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Stare sui social da cattolici? Si può fare

SUORA PARLA AL TELEFONO DAVANTI AL PC PORTATILE

Elnur I Shutterstock

Emiliano Fumaneri - pubblicato il 24/11/22

In un mondo digitale popolato da ringhiosi haters è assolutamente vitale darsi qualche piccola regola: una “netiquette cattolica” per usarli in maniera proficua per sé e per tutti.

È dall’inizio del suo pontificato che Francesco, il papa argentino, ce lo ricorda: ci sono tanti modi di uccidere. E forse (togliamo pure il forse) i più subdoli sono quelli che pratichiamo ogni giorno: i killeraggi “morali” sui social. Dove l’arma prediletta è sempre la spada. Ma una spada a forma di lingua. O il contrario, ma poco cambia.

Uccidere con la parola, dare una morte simbolica al prossimo. Non a caso è la “mortificazione” per eccellenza. Con la lingua possiamo disumanizzare in mille modi trasformando all’istante la persona in cosa di pietra. L’esatto contrario dell’amore che, come ci rammenta il colombiano Nicolás Gómez Dávila in uno dei suoi aforismi più profondi, è «l’atto che trasforma il suo oggetto da cosa in persona».

Pensate che non ci riguardi? Come vi sbagliate: basta aprire i social per assistere al carnaio quotidiano, alla mattanza in punta di lingua.

Una strage verbale che spesso e volentieri, ahinoi, vede i credenti in prima fila. Ma non nel ruolo di vittime: dalla parte dei carnefici. 

Gli Antichi la sapevano lunga anche su questo

Ricordo un vecchio professore all’università che amava spesso dilungarsi sulla sapienza degli Antichi. «I Greci avevano capito tutto», ci raccontava. Non sono all’altezza di dire se avesse ragione o meno (più probabilmente l’aveva solo in parte). Ma di certo a chi cerca – faticosamente – di essere un cristiano passabilmente decente del XXI secolo risulta difficile restare indifferenti a questo fatto: i Greci conoscevano bene l’arte della calunnia. Al punto che l’avevano per così dire personificata. 

Apelle aveva dipinto la Calunnia sotto la forma di una bellissima donna, vestita magnificamente. Ma sotto gli sguardi nascondeva un terribile segreto: nella mano sinistra teneva una fiaccola ardente, con la mano destra strascinava per i capelli l’Innocenza, raffigurata da un giovane con le braccia tese verso il cielo. Vicino alla Calunnia procedevano altre figure sinistre, impegnate a sussurrarle nell’orecchio: l’Invidia, l’Ignoranza, il Sospetto (armato di pugnale) e la Credulità (con orecchie da asino). 

Apelle del resto sapeva bene quanto potesse essere pericolosa questa divinità malefica alla quale i Greci innalzavano altari e offrivano sacrifici per ingraziarsela (e non fare una brutta fine). Aveva voluto infatti immortalare il rischio che aveva corso quando il pittore Antifilo, invidioso della sua gloria, lo aveva denunciato a Tolomeo, accusandolo di cospirare contro il re. E sarebbe finita male per lui se alla fine il calunniatore non avesse autodenunciato la sua colpa.

E guarda un po’, come la chiamavano ad Atene la Calunnia? Diabolé, da cui deriva anche il nome di colui che i Vangeli designano come padre della menzogna. 

Ecco perché una lingua troppo affilata è decisamente una pratica da sconsigliare. Ragione in più per mettere in pratica i consigli illuminanti che ho scovato sul sito The Catholic Gentleman.

Un’etichetta digitale per stare sui social da cattolici?

Si tratta di una vera e propria etichetta digitale in cinque punti: una «guida cattolica per usare i social media». Questo non tanto per seguire un arido elenco di formalismi e di codici. 

No, qui il punto è un altro: il fatto è che in un mondo diviso da fratture di ogni genere (sociali, politiche, religiose, etniche, ecc.) il cristiano deve essere testimone dalla carità. Ovvero dell’unità coi fratelli in umanità (per non parlare dei fratelli nella fede). Lo ricordano anche le prime righe di apertura del Concilio Vaticano II: «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1).

Certo è anche vero, obietterà sicuramente qualcuno, che il Signore ha detto di non essere venuto a portare la pace sulla terra, ma la spada (Mt 10, 34-35).  Ma c’è una bella differenza tra il tiepido di cui parla l’Apocalisse, né caldo né freddo, che non prende mai posizione tra il bene e il male, e il leone da tastiera (che gli anglofoni chiamano più correttamente keyboard warrior, cioè «guerriero da tastiera») che non riesce letteralmente a vivere senza provocare flame, piccole guerre civili, assalti verbali all’arma bianca, trappole logiche, insulti di ogni genere. Così come c’è un abisso di differenza tra l’intolleranza verso le idee e l’intolleranza verso le persone. 

Ma serve davvero?

Ecco perché un po’ di etichetta non farà male. Del resto la civiltà, come insegnava Norbert Elias, fa rima con le buone maniere. Senza contare le bellissime pagine dedicate da un gigante come Romano Guardini ai benefici morali, psicologici e spirituali della virtù della cortesia.

Per dirla con Maritain la cortesia è uno di uno dei «microsegni» del bene – uno sguardo caloroso, un gesto gentile, una piccola attenzione – capaci di elevare la temperatura spirituale della vita umana. Una virtù assolutamente sconosciuta sui social – che ribollono semmai di pulsionalità animalesca – e dunque da diffondere il più possibile.

Ecco comunque i cinque punti consigliati da Catholic Gentleman. E possiamo assicurare che sono consigli da galantuomini.

DECALOGO CONDOTTA VIRTUALE NETIQUETTE

1Riconoscere che internet non è un alleato naturale della Chiesa

C’è poco da fare. Non ha torto il teologo asiatico Matthew Tan quando mette in guardia contro la realtà disincarnata di internet. Andare su internet è poco come entrare in Matrix: siamo nel campo dove tutto è manipolabile e aggiustabile: un non-luogo dove tutto è maschera. La Chiesa invece è una realtà incarnata per eccellenza. Ce lo ricorda il grande Fabrice Hadjadj. Se i cattolici si raccolgono attorno al papa è perché il sommo pontefice è «la massima punta dell’Incarnazione, il contrappeso della materia a qualsiasi ideologia, ciò che spinge i fedeli a raccogliersi non soltanto intorno a una dottrina, ma anche intorno a un uomo con un volto e una storia, perché l’amore di Dio è indissociabile dall’amore del prossimo, e perché la voce di Cristo maestro deve ancora essere udita nella voce di questo magistrale prossimo: il Santo Padre».

Insomma, si gioca in territorio nemico o, se preferite, in trasferta. Il che non significa che ci si debba tirare indietro, al contrario. Ma bisogna sapere che i social media non potranno mai sostituire l’incontro fisico. Perché la Chiesa è una comunità di persone credenti e un corpo tangibile: il Corpo mistico di Cristo. Guai a confondere – avverte ancora Romano Guardini – lo spirituale e l’astratto.

2Non aspettarsi la luna dalle interazioni sui social media

In una parola: avere delle aspettative realistiche. La natura frammentaria dei social, con la tendenza a crearsi vere e proprie “bolle” (l’effetto echo chamber, volgarmente detto “parlarsi addosso”), rende improbabile pensare di usarli per far cambiare idea alla gente con un post o un tweet. È una questione di prudenza, la virtù che aiuta a tenere “connesse” la vita morale e la vita reale. Quindi vanno scelte con cura le proprie battaglie. Vale sempre l’aurea raccomandazione di San Josemaría Escrivá: «Non disperdere le tue energie e il tuo tempo, che sono di Dio, a tirare sassi ai cani che ti abbaiano lungo la strada. Non curartene». 

3Non nascondersi dietro l’anonimato

Dicevamo che internet è il luogo delle maschere. Spesso e volentieri il comportamento sui social media è influenzato dall’anominato. L’invito di Catholic Gentleman su questo punto è perentorio: «Non siate codardi a dire qualcosa a una persona che non gli direste mai in faccia». Questa è la specialità dei leoni da tastiera. Che difatti quando sono chiamati’ a ripetere dal vivo le loro “prodezze” si trasformano puntualmente in agnellini. Ben altra cosa è il coraggio dei santi e dei profeti nel denunciare le azioni malvagie. Meglio imparare da loro. 

4Fare buon uso del linguaggio per elevare la conversazione

È noto a tutti che i social tendono a corrompere il linguaggio. Una tendenza da non assecondare. All’inizio del Crepuscolo degli idoli Nietzsche scrive: «Io temo molto che noi non ci sbarazzeremo mai di Dio, poiché crediamo ancora alla grammatica… ». Riconoscere che esistono regole anteriori al nostro ego, che non ci siamo dati da soli per comunicare, è in qualche modo legato all’idea di un Dio creatore attraverso la sua Parola. Ecco perché tutti gli stati totalitari – che pretendevano di scimmiottare l’onnipotenza divina – hanno cercato di usare il linguaggio (la famosa “neolingua” orwelliana) per controllare e plasmare a piacimento la realtà. 

Questo non vuol dire tanto mettere al bando gli emoticon o i meme. Si tratta soprattutto di curare, oltre alla grammatica, la retorica e l’argomentazione: evitare gli attacchi ad personam, le fallacie argomentative. 

E soprattutto evitare il linguaggio volgare. A maggior ragione gli insulti. È vero che occasionalmente alcuni padri o dottori della Chiesa hanno usato immagini volgari. Ad esempio Sant’Ireneo per ridicolizzare le tesi gnostiche (Cfr. Contro le eresie, 1, 4,4). Ma il tono sottile e delicato del fraseggio del grande dottore gli permetteva di usare un immaginario volgare per alzare il tono dell’argomentazione, non per abbassarlo. 

Se non siete Ireneo di Lione, anche qui è meglio evitare. Piuttosto è consigliabile un largo impiego dell’umorismo, da sempre parte dell’arsenale di un buon dibattito cattolico (Chesterton insegna).

5Mai postare o leggere qualcosa che ti faccia perdere la pace

Secondo padre Jacques Phillipe, ricercare e mantenere la pace del cuore è la lotta principale della vita spirituale. Il che vuole dire che i sociial non devono essere usati in modo da farci perdere la pace. Se questo si rivela impossibile, non usiamoli affatto. 

La prima cura che dobbiamo avere è quella della nostra personale santificazione. Se le discussioni infinite sui social ci turbano, ci rendono ansiosi e ci distraggono dai nostri doveri quotidiani, meglio sospendere o staccare. 

Quest’ultimo è il punto di gran lunga più importante, perché lo stile della presenza cattolica sul web dipende prima di tutto dallo stato del proprio cuore. L’atmosfera tossica che spesso – troppo spesso – si respira sui social è il frutto di persone che, prese da paura e ansia per post che mai avrebbero dovuto leggere, reagiscono con rabbia. 

Contribuendo solo, con le loro risposte stizzite, ad alimentare ancor più questo circolo vizioso. La prima parola d’ordine per stare da cattolici sui social non può essere che una: santificazione personale, conversione del cuore. 

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