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Santa Dinfna ci aiuta con chi soffre di malattie mentali

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Kamari | Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 07/10/22

La martire Dinfna, vissuta nel VII secolo, è la patrona dei pazienti affetti da malattie mentali. Presso la città di Geel, in Belgio, attorno alla chiesa che fu costruita sul luogo del martirio, nacque nel Medioevo un centro di accoglienza per malati mentali: fu il primo della Storia; esiste ancor oggi

Santa Dinfna sapeva bene a che cosa può portare una malattia mentale, se non è curata e se non viene guardata con rispetto. Aveva vissuto personalmente questo dramma; non perché la malattia avesse colpito lei, ma perché (con ogni evidenza) era il suo amato babbo a non sentirsi troppo bene. L’uomo, che in tempi migliori era stato per Dinfna il padre migliore che una ragazza potesse desiderare, era chiaramente impazzito dal dolore dopo la morte dell’amata moglie. I tragici eventi che seguirono finirono col rendere Dinfna la santa patrona di chi soffre di malattie mentali… ma facciamo intanto un passo indietro, e presentiamo come si deve i protagonisti di questa storia dolorosa.

Dinfna, a quanto ci narra la sua Vita, era una fanciulla nata in Irlanda attorno all’anno 620. Suo padre era un certo Damon, che l’agiografia ci presenta come il capoclan della tribù di Airgialla; insomma: un piccolo re locale. La madre di Dinfna, di cui non conosciamo il nome, era una principessa cristiana che aveva cresciuto la figlia alla luce del Vangelo. 

La donna morì quando Dinfna aveva quattordici anni, lasciando il vedovo nella più totale disperazione. Ma quel dolore straziante non fu tenuto in dovuta considerazione dagli uomini che erano al suo fianco: non appena la defunta fu sepolta, costoro cominciarono a premere affinché il re si risposasse subito. In fin dei conti, dov’è il problema? Morta una moglie, se ne trova un’altra! 

E poi, la tribù non poteva certo permettersi di avere un capoclan ripiegato sul suo dolore e visibilmente distrutto dal lutto: urgeva un nuovo matrimonio, e possibilmente anche un erede maschio, per proiettare verso l’esterno l’immagine di una monarchia solida e compatta. 

Il povero Damon, che in quel momento avrebbe avuto bisogno di un buon terapeuta, e non certo di un wedding planner, non riuscì a gestire tutte quelle pressioni. L’uomo, che evidentemente aveva perso la lucidità a causa del dolore, vide affacciarsi un giorno il più orribile e malato dei pensieri: se proprio doveva prendere moglie, avrebbe sposato la figlioletta, che gli ricordava così tanto la donna che aveva amato! 

Dinfna, comprensibilmente atterrita, cercò inutilmente di far ragionare il padre: era dolorosamente chiaro che la mente dell’uomo fosse ottenebrata da un male che gli impediva di pensare lucidamente. Dunque, non vedendo altra soluzione, la ragazza chiese qualche giorno per “riflettere” sulla proposta e si preparò a scappare, accompagnata da un sacerdote e da un paio di amici che vollero restare al suo fianco.

Fuggirono di notte, abbandonando l’Irlanda in gran carriera. 

La nave su cui s’erano imbarcati li portò nel Nord Europa e fu così che – cammina cammina – i nostri eroi arrivarono a Geel, una piccola cittadina delle Fiandre che li colpì per le meravigliose attività che lì si svolgevano. La popolazione, animata da altruismo e carità cristiana, aveva preso l’abitudine di accogliere nelle sue case quegli individui affetti da malattie mentali che non avevano comportamenti socialmente pericolosi, ma che non sarebbero stati in grado di vivere autonomamente. 

Forse fu ripensando a suo padre, che santa Dinfna decise di stabilirsi in quel luogo, affascinata dalla carità con cui i malati venivano accolti e accompagnati, nel rispetto del loro dolore. 

Il miracolo di Dinfna 

E questo sarebbe un finale edificante per la bella storia della santa, se il colpo di scena non fosse in aggiato. Il Belgio e l’Irlanda non sono proprio dietro l’angolo, ma in qualche modo il padre di Dinfna riuscì a scoprire qual era la cittadina in cui la figlia aveva preso dimora; e, accecato sempre più dalla sua follia, la raggiunse con l’intenzione di riportarla a casa e di farne la sua sposa. Dinfna fronteggiò suo padre con coraggio, gridandogli che giammai sarebbe stata disposta ad assecondare quella pazzia; e l’uomo, che evidentemente aveva perso del tutto il controllo delle sue azioni, reagì con violenza assassinando la ragazza. 

Per casualità, a quel terribile spettacolo assistettero cinque dei malati mentali che soggiornavano nella città Geel. Immaginiamo il panico, lo sconcerto, le grida disperate e l’agitazione con cui quegli uomini traumatizzati andarono a dormire quella notte. 

Ma la misericordia celeste si rese evidente l’indomani mattina, quando i cinque infermi si risvegliarono completamente sanati dalla loro malattia: era un miracolo in piena regola. Certamente, avvenuto per intercessione di quella giovanetta che era appena stata martirizzata, e che gli abitanti di Geel cominciarono a chiamare santa!

Quanto c’è di vero in questa storia?

Difficile dirlo: le prime Vitae di santa Dinfna sono state composte nel XII secolo, quindi in epoca molto tarda rispetto a quella in cui visse la fanciulla: è probabile (verrebbe quasi da dire “auspicabile”!) che alcuni degli episodi descritti in questa storia siano di contenuto leggendario. Quel che è certo, però, è che sul luogo del martirio di santa Dinfna fu costruita una grande chiesa che nel XII secolo era già famosa per le sue attività a favore degli individui affetti da malattie mentali.

Sorprendentemente, vista l’epoca, gli infermi non venivano richiusi in manicomio. A Geel, venivano assegnati alle cure di “famiglie affidatarie” che, spinte da carità cristiana, si offrivano di accogliersi sotto il loro tetto. Nel 1875, offrendo un reportage sulle attività di cura che continuavano a essere portate avanti, il New York Times commentava in questi termini l’ambiente che s’era venuto a creare in quella piccola città del Belgio: «è nell’interesse personale degli abitanti accogliere gli infermi, poiché essi sono affidati solamente alle cure delle famiglie di specchiata condotta e con uno stile di vita immacolato. A Geel, una famiglia non è considerata rispettabile se non ha in custodia un malato mentale». Nelle parole del giornalista, Geel sembra davvero un piccolo angolo di Paradiso in terra: «i figli dei residenti, vivendo fin dalla più tenera infanzia a contatto coi malati mentali, ci si affezionano, non trovano in loro niente di ridicolo, esercitano su di loro una buona influenza con la loro semplice compagnia, e ovviamente non sono minimamente intimoriti. Quando una giovane coppia si sposa, chiede alle autorità di poter avere in affido un malato, come se fosse una sorta di dote».

Un miracolo che esiste ancora

E qui, giustamente, qualcuno potrebbe commentare “si, vabbeh. E poi? Gli elefanti volano?”. In realtà (incredibile ma vero) lo scenario descritto dal New York Times trova riscontro nelle testimonianze offerte dagli archivi.

Risale al 1693 il primo registro che tiene traccia dei nomi dei pazienti affidati alle cure della chiesa di santa Dinfna; ma la pratica è già descritta in fonti del XII e XIII secolo, che di fatto rendono Geel il più antico centro di accoglienza per malati mentali della Storia. Il primo ospedale psichiatrico propriamente detto fu aperto a Valencia, in Spagna, solamente nel XV secolo.  

Ma Geel, per l’appunto, non era un ospedale: i pazienti, dapprima affidati alle cure della chiesa, venivano redistribuiti nelle case delle famiglie della zona, che spesso si specializzavano nell’accudimento di uno specifico tipo di malati trasmettendosi il know-how di generazione in generazione. Per secoli, queste attività furono coordinate dalla chiesa locale; nel 1850, lo Stato arrogò a sé queste funzioni appoggiandosi alle consulenze di medici professionisti… ma senza rinunciare all’aiuto della diocesi e delle famiglie affidatarie. 

Ancor oggi esiste a Geel un Openbaar Psychiatrisch Zorgcentrum, che – come si legge sul sito Internet – «mira a un’assistenza equilibrata, con la minor invasività possibile e preferibilmente nell’ambiente domestico del paziente». E, ancor oggi, duecento famiglie affidatarie spalancano le porte ai pazienti che hanno bisogno di ospitalità, permettendo loro di vivere nella normalità di una vita quotidiana come tante.

Nel 2001, l’OMS citava Geel come caso di studio, sottolineando la peculiarità dello scenario in cui è una comunità intera a stringersi attorno al malato, diventandone care-giver: uno scenario più unico che raro. E tutto a partire dalle iniziative con cui una chiesa medievale volle tenere viva la memoria di una santa! 

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