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Intervista esclusiva col nipote di Carlo d’Austria: «Mio nonno beato» 

Georges de Habsbourg-Lorraine

ALAIN JOCARD / AFP

Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 25/10/22

L’arciduca Georg d’Asburgo-Lorena, ambasciatore di Ungheria in Francia, è il nipote dell’ultimo imperatore d’Austria. Ha parlato con Aleteia sulla fede di suo nonno, il beato Carlo d’Austria, festeggiato il 21 ottobre.

Fin dai primi istanti del nostro incontro nel magnifico salone della reception dell’ambasciata di Ungheria, non distante da Avenue Foch, a Parigi, l’anima dell’Impero austro-ungarico sembra risorgere dalle sue ceneri e con tutti i suoi colori. 

Si prova un sentimento di nostalgia? Sì, senza dubbio… Perché in questo luogo, e con la presenza di uno dei suoi discendenti, oggi ambasciatore di Ungheria, dei valori divenuti rari riaffiorano in superficie – quelli che unificano la politica e… la santità – incarnati dalla figura di Carlo d’Asburgo-Lorena, imperatore d’Austria e re di Ungheria. 

Un sovrano eccezionale e un uomo di fede, con una visione del proprio servizio agli altri che non può che ispirare. E se quando l’arciduca Georg d’Asburgo-Lorena ci riceve si percepisce un poco la sua presenza è perché quegli stessi valori, quelle ambizioni sembrano animare profondamente anche lui. 

Marzena Devoud: Signor Ambasciatore, Vostra Eccellenza, può ricordarci i vincoli di suo nonno, l’imperatore Carlo d’Austria, con l’Ungheria? 

L’Arciduca Georg d’Asburgo-Lorena: Fin dal XVI secolo la mia famiglia ha vincoli con molti Paesi dell’Europa Centrale. Molti Paesi, molte lingue, molte tradizioni diverse costituivano insieme la struttura dell’Impero austro-ungarico, che aveva molti colori e sfaccettature. Per noi, mio nonno era il re di Ungheria e anche l’imperatore d’Austria. È arrivato al potere in un momento molto difficile. Prima di lui, Francesco-Giuseppe aveva regnato lungamente, per ben 67 anni! Con la recente morte di Elisabetta II, il cui regno ha avuto anch’esso una lunghezza eccezionale, ci siamo fatti un’idea dell’impatto che può avere un periodo di potere tanto lungo. Nel caso di mio nonno, il contesto era ancora più difficile. Eravamo nel bel mezzo di una guerra mondiale, con una struttura di potere che era stata fatta su misura per Francesco-Giuseppe. 

M. D.: Diventando imperatore, suo nonno si portava dietro una ricca esperienza di militare… 

A. G. d’A.-L.: Sì, era anzitutto un militare. Aveva occupato differenti posti nell’Impero, sempre nella sfera militare. Quindi capiva bene le difficoltà di quella guerra. Comprese subito l’importanza di arrivare alla pace. Non puntava alla vittoria, come i Tedeschi: vedeva i pericoli delle guerre per i popoli. Voleva la pace. Vediamo gli orrori della guerra in Ucraina. Lui conosceva benissimo quegli orrori. Purtroppo non riuscì. 

Quando papa Giovanni Paolo II lo beatificò, pose questa domanda: era importante che l’imperatore Carlo non sia riuscito a ottenere la pace? Il Santo Padre rispose così: «L’importante non è il risultato, è l’intenzione e quel che ogni giorno si fa per arrivare al risultato». Nel nostro mondo, solo il successo e il risultato contano. Non si vede il lungo cammino da fare per arrivarci. Giovanni Paolo II lo ha sottolineato. In mio nonno si vede l’importanza della fede, di Dio, della preghiera nella vita quotidiana per cercare di arrivare a un buon risultato. Il risultato non conta: conta l’esempio che si dà mentre si cerca di perseguirlo. Questo tipo di esempio manca tanto, oggi, nell’ora in cui la pace è nuovamente da ottenere e infuria, invece, la guerra. 

M. D.: Lei non ha conosciuto suo nonno, che morì il 1º aprile 1922. Che cosa ha rappresentato la di lui figura, nella sua infanzia? 

A. G. d’A.-L.: Mio nonno è anzitutto, per me, una figura storia. Morì cento anni fa, dunque molto prima della mia nascita. La sua storia l’ho studiata. Ma al contempo è mio nonno, un membro eminente della mia famiglia. Quel che so di lui l’ho appreso da mio padre [Otto di Asburgo-Lorena, arciduca d’Austria, figlio maggiore di Carlo e Zita N.d.R.]. Egli stesso era molto giovane, alla morte del padre. Me ne ha parlato tanto. Mi ha raccontato, in particolare, quel che ha vissuto con lui sull’isola di Madera, dove la famiglia visse in esilio. Paradossalmente, per mio padre fu un periodo meraviglioso. Prima c’era stata la guerra, non aveva avuto una relazione approfondita con suo padre. A Madera, entrambi hanno potuto vivere delle cose insieme. Passeggiavano per ore ed ore. Mio padre era solo un bambino, all’epoca, ma suo padre parlava molto con lui: gli ha trasmesso il senso della responsabilità e l’ammirazione che aveva per l’Ungheria. 

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Carlo I d’Austria con la moglie Zita e i loro figli, in esilio in Svizzera nel 1921.

M. D.: Questo forte legame con l’Ungheria non era legato al segno che era stata la sua incoronazione, avvenuta a Budapest il 30 dicembre 1916? A differenza che in Austria, lì la cerimonia fu fortemente religiosa. 

A. G. d’A.-L.: Per diventare sovrani di Ungheria, bisognava prestare giuramento sulla corona di santo Stefano nel corso di una cerimonia religiosa che comportava una dimensione spirituale fortissima. Per mio nonno, profondamente credente, questo è stato un atto molto importante sul piano personale – un atto fondativo, diciamo. Esso ha inserito l’importanza dell’Ungheria nel suo cuore, in quello di mio padre, per tutta la famiglia. 

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Beatificazione di Carlo I d’Austria, 3 ottobre 2004, Piazza San Pietro in Vaticano

M. D.: Giovanni Paolo II disse di lui che gli sembrava che fosse nel servizio ai sudditi che egli avesse trovato la propria via per la santità… 

A. G. d’A.-L.: Sì, aveva un incredibile senso della responsabilità. Sapeva che bisognava operare per il bene. La guerra era il contrario: la miseria, la morte, la fame. Egli comprese subito quale fosse la sua responsabilità. Conosceva anche le difficoltà politiche: il pericolo del comunismo, specialmente per l’Europa centrale. Due volte cercò di tornare in Ungheria, perché quando si viene incoronati si resta re fino alla fine della vita. 

M. D.: Come la sua famiglia, e lei stesso, hanno vissuto la sua beatificazione, il 3 ottobre 2004? 

A. G. d’A.-L.: È stata anzitutto un’immensa gioia famigliare. Abbiamo visto fino a che punto sia difficile il processo di beatificazione: è durato molto! Alle volte non capivamo esattamente che cosa accadesse dietro ogni tappa, dietro ogni passo. Tutti gli aspetti della vita di mio nonno sono stati studiati. Bisogna dire che il Vaticano è molto rigoroso in questo lavoro: utilizza commissioni, esperti, cardinali impegnati in diversi momenti… 

La cosa è durata così tanto che pensavamo che non ne avremmo visto il capo. È stato solo quando mi sono ritrovato in piazza San Pietro, davanti al Papa, col ritratto di mio nonno attaccato alla facciata del Palazzo Apostolico, che ho compreso quale immenso onore stessimo vivendo. Allora ho preso coscienza del fatto che l’esempio di mio nonno veniva offerto al mondo. Da allora abbiamo ricevuto molte domande di sue reliquie, da tutto il mondo. È un grande motivo di fierezza, nonché anche di responsabilità. 

M. D.: Che cosa le ispira, personalmente, suo nonno beato? 

A. G. d’A.-L.: Quel che ho ricevuto da lui è stato attraverso mio padre e il suo esempio. Mi ha insegnato che bisogna sempre conservare lo spirito alto, soprattutto nei momenti più difficili – ed è oggi una cosa tanto importante! E poi ho ricevuto in eredità la fiducia in Dio. Ho compreso che Dio aiuta chi ha quella fiducia in Lui. In ogni momento importante della mia vita, quando ho una decisione da prendere, so di potermi rivolgere verso Lui e chiedermi: che decisione prenderebbe Dio, al mio posto? Questa fiducia mi dà una forza sovrumana. 

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L’imperatore Carlo e la moglie Zita, durante il secondo tentativo di restaurazione ungherese (1921) raccolti in preghiera dopo aver fatto la Comunione © Public domain

M. D.: Pensa che oggi suo nonno possa essere un modello per le sfide che l’Europa sta attraversando? Sia per l’importanza delle sue radici cristiane sia per la sua visione pacifica della politica? 

A. G. d’A.-L.: La situazione odierna non è nuova: abbiamo vissuto situazioni anche più gravi della guerra in Ucraina. In questo caso, che cosa conta di più? Bisogna trovare persone che operino per la pace. Lavorare per migliorare le cose. La situazione è difficile, ma sappiamo di poter trovare – guardando alla storia – le vie giuste per risolvere crisi e conflitti. La fede in Dio facilita molto: poter pregare, andare a messa, dona la forza di Dio. 

M. D.: È possibile continuare la sua opera, in particolare nelle questioni sociali? 

A. G. d’A.-L.: Nel corso del suo regno, è stato il primo a creare un ministero degli Affari Sociali, in Austria come in Ungheria. Un gesto politico senza precedenti nel mondo. Era un visionario. Ha pure lavorato molto per dare diritti ai locatari, per esempio. Se quest’anno – nel centenario della sua morte – si può parlare di tutto quello che ha intrapreso nell’àmbito, è una cosa buona. Mi sembra importante ricordare oggi quel che ha cercato di fare. 

M. D.: Suo padre formava, con la moglie Zita, una coppia molto legata e capace di ispirare le persone. Per molti cattolici i suoi nonni rappresentano oggi un modello di matrimonio cristiano. Questo la stupisce? 

A. G. d’A.-L.: Sì, sono stupito che tanti Francesi si interessino così vivamente ai miei nonni – è per me un’immensa gioia. Ho molta ammirazione per tutto il lavoro intrapreso in vista della beatificazione di mia nonna, che è in corso, dopo quella di mio nonno. Sono impressionato dalla mobilitazione che ha luogo qui in Francia. 

Per tornare a mio nonno, era impegnato in politica, era un soldato, un padre e un marito: nella sua vita c’erano tutte queste sfaccettature. Con una cosa in comune, e al cuore di tutto ciò: l’importanza della sua fede, in ogni àmbito della vita. Aveva otto figli: era una famiglia relativamente numerosa. Si comportava in tutto con molta apertura e presenza di spirito – era amichevole, ottimista. Di certo non era un fanatico. Dovette vivere una situazione pressoché impossibile da gestire, non ha mai perso la fede ed ha sempre adempiuto al proprio dovere. «Mi impegno in ogni cosa a rispettare la volontà di Dio, e questo nel modo più perfetto». Questa frase, che diceva spesso, fino all’ultimo giorno della sua vita, racchiude tutto ciò che fece.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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