Scelte decisive
“Io scelgo di fare dell’amore il mio stile di vita”, scriveva. E così ha fatto, perché ha dedicato gran parte della sua esistenza agli altri, sia nel lavoro, come insegnante di sostegno, sia nel tempo libero, come volontario di associazioni che operano con ragazzi diversamente abili”.
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Luigi è testimone di una fede matura, nonostante la sua giovane età e la sua memoria, nonostante una prematura scomparsa, nel tempo si è irrobustita. La santità – conclude il vescovo Fumagalli -, è ordinarietà, quotidianità. È vita normale vissuta con amore.
Queste alcune delle parole del Vescovo Lino Fumagalli che ha dato ufficialmente avvio alla fase diocesana dell’ “inchiesta sulle virtù e la fama di santità” di Luigi Brutti, un giovane viterbese morto il 19 agosto del 2011, a seguito di un malore improvviso che lo aveva colpito due mesi prima.
Stava per sposarsi, la sua vita procedeva ordinaria e bruciante insieme. La serenità era frutto visibile della febbre d’amore che lo pervadeva.
Sane abitudini: vivere per l’Amore
Lo stile di vita che aveva scelto era sì l’amore, ma prima di quello che lui si prodigava a diffondere agli altri, c’era il suo bearsi continuo e sempre più intenso in quello che riceveva da Dio.
Per questo non gli sembrava affatto difficile offrirsi interamente come uno dei tanti canali a disposizione di questo grande fiume, l’amore di Dio. Gli sembrava la cosa più importante e necessaria.
La vocazione professionale e cristiana
Che meraviglia che avesse scelto come luogo specifico per mettere a frutto la sua vocazione proprio quello dell’insegnamento di sostegno. Un ruolo spesso mal vissuto, sopportato in vista di cattedre più gratificanti, per lui era invece assolutamente “ergonomico”, perfetto per la vocazione a cui aveva deciso di rispondere: amare, aiutare, rendere presente e visibile l’amore di Dio. Si sarebbe detto, forse, un semplice franchise, il marchio sull’insegna non era suo, ma di Dio; il bene che offriva non era suo, gli arrivava direttamente e senza mai un ritardo dalla Fabbrica, senza difetti, senza necessità di resi, senza mai bisogno di una svendita per recuperare capitali.
Mi sono appena imbattuta nella storia di questo ragazzo e già gli ho raccontato una montagna di cose: sulle mie figlie, le loro fatiche, sulla mia ansia che vorrei smaltire come rifiuto tossico, sul bisogno di amicizie vere, sul rapporto col Signore che, ha ragione Luigi, è l’unica cosa che conviene mettere al centro di tutto.
L’ideale dell’amore vissuto intensamente
Il servo di Dio viterbese si impegnava molto nel volontariato e in parrocchia. La sua ambizione professionale era molto semplice e, al contempo, molto impegnativa: diventare insegnante di sostegno. A soli 23 anni realizzò il suo sogno.
La luce di Maria
Non verrà riconosciuto santo per avere scelto con convinzione di diventare insegnante di sostegno, ma questa sua decisione credo allarghi il cuore a molte mamme e papà che hanno figli che necessitano di aiuto scolastico. Che meraviglia vedere questo approccio realizzato; non è una fantasia, dunque: l’insegnante di sostegno non è una gavetta da sopportare, un insegnamento di serie B.
Per qualcuno è stato ed è addirittura l’ideale, il luogo in cui esprimere al meglio sé stessi, i propri talenti e la propria vocazione, almeno professionale. Per Luigi era soprattutto il luogo privilegiato in cui mettere tutta la propria persona a servizio dell’altro bisognoso, più fragile, abbattuto magari. E’ una povertà anche quella, e forse poco vista, poco adatta alle Giornate mondiali di sensibilizzazione.
Luigi non aveva bisogno di convincersi o auto motivarsi; la sua energia e la sua intelligenza di servizio poggiavano su un’esperienza misteriosa quanto reale e continua. Lui si sapeva amato. Scrive ancora in uno dei suoi ben 18 diari:
“io scelgo di fare dell’amore il mio stile di vita”. La sua attenzione ai meno fortunati nasceva da un’ispirazione divina: “non trovo nessun motivo per esitare, voglio amare Dio, voglio essere felice, voglio fare del bene, voglio il meglio!”.
Luigibrutti
Scoprire il segreto della felicità
Anche se spero che quelli con la sua foto si diffondano in ogni angolo della terra, Luigi non era proprio un tipo da santino. Era normale, piuttosto scalmanato a scuola, racconta nel cortometraggio che è stato realizzato per diffondere la sua storia; vivace e poco studioso, si barcamenava intorno al sei in tutte le materie.
Era cresciuto in una famiglia cattolica, aveva fatto catechismo, i campi estivi, l’Azione Cattolica, quello che – una volta, ora mi pare molto meno- era percorso comune. Di Dio sapeva che esisteva, che era onnipotente e giudice. Ma a 17 anni scopre che è un Padre e un amico che lo ama immensamente e ha a cuore la nostra felicità, gratis per giunta.
Da giovane normale, senza doni superlativi che potessero farlo spiccare, si rende conto che è egli stesso un dono, la sua vita stessa una meraviglia inaudita, il tempo e le energie che gli sono date la materia con la quale costruire e offrire un capolavoro agli altri e a Dio.
Genialità cristiana delle più pure che si esprime in questa convinzione: la mia vita è il talento da far fruttare, il mio amore che risponde al Tuo è il campo in cui voglio eccellere, ricevere da te tutto e ricambiarti solo con la gratitudine è il solo commercio che abbia senso portare a termine, in questo nostro viaggio terreno.
E così ha fatto: si stava per sposare, tutto era pronto: partecipazioni, vestito, chiesa, data, persino la casa. Un malore improvviso lo colpisce, morirà due mesi dopo la sera del 19 agosto 2011.
Di lui però non si può dire sia morto prematuramente, se intendiamo che non ha avuto modo di compiere la propria vita. L’ha compiuta, nel tempo limitato che gli è stato donato. Immaginiamo il dolore per lo strappo subito da chi gli era compagno, genitore, alunno e in particolare la sua promessa sposa. Eppure è così che tornano i conti, se li lasciamo fare a Dio e ci fidiamo di lui.