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Brasile: perché tanti Evangelici sostengono Bolsonaro?

BOLSONARO

Foto: Marcos Corrêa/PR - (CC BY 2.0)

Miguel Pastorino - pubblicato il 06/10/22

Gli Evangelici sono un fattore sempre più contemplato dagli analisi sociali e politici

Anche se il rapporto tra Evangelici e politica è più complesso di quanto si dice in genere e non è il motivo più importante della vittoria precedente di Jair Bolsonaro alle elezioni presidenziali brasiliane, è un fattore sempre più contemplato dagli analisti sociali e politici.

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In Brasile gli Evangelici sono circa 50 milioni (il 25% della popolazione), ma il mondo evangelico non è omogeneo a livello sia religioso che morale e politico. Una delle figure politiche di spicco nel Paese è quella di Marina Silva, della Chiesa delle Assemblee di Dio (pentecostale), nota per la sua posizione ecologista e femminista.

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Leader di altre Chiese pentecostali sostengono tuttavia la linea “ultraconservatrice” di Bolsonaro.

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La Chiesa Universale del Regno di Dio (IURD, “Smetti di Soffrire”), che non è propriamente una Chiesa pentecostale, ma una potente denominazione il cui sincretismo religioso e i cui metodi di proselitismo la rendono difficile da classificare (setta?), ha dato il suo sostegno a Bolsonaro, ma non per ragioni ideologiche.

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La IURD ha sostenuto anche Lula, Dilma e altri ex-Presidenti del Brasile, perché ha sempre dato il proprio sostegno a chi si assicurava la vittoria, essendo interessata più al potere e all’influenza che all’agenda morale o all’ideologia. Chiese neopentecostali più conservatrici, invece, si sono espresse a favore di Bolsonaro per la priorità che danno ai valori della difesa della vita e della famiglia e la loro contrarietà ad aborto e matrimonio omosessuale. In questa linea, esiste qualcosa di simile in altri Paesi dell’America Latina con candidati pro-vita. È stato poi lo stesso con Trump negli Stati Uniti, visto che Clinton era sinonimo di sostegno all’aborto.

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José Luis Pérez Guadalupe, ex Ministro dell’Interno del Perù, sociologo, politologo e teologo cattolico, membro della Rete Latinoamericana di Studio delle Sette (RIES), nel suo libro Evangélicos y poder en América Latina (2018) illustra insieme a esperti di dieci Paesi come si sono trasformati i rapporti tra il mondo evangelico-pentecostale e la politica nel continente latinoamericano, per analizzare in modo più approfondito e acuto un fenomeno complesso e mutevole.

Pérez Guadalupe afferma che il motivo per il quale gli Evangelici neopentecostali sostengono vari candidati non dipende dall’affinità ideologica, ma dagli interessi morali delle Chiese: si vota per il candidato che coincide con l’agenda della loro Chiesa, indipendentemente dall’ideologia.

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A suo avviso, i gruppi evangelici neopentecostali sono diventati veri gruppi di pressione sociale, e l’esempio di Perù e Colombia sulle questioni pro-vita o di genere è significativo. Anche se ritiene che ci siano Chiese evangeliche con approcci opposti a quelli delle Chiese più conservatrici, ciò che è certo è che il discorso neoconservatore coincide con le Chiese che convocano migliaia di fedeli.

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Dio indica il candidato

Se ci avviciniamo alla letteratura neopentecostale e ai discorsi di questo gruppo, da qualche anno in tutto il continente latinoamericano, e in Brasile in modo particolare, i fedeli delle Chiese neopentecostali ritengono che la voce del pastore sia la voce di Dio, e che il pastore sia direttamente illuminato nelle sue decisioni.

L’autoritarismo di molti pastori si impone sui fedeli nelle decisioni più intime e personali, perché si ritiene che se obbediscono Dio li benedirà.

Molti politici si sono già resi conto che ottenere il sostegno di un pastore neopentecostale con molti fedeli, che arrivano a riempire gli stadi, equivale a far sì che il 100% dei suoi fedeli li votino. Per la Chiesa, se il pastore dice che Dio ha scelto il candidato, questi è la persona designata dal cielo e quindi da votare. Non ci sono dubbi al riguardo. Se invece un politico si fa fotografare con un vescovo cattolico o con un pastore di una Chiesa protestante storica, ciò non significa che i suoi fedeli gli diano anche un unico voto.

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In vari Paesi, i leader religiosi di queste Chiese ritengono che tutta la comunità debba mettersi al servizio della causa del politico di turno, perché lo inseriscono nel “Progetto di Dio” e nel piano di salvezza del popolo. Vivono il tutto come una vera guerra spirituale contro i nemici della fede, e dedicano interi culti a pregare per il candidato scelto dal pastore e a lavorare in suo favore.

Comprendere la varietà delle Chiese

Il cristianesimo pentecostale non è un fenomeno omogeneo, e in genere ci si lascia andare a ingiuste generalizzazioni o semplificazioni dei rapporti tra fede e politica perché non si comprende la diversità dei modi di essere cristiani in America Latina, soprattutto all’interno del pentecostalismo.

Di fatto, esistono Chiese istituzionalizzate, attive nel dialogo ecumenico e con una produzione teologica, come anche un pentecostalismo popolare e di taglio carismatico, mentre nuovi gruppi influenzati dalle “teologie della prosperità” sono sempre più presenti nei mezzi di comunicazione e ostentano la propria ricchezza.

Ci sono teologi pentecostali della liberazione, come anche neoconservatori e fondamentalisti, e ci sono pastori che militano nella politica e altri apolitici.

Ci sono persone ammirevoli per il loro lavoro apostolico e l’impegno sociale, ma ci sono anche manipolatori ineguagliabili che organizzano uno “spettacolo” della fede e sono stati denunciati come membri di movimenti “settari”. In tutta la varietà esistente, ad ogni modo, è innegabile che il cristianesimo pentecostale sia quello che ha sperimentato più sviluppo ed espansione e stia trasformando i rapporti tra fede e politica in America Latina.

L’idea diffusa che questi gruppi siano giunti tutti dagli Stati Uniti è sbagliata, perché, sebbene ci siano state grandi ondate missionarie verso l’America Latina, è anche vero che ci sono movimenti pentecostali autoctoni nati in Cile e Brasile parallelamente alla loro nascita negli Stati Uniti all’inizio del XX secolo.

Dall’altro lato, a partire dagli anni Settanta sono nate “Chiese” che dietro una facciata pentecostale nascondono veri business e utilizzano tecniche di manipolazione psicologica con i loro fedeli, sfruttandoli a livello emotivo ed economico.

La maggior parte di questi gruppi aderisce alle teologie “della prosperità”, proponendosi di compiere veri affari con Dio e truffando i fedeli con la “vendita” di miracoli e predicando il “sacrificio” dei loro beni a favore della Chiesa (semina), pena la mancata benedizione. La maggior parte di questi nuovi gruppi si allontana dal cristianesimo a livello dottrinale, presentando elementi sincretici, ed è duramente criticata dalle Chiese pentecostali ed evangeliche tradizionali.

Pentecostali e politica

Come dice bene Pérez Guadalupe, le Chiese evangeliche pentecostali e gran parte del neopentecostalismo che sostengono dei candidati in vari Paesi latinoamericani non aderiscono alle ideologie o al partito in sé, ma sostengono i candidati le cui proposte difendono l’agenda morale delle loro Chiese.

Il successo di Bolsonaro nelle elezioni precedenti non è stato dovuto in modo diretto al sostegno evangelico, e sono tanti i fattori che secondo vari analisti spiegano quanto è accaduto in Brasile, dal “voto di punizione” per la corruzione della sinistra alla crisi di credibilità delle istituzioni. Nell’ambito politico, però, il fattore religioso è molto più importante di quanto si pensi, soprattutto con i tempi che corrono.

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