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Una luce di speranza nella storia della clochard che non ha riconosciuto il figlio

Senzatetto donna con segno dormire sotto il ponte vicino al binario ferroviario

Monstar Studio | Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 28/12/22

Una donna senzatetto di 23 anni ha partorito il figlio senza riconoscerlo ed ora può essere adottato. "Vorrei un lavoro, ma chi se la prende una come me?". Ma "una come lei" è stata coraggiosa per aver nonostante tutto creduto nella vita

Una giovane donna sarda senzatetto di 23 anni ha partorito il 2 dicembre scorso, presso l’ospedale di Melegnano (sud di Milano), un bambino nato prematuramente che poi ha lasciato in ospedale. Il piccolo non è stato riconosciuto dalla mamma e perciò è diventato adottabile. Questa storia tragica ma con uno squarcio di speranza, è raccontata da Giampiero Rossi sull’edizione milanese del Corriere.

Leggerla oggi, nel giorno in cui la Chiesa ricorda la strage dei Santi Innocenti, mi fa gioire per questa vita salvata, scampata all’aborto e affidata alle cure dello Stato che troverà dei nuovi genitori per questo bambino al quale la madre – chissà con quanto patimento – non ha dato un nome, come ha raccontato al giornalista.

Che senso aveva? Tanto sapevo che non lo avrei tenuto. Come si fa a tenere un neonato in questa situazione?

(Ibidem)

Parto in anonimato

Ogni anno in Italia sono circa 400 i bambini che nascono con “parto in anonimato”, o nati in ospedale o partoriti altrove e lasciati in una delle circa cinquanta culle per la vita diffuse sul territorio nazionale. In questo nostro articolo sono contenute tutte le informazioni sul diritto a partorire in anonimato, un’opera meritoria a difesa della vita dei bambini e delle madri.

La storia della clochard

La situazione a cui fa riferimento la donna è quella difficilissima della strada dove ha fatto subito ritorno dopo aver partorito. Da aprile vive presso la stazione della metropolitana di San Donato, alle porte della città, insieme al compagno 29enne, padre del bambino. Coperte vecchie, un carrello della spesa, qualche ombrello. Giorni tutti uguali: qualche soldo raccolto in centro, la birra al supermercato, il consumo talvolta di qualche sostanza “Ma quella è roba che costa” (Corriere).

A rompere questa grigia routine è arrivato il giorno del parto. Chissà se per un momento questa mamma andando in ospedale forse impaurita ed emozionata, ha pensato di poter cambiare vita, di crescere felice il figlio. O se l’ombra della solitudine, del malessere, della povertà, ha schiacciato tutto quanto nel suo cuore.

La prima volta ancora minorenne abortì

La ragazza racconta che questa non è stata la prima gravidanza, rimase incinta non ancora maggiorenne e purtroppo scelse di abortire:

Ho fatto l’interruzione di gravidanza, firmò mia madre perché ero ancora minorenne. E pure questa volta l’avrei fatta se mi fossi accorta di essere incinta ma da tre anni non avevo più il ciclo, quindi proprio non mi sono resa conto.

(Corriere)

Sofferenza psicologica

Poi accenna in maniera vaga e confusa a un passato di sofferenza psicologica “ero seguita dai servizi psichiatrici in Sardegna” e racconta della sua passione per la lettura dei thriller e il sogno ormai sempre più lontano di:

Fare l’anatomopatologa, sin da piccola disegnavo benissimo i corpi umani.

(Ibidem)

“Chi se la prende una come me?”

Poi aggiunge senza speranza:

Vorrei un lavoro, ma chi se la prende una come me?

(Corriere)

Sono parole che lasciano esterrefatti: può una ragazza tanto giovane non avere nessuna fiducia nel futuro? pensare di non avere alcun valore? “Una come me”, afferma, intendendo una buona a nulla… una disperata… non so. Eppure questa ragazza ha dato alla luce il suo bambino in un posto sicuro e lo ha affidato alle cure e alle attenzioni dei medici. La cosa più importante l’ha saputa fare, ha pensato al figlio che, seppur nel trauma dell’abbandono, vivrà e sarà amato. E così ha permesso entrasse la luce in questa storia di ombre e disagio.

L’arresto in Germania

Entrambi i genitori del bambino provengono da un paese in provincia di Cagliari da dove sono andati via prima della pandemia. Chissà con quale sogno, progetto, desiderio! O forse con l’animo già appesantito da problemi e disagi. Dopo la partenza hanno vissuto per un po’ in Germania:

Lui lavorava come pizzaiolo dentro una fabbrica della Volkswagen, e io facevo lavoretti in nero, stavamo bene.

(Corriere)

Presto però le vite fragili di questi due giovani si sono scontrate con la durezza del carcere:

Avevamo dei debiti però lì in prigione ti danno tutto e pure un po’ di soldi.

(Ibidem)

“Nei dormitori non ci andiamo perché ci separano”

Poi il foglio di via e l’arrivo a Milano:

In centro ci mandavano sempre via, qui va bene e se fa troppo freddo andiamo a dormire giù in metropolitana, ma alle 5 del mattino ti cacciano. Ma nei dormitori non ci andiamo perché ci separano.

(Corriere)

La necessità di rifare i documenti

Sono senza documenti e perciò non possono fare nulla:

Dovremmo andare a rifare tutto nel nostro Comune di residenza ma chi ce li ha i soldi per andare fino in Sardegna? Qualcuno mi dice che mi pagherebbe il biglietto, ma io non credo che una persona normale poi ci paghi anche il ritorno e in Sardegna non ci vogliamo restare, perché lì non c’è proprio niente per noi.

(Ibidem)

Ci auguriamo che presto si attivi una campagna di solidarietà affinché questa ragazza, questa giovane mamma, dopo aver dato alla luce ritorni ella stessa alla luce.

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