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Volete comprendere davvero il Natale? Leggete questi versi di San Giovanni della Croce

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Matilde Latorre - pubblicato il 09/12/22

In carcere e sottoposto ad autentiche torture, uno dei più grandi contemplativi e mistici della storia ci ha lasciato una poesia che permette di scoprire il mistero di Dio fatto uomo

Dicembre 1577. Il freddo a Toledo penetra nelle ossa. San Giovanni della Croce (la cui festa si celebra il 14 dicembre), a 35 anni, è chiuso nel carcere del convento di Nuestra Señora del Carmen.

Per paura che possa fuggire, i suoi carcerieri lo hanno messo in una delle celle peggiori: un antro lungo 7 metri e largo 1,60, con un foro di tre dita nella parte più alta della parete da dove passano a malapena luce e aria.

L’alimentazione è scarsissima: pane e acqua, magari qualche sardina. A volte deve mangiare in ginocchio davanti ai frati del convento. 

Il Natale più umiliante

La punizione più dolorosa e umiliante è la “disciplina circolare”: tutti i religiosi, uno per uno, gli frustano la schiena ogni venerdì con delle stecche nel refettorio.

San Giovanni è stato portato, con la forza e in segreto, in questo convento dopo essere stato arrestato accanto al convento de la Encarnación di Ávila nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1571. 

Per due giorni ha viaggiato a dorso di mulo tra il freddo e la neve della Castiglia. Per complicare il tutto, gli hanno bendato gli occhi. Nessuno doveva sapere che era stato portato a Toledo, e fra’ Giovanni non doveva sapere com’era arrivato lì, per rendere più difficile la sua fuga.

I supplizi vissuti da San Giovanni della Croce non sono frutto della crudeltà gratuita dei frati toledani, ma corrispondevano alla pena imposta ai religiosi disobbedienti, ribelli e contumaci contro le Costituzioni dell’Ordine carmelitano.

Le accuse contro fra’ Giovanni della Croce

Le accuse nei suoi confronti erano gravissime: la sua riforma stava creando il pericolo più grande per l’ordine, ovvero la divisione.

Per questo motivo, il capitolo dell’Ordine di Nostra Signora del Carmelo aveva deciso di sopprimere con tutte le misure possibili la riforma che stava promuovendo Giovanni, con cui voleva restituire alla comunità carmelitana il fervore iniziale: un ritorno alla vita di povertà e preghiera che aveva caratterizzato i primi eremiti del Carmelo.

Questa divergenza avrebbe finito per provocare la grande frattura all’interno dell’ordine tra i Carmelitani e i seguaci di San Giovanni, i Carmelitani Scalzi.

Si può immaginare una situazione più tremenda per colui che sarebbe diventato uno dei grandi mistici della storia, dottore della Chiesa e poeta noto a livello mondiale?

“Della nascita”

Così San Giovanni si preparava a vivere il Natale più terribile della sua esistenza. L’oscurità della sua cella si scontrava con le luci delle candele natalizie, il silenzio assordante con i canti di Natale.

Grazie alla complicità di un frate carceriere, poté prendere carta e penna per raccogliere le vicissitudini spirituali che stava sperimentando in quei lunghi momenti di preghiera e sofferenza, che avrebbero cambiato per sempre la sua esistenza: in carcere aveva trovato la vera libertà.

Tra quelle quattro pareti sperimentò la “notte oscura dell’anima”, quell’esperienza di privazioni, solitudine e purificazioni che l’anima deve attraversare per raggiungere l’unione con Dio.

In quelle circostanze compose “Della nascita”, una poesia con cui, spogliato di tutto, poté comprendere il vero significato del Natale: Dio, Onnipotente, fatto uomo, in Gesù, ha sperimentato pienamente la sofferenza, il male, e soprattutto l’ingiustizia. 

I versi di fra’ Giovanni della Croce

Poiché era arrivato il tempo
In cui nascere doveva,
Come uno sposo novello,
Dal talamo se n’uscì.

Abbracciava la sua sposa,
Che tra le braccia portava,
Mentre la Madre graziosa
Nel presepe lo posava.

Alcuni animali intorno
Se ne stavano quel giorno.
Canti dagli uomini uscivano,
Dagli angeli melodia:

Del matrimonio gioivano
Che tra questi due accadeva.

Però nel presepe Dio
Stava piangendo e gemeva,

Gioie queste che la sposa
Al matrimonio portava.

E la Madre era stupita
Quando il baratto osservava;

Il pianto dell’uomo in Dio
E nell’uomo beatitudine,
Ciò che dell’uno e dell’altro
Era insolita abitudine.

Il paradosso più grande: Dio che subisce ingiustizie

In questa poesia, come spiega  María del Pilar de la Iglesia, esperta di spiritualità carmelitana, dopo il Bambino, la protagonista principale è la Vergine Maria, visto che Lo ha generato non solo nel suo ventre, ma anche nel suo cuore.

Dio, che né il Cielo né la Terra può contenere, dimora nel seno di Maria per mostrare all’uomo che Dio ha voluto subire non solo il dolore, ma anche l’ingiustizia, che molti sperimentano come la peggiore delle sofferenze.

La Madre può offrirgli solo la povertà, una mangiatoia come trono e degli animali come corte d’onore.

Nello scambio di doni, lo Sposo ci regala la gioia e l’allegria, mentre la sposa gli offre in cambio povertà e pianto.

In questo ammirevole scambio d’amore nel tempo e nell’eternità sono coinvolti Dio e l’uomo. Questo suscita l’ammirazione di tutti coloro che Lo contemplano, cominciando dallo stupore di Maria, che adora Dio nell’uomo e nell’uomo adora Dio.

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