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Quella “strana” famiglia che piace tanto alla Chiesa

rodzina leży razem na podłodze i robi sobie zdjęcie smartfonem

ORION PRODUCTION | Shutterstock

Emiliano Fumaneri - pubblicato il 13/12/22

A lungo la Chiesa ha battagliato per salvaguardare un particolare tipo di unione sponsale: la sola che rispetti davvero la persona umana facendola crescere senza umiliarla. E così ha plasmato a fondo la mentalità occidentale,

Al tempo del poliamore e del genderfluid la Chiesa appare – a giusto titolo – come il baluardo della famiglia. Non potrebbe essere altrimenti dato che, come spiegava il grande Fulton Sheen, la generazione umana può solo essere una imitazione di quella divina. Da qui quella che potremmo anche chiamare l’opzione preferenziale per la fecondità da parte della Chiesa Cattolica.

Ma non bisogna dimenticare una cosa: il fatto che la Chiesa combatta quel «relativismo familiare» che mira a destrutturare il Dna della famiglia non l’ha mai portata a canonizzare, per così dire, il «familismo amorale». Anzi, la Chiesa in passato si schierò decisamente contro quello che nei tempi antichi appariva un vero e proprio strapotere della famiglia che tiranneggiava sui propri membri.

La Chiesa contro la famiglia (di un certo tipo)

Ogni realtà terrena – e perfino ciò che ci porta a Dio, come le Scritture, ma che non è Dio – può tramutarsi in un idolo da ridimensionare nelle sue pretese fanatiche. La famiglia non ha fatto eccezione. E se oggi appare un colabrodo – almeno nel nostro mondo – in epoche passate si può dire che godesse perfino di eccessiva salute. 

Nel mondo antico ad esempio la famiglia era tutto. Era davvero l’architrave della vita sociale: tutto passava per suo tramite. Allora ogni famiglia si costituiva come una società chiusa, separata dalle altre anche da un proprio culto. «Tutto era divino nella famiglia. Sentimento del dovere, affezione naturale, ideale religioso, tutto ciò si confondeva e si esprimeva con una sola parola», «l’uomo amava allora la sua famiglia come oggi la sua chiesa». Così scriveva lo storico Fustel de Coulanges, spiegando come questa religione domestica sapesse essere crudele. Al punto da identificare come straniero e nemico ogni uomo estraneo alla famiglia.

La Chiesa cercò di arginare queste pretese di onnipotenza. Che ancora oggi rappresentano la regola in gran parte del mondo non occidentale. Pensiamo a come la Chiesa, limitando il potere assoluto del padre di famiglia romano, abbia creato un nuovo tipo di donna: la monaca. Una scelta inconcepibile, ha spiegato Régine Pernoud nello stupendo La donnaal tempo delle cattedrali, in un’epoca dove le donne non avevano neanche – a differenza dei fratelli maschi – un praenomen distintivo di personalità: la figlia portava soltanto il nome del padre, nella gens Cornelia la figlia si chiamava Cornelia e basta.

Ecco perciò che quando quelle ragazze, lasciate in vita alla nascita solo per una benevola concessione del pater familias o per la preoccupazione di perpetuare la famiglia, disobbedivano ai suoi ordini rifiutando il matrimonio combinato in previsione del quale la loro vita era stata risparmiata, scuotevano le fondamenta di una intera società.

La novità sconvolgente del matrimonio cristiano

Non meno sconvolgente per il costume antico era anche il matrimonio cristiano dove, scrive Pernoud, «la Chiesa, per la prima volta nella storia del mondo, vede il matrimonio in rapporto all’individuo, e considera in lui non l’istituzione sociale, ma l’unione di due esseri per il loro sviluppo personale, per la realizzazione del loro fine terreno e soprannaturale; ciò comportava, tra le altre conseguenze, la necessità di una libera adesione la parte dei coniugi che essa rendeva ministri del sacramento».

Impossibile oggi forse capire cosa significasse allora dire, come aveva fatto San Paolo, che «non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna». Parole che, sottolinea Pernoud, stabiliscono che a contare, prima della famiglia, è la persona. Per lo stesso motivo – la centralità della persona – la chiesa osteggiava l’aborto e la schiavitù.

Le parole di Gesù poi non solo riconoscevano uguale dignità all’uomo e alla donna, ma le riconoscevano la possibilità di fare, per la prima volta, una scelta libera e autonoma come quella di rifiutare il marito scelto per lei dal padre e conservare la verginità «in vista del regno di Dio».

Obbedienza pagana e obbedienza cristiana

Così facendo le donne mettevano radicalmente in crisi quella che Giorgio Campanini ha efficacemente descritto con l’espressione «immagine paterna del potere». Ovvero l’idea che l’autorità sia semplicemente insindacabile, che tutto ciò che viene dall’alto sia indiscutibile. 

Non di rado anche in ambito cattolico si presenta questo senso della gerarchia come «obbedienza cristiana». Nulla è più distante dal vero. Si tratta piuttosto di una delle tante infiltrazioni pagane che ancora permangono, ostinate, sotto la veste cristiana. 

In tempi non sospetti ce lo ho ricordato, tra gli altri, anche don Primo Mazzolari, il «parroco d’Italia» commemorato con ammirazione da papa Francesco nel 2017: «Il senso gerarchico cristiano – scriveva don Primo –, a differenza di quello pagano, non accetta il mito del superiore, che sa tutto, che vede tutto, per il solo fatto di essere posto in autorità. Esso mantiene l’uomo, benché aiutato dalla grazia, nelle sue naturali proporzioni, salvando in tal modo la dignità e la responsabilità della persona subordinata, che non può mai, per nessuna ragione, venire cancellata».

Come ha scritto una volta Romano Guardini, citando Kierkegaard, solo chi «sta ritto in sé stesso, ma davanti a Dio, può esistere come persona». La libertà cristiana è sempre un «essere di fronte a». E se questa condizione viene disattesa «la libertà diventa arbitrio. E l’arbitrio è liberticida».

Come la Chiesa ha plasmato la mentalità occidentale

Questa avversione della Chiesa Cattolica per quelle proliferazioni abusive della genitorialità che nel gergo degli psicologi potremmo chiamare pluspaterno e plusmaterno ha fatto ben di più nei secoli che dispensare qualche consiglio edificante: ha plasmato la mentalità occidentale.

A sostenerlo, curiosamente, non è uno storico o un filosofo, ma un biologo di nome Joseph Henrich. In uno studio apparso nel novembre 2019 sulla rivista Science, firmato assieme ad altri collaboratori (The Church, intensive kinship, and global psychological variation) Henrich afferma che la Chiesa Cattolica, con la sua lotta inesausta e plurisecolare contro incesto e poligamia, mettendo barriere ai matrimoni forzati e a quelli fissati fin dall’infanzia ha creato le premesse di una società molto particolare. Il biologo la indica con l’acronimo WEIRD: Western, Educated, Industrialized, Rich, and Democratic (occidentale, istruita, industrializzata, ricca e democratica).

Lo studio di Heinrich ha esaminato una mole enorme di dati: quelli di ben 1.291 popolazioni preindustriali misurando, attraverso indicatori statistici, i livelli di individualismo, creatività, anticonformismo, pensiero analitico, fiducia negli estranei, obiettività.

Una “strana” mentalità

Ora, senza entrare troppo nel merito di queste qualità, ciò che appare interessante è il fatto che la tendenza tipica di una società WEIRD (che in inglese indica qualcosa di stravagante, inusuale e ispirato) è quella di essere popolata da persone più individualiste, indipendenti e autonome, più orientate verso una pro-socialità impersonale, non legata cioè all’appartenenza di gruppo (ovvero che tendono a fidarsi anche degli stranieri: degli «altri», non solo dei «nostri»), più anticonformiste, che si sforzano di ragionare in maniera analitica.

Una mentalità forgiata, mostra la ricerca di Heinrich, dalla forza con cui la Chiesa ha promosso per secoli una ben precisa unione sponsale: quella fondata sulla famiglia nucleare (marito, moglie e eventuale prole), la monogamia e la discendenza bilaterale. Già attorno al XVI secolo, la spinta della Chiesa medievale aveva fatto sì che in gran parte del continente europeo prevalesse un’unione sociale minimale, solida e elastica, capace di far crescere la persona senza umiliarla o vessarla. E che ancora oggi, malgrado tutto, resta la più diffusa nel mondo occidentale.

Nucleare o tribale?

Il prezzo da pagare per un tale sforzo fu una dura e lunga lotta all’incesto, ai matrimoni forzati, alle unioni tra consanguinei, parenti stretti (tra fratelli e sorelle, cugini), alla poligamia. Tutte pratiche che danno luogo a quelle reti familiari ad alta intensità che conosciamo meglio coi nomi di tribù o clan, dove a prevalere non è certo la persona, ma la solidarietà interna al gruppo: il «noi» contro l’«io» e il «voi». Qui i valori sacri sono i legami di obbedienza, lealtà, deferenza verso gli anziani. Tutti valori che cementano il gruppo inteso come corpo denso e compatto, come entità biologica della quale la persona non è altro che una cellula sacrificabile, se lo esige il corpo collettivo. 

Fin da subito, ma in particolare nel Medioevo, la Chiesa Cattolica promosse la famiglia nucleare contrastando con ogni mezzo possibile la famiglia-tribù. 

Quando l’individualismo è buono… 

Certo, per noi «individualismo» è una parolaccia o poco più. Ma come sempre prima che all’etichetta della bottiglia occorre guardare al contenuto della stessa. Anche i primi cristiani risultavano «individualisti» in rapporto a una cultura che esaltava solamente la forza dei gruppi sociali, la comunità o il collettivo. Ma quando dietro la comunità si profila quel «Grande Animale» sociale che in tanti, da Platone a Simone Weil, hanno additato come esempio supremo e prototipo dell’oppressione sociale sulla persona, il cristiano a giusto diritto può rivendicare di essere «individualista». 

Perché quando il sociale si eleva a idolo, assolutizzandosi, il cristiano non può che continuare a militare dalla parte della persona (che è pur sempre, come diceva San Tommaso d’Aquino, una «sostanza individua di natura ragionevole»). Persona che non può avere unicamente doveri verso il corpo collettivo, ma che è anche titolare di diritti che le spettano in quanto tale: eredità questa tipicamente cristiana.

Viceversa società a “parentela intensiva” come quelle pagane incentivano il conformismo, il senso dell’obbedienza, il nepotismo, la lealtà cieca verso il gruppo, le relazioni olistiche (cioè comunitarie). 

… e quando l’individualismo è cattivo

Cioè tutte qualità che se assolutizzate – come capitato non di rado nella storia – tendono a schiacciare la persona sotto il tallone della comunità. D’altro canto è anche vero che al giorno d’oggi anche quello dell’individuo è diventato una specie di culto adorante. Ma non appare casuale che questa degenerazione sia avvenuta man mano che la società WEIRD tagliava il cordone ombelicale col cristianesimo. Tanto è vero che, come mostra Chantal Delsol nel suo libro di recente traduzione (La fine della Cristianità e il ritorno del paganesimo), sta tornando prepotentemente in auge nelle società occidentali la tendenza tipicamente pagana a subordinare la persona alla società. Come sempre accade quando, come era regola nelle società pagane, è lo Stato a farsi guardiano della morale.

Lo strano caso occidentale

Anche perché, a ben vedere, teorie e pratiche come quella del poliamore e del genderfluid – nemiche giurate dalla famiglia nucleare composta da uomo, donna e figli – tendono invece a distruggere e a negare i diritti della persona, ridotta sempre più a oggetto, a cosa come gli schiavi del mondo antico, non-persone quasi per definizione. 

Basta solo pensare alla riduzione a cosa del bimbo abortito, di quella manipolato in provetta, per non parlare dell’utero in affitto dove il bambino diventa il “prodotto finale” di una filiera. L’individualismo esasperato non fa altro che preparare forme di collettivismo. Se ha ragione Henrich, del resto, ogni attacco alla famiglia nucleare – e a chi l’ha favorita – è un colpo al valore della libertà personale che fa del mondo occidentale un caso così “strano” e praticamente unico nella storia. Weird per l’appunto.

Anche le “libertà trasgressive” richiedono infatti tutta una struttura, una organizzazione per assicurare il peccato individuale. Una struttura di peccato o, per usare la metafora di Fabrice Hadjaj, una “società del crimine perfetto”. Per garantire il “diritto individuale” all’aborto servono ospedali, medici, burocrati, fino agli elettricisti e alle donne delle pulizie. Potremmo parafrasare il famoso slogan di Milton Friedman e dire che nessun aborto è gratis. Come non sono gratis PMA e GPA. E presto o tardi, come sempre accade con le forme di oppressione sociale, saranno i mezzi – le strutture – a diventare fini. Schiacciando nel loro ingranaggio la persona.

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