristi casi, si tratta di ordigni fatti brillare in modo controllato (ma i danni, seppure inizialmente lontani dalle zone abitate, esistono ed espandono i loro effetti a lungo. Idem per questi contenuti mediatici).

Reality e verità

Peccato che, sotto queste maschere, resistano le persone con la loro pur mortificata e spesso inconsapevole imprevedibilità.

Ecco, di queste persone, messe a nudo dalla convivenza stretta, pungolate da un copione fatto di confessioni, eliminazioni e dirette, e accese dalla smania di conquistarsi qualcosa attraverso l’esposizione intensiva alle telecamere, emerge loro malgrado qualche verità della nostra natura bisognosa e irrisolta.

Bisognosa di tutto e sazia di niente: sonno, cibo, movimento, in primis.

Appartenenza, distinzione (ecco perché c’è sempre qualcuno che deve restare un po’ fuori dal gruppo), affermazione, riconoscimento, significato. Una piramide dei bisogni senza quasi mai ricordarsi del livello più alto, l’autorealizzazione che, ironia del Creatore, ci può arrivare solo dalle relazioni e dalla Relazione e quindi dall’uscita dal proprio ego.

Inclusione esclusiva

In questa babilonia giocattolo succede di tutto; l’emergenza educativa da cui siamo afflitti si mostra in tutta la sua ampiezza: queste persone sembrano incapaci di considerare l’altro nella sua intangibilità, di rispettare sé stesse e la libertà altrui, di andare oltre la ripetizione di slogan su empatia e abbasso gli stereotipi. Pronti ad esigere comprensione per ogni propria debolezza, usano il pugno di ferro contro quelle altrui.

Una concorrente, Francesca Antonaci detta Gegia, è tra le peggiori nel liquidare l’uomo che mostra sofferenza e disagio. Una volta compagni di stanza lei lo zittisce brutalmente; Bellavia aveva cercato il suo aiuto proprio in nome della sua stiracchiata professionalità (non è solo attrice, si è anche laureata in Psicologia ed è iscritta all’Albo. Le richieste all’Ordine degli Psicologi, almeno via social, perché venga radiata si stanno moltiplicando e l’istanza è presa in seria considerazione).

Altre gli augurano di uscire presto, qualcuno, Ginevra Lamborghini, sorella della non tanto più famosa Elettra, sostiene si meriti proprio di essere bullizzato, altri manifestano fastidio estremo per le sue scenate e i suoi pianti. Tal Giovanni Ciacci rifiuta sdegnosamente le scuse e le offerte di pace da parte di Marco che deve averlo offeso terribilmente (non ho capito per cosa, mi scuserete).

Quando lo show è troppo reale

Signorini apre la puntata che seguirà all’eliminazione della Lamborghini, all’esclusione di Ciacci, per mezzo del voto del pubblico, e soprattutto all’uscita volontaria di Marco Bellavia scusandosi, ma non del tutto. Non è da lui, infatti, non accorgersi in fase di selezione di problemi di salute mentale non dichiarati. E così, con prediche e ammonimenti degni dei più rodati ordini mendicanti, fa rientrare anche questa sofferenza, pur con affermazioni a tratti sincere e condivisibili, nel ciclo produttivo di questa macchina del niente.

Nessuno ci educa più, verrebbe da concludere; eccetto la Chiesa; non vogliamo essere educati ma solo scusati, messi dalla parte dei buoni, compresi e giustificati.

Alla fine, questo programma inguardabile è un Truman show che va benissimo quando raccoglie sponsor (che si sono arrabbiati non poco per le bassezze toccate in questa edizione. Però, signori, non è un po’ ipocrita da parte vostra? Cosa vi aspettate dalle tubature di scarico?), genera indotto, reclama comparse e ambientazioni credibili. Ma quando diventa sul serio true e sul serio human lì per lì non si sa come gestirlo.

Sarò forse un po’ troppo cinica, ma non vedo niente di speciale in questo “caso”.

Le cattiverie a cui un signore di quasi sessant’anni è stato esposto, per la sola colpa di essere fragile psichicamente e di averlo dichiarato in trasmissione, non hanno niente di diverso da tutto il resto.

Sono successe, come succedeva e come succederà che qualcuno limonerà sotto le coperte o qualche altro farà dichiarazioni imbarazzanti su parti anatomiche altrui.

Lo sdegno generale e i processi sommari

Interessante l’onda di indignazione che si è levata dal pubblico, tv e social soprattutto. Interesse etnografico per il fatto che esista un nutrito pubblico di prodotti simili e interessante per il merito della questione: perché infierire su qualcuno che dichiari il proprio malessere psicologico, di una natura e di una qualità tale da non risultare dannoso per gli altri? Non ha attacchi d’ira, non mangia compulsivamente, non ruba o si lascia andare a turpiloquio o peggio.

E’ depresso, piange, si sente debole e non è un buon compagno di vuote conversazioni. Peccato davvero per lui che si sia esposto ad una prova tanto estenuante nelle sue condizioni.

Si parla tanto di salute mentale ma ancora è oggetto di stigma

Sarà che non ne so nulla, ma vedendo i frame incriminati, personalmente ho trovato le esternazioni sofferte di Marco Bellavia come dire comprensibili, facilmente riconducibili ad un momento di prolungata prostrazione, di fragilità emotiva e di profonda frustrazione personale. Insomma, mi è sembrata una persona normale, una delle più normali, addirittura; provata dalla vita e dalle sue delusioni e caduta in depressione. Un depresso ha cose intorno e dentro di sé che sono deprimenti. Non tutto dipende da lui, non tutto dipende dallo sguardo; a volte è la vita che picchia troppo duro.

Va bene, dunque, imporre all’universo di voler essere accettati e ritenuti normali qualsiasi orientamento sessuale si vada ostentando, qualunque deformità o esagerazione si imponga al proprio organismo rivendicandone la bellezza percepita;

va bene se si difendono i cuccioli di qualsiasi specie (umana esclusa, anche se su questo Signorini aveva levata forte la propria voce!),e se si reclutano schiere di annoiati per la causa della body positivity;

benissimo se ci passiamo idee su come ricordarci di spegnere le luci e risparmiare acqua corrente. Guai, invece, se il tema è la debolezza psicologica, la depressione poi, non parliamone. Forse la dittatura della positive thinking ha fatto più vittime di quel che si crede.

Dobbiamo tornare ad educarci

Però, signori miei, come si può procedere per giornate mondiali e sessioni intensive di sensibilizzazione per l’una o l’altra patologia? come si fa a parlare sempre dai microfoni del colpevolizzatore universale per ottenere dalla società un cambiamento?

Il problema è invece soprattutto educativo e culturale. Ha ragione il Papa, non abbiamo voglia (abbiamo paura!) di riconoscere come siamo fatti, di ammettere le nostre fragilità e soprattutto la nostra cattiveria. I cattivi sono fuori, sono gli altri, sempre.

E allora si concluda in fretta questa fase di assegnazione ruoli – chi è buono e può moralizzare per di qua, i cattivi di là, divisi in 4 sotto gruppi, e si proceda a ritmo serrato alla moralizzazione a tappeto.

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