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L’orso e il papa emerito: un legame che è molto più di un simbolo

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Capture Youtube / Hommage au Pape Benoît XVI

Lucia Graziano - pubblicato il 05/01/23

Tutti sappiamo che Benedetto XVI volle inserire un orso all’interno del suo stemma pontificio; ma non tutti conoscono l’insospettabile passione verso gli orsi (e gli orsacchiotti!) che accompagnò Ratzinger fin dall’infanzia e non lo abbandonò nemmeno in età adulta. Scopriamola assieme.

Se dovessimo scegliere un’immagine capace di rappresentare l’intera vita di Joseph Ratzinger, dalla sua nascita a Marktl fino alla sua elezione al soglio pontificio, probabilmente penseremmo a un’infinità di edificanti simboli religiosi, ma ben difficilmente ci sentiremmo di associare il papa emerito all’immagine di un orso. 

Eppure, è proprio quello l’animale che Benedetto XVI volle inserire in bella vista all’interno del suo stemma pontificio: senza dubbio, un richiamo alla vita di san Corbiniano (patrono della diocesi di Monaco e Frisinga, di cui Ratzinger fu vescovo)… ma, probabilmente, anche un divertito omaggio a un animale che il sacerdote aveva sempre amato. È Georg, suo fratello maggiore, a confermare questo accostamento nel suo libro di memorie, Mio fratello il papa. Col sorriso sulle labbra, l’uomo commentava: «è divertente notare come questo animale abbia svolto sempre un ruolo importante nella sua vita». 

JOSEPH RATZINGER BAMBINO CON LA SUA FAMIGLIA

Tutto cominciò con Teddy, l’orso di peluche di uno Joseph bambino

Tutto cominciò con una passione infantile: nello specifico, con un orsetto di peluche che, un giorno, un giovanissimo Joseph Ratzinger notò nella vetrina dell’emporio Lechner, il negozio che si trovava proprio davanti la sua casa a Marktl. Georg ricorda in questi termini l’entusiasmo bambino del futuro pontefice di fronte alle vetrine addobbate a festa: «durante l’Avvento ci passavamo sempre davanti, mia sorella a destra, io a sinistra e Joseph, che non poteva ancora uscire da solo, in mezzo». Chiaramente, quello dei tre fratellini era un sopralluogo non del tutto disinteressato, perché «in mezzo a rami di pino, carta dorata e fili d’argento, potevamo vedere i giocattoli desiderati dai bambini». Ebbene: «quello che piaceva di più a mio fratello era un orsetto, che guardava tutto ammirato. Andavamo lì tutti i giorni, con ogni tempo, ma era lui quello più affezionato. Gli sarebbe piaciuto così tanto tenerlo in braccio! Un giorno la padrona del negozio, una signora molto gentile, ci invitò a entrare e ci rivelò il suo nome: Teddy!». Ma ecco improvvisa la “tragedia” (per modo di dire!) abbattersi sul povero Ratzinger: «poco prima di Natale, scoprimmo che il peluche era scomparso. Joseph pianse amaramente: «Non c’è più!». Cercammo di consolarlo, ma era troppo triste e anche noi lo eravamo». Ma, naturalmente, l’aneddoto ha un lieto fine, come ben si confà a una storia di Natale: «arrivò il 25 dicembre e la distribuzione dei doni. Quando mio fratello entrò nella stanza tutta decorata in cui si trovava l’albero addobbato, rise forte per la felicità: infatti, insieme ai regali per noi bambini aveva visto l’orsetto tanto desiderato. Glielo aveva portato Gesù Bambino. Fu la gioia più grande della sua giovane vita». E che tenerezza immaginare un piccolo Ratzinger ridere e giocare col suo orsetto Teddy!

JOSEF RATZINGER DA BAMBINO CON ORSACCHIOTTO

Il papa teologo che benediceva gli orsi dei bimbi

Chissà se Joseph Ratzinger ripensò a quel suo orsacchiotto da bambino, quando – nell’agosto 2005, al termine di una delle sue udienze generali – ebbe luogo il tenerissimo episodio che Jeff Israely, corrispondente del Time, descrisse poi in questi termini: «si avvicinò una ragazzina, che avrà avuto nove o dieci anni, la mano stretta in quella di sua mamma: era abbracciata a un orso di peluche. Aveva i capelli molto corti e la faccia gonfia per le medicine. Il papa guardò la bimba dritto negli occhi, e tracciò un segno di croce sulla sua fronte. Poi, senza la minima esitazione, si abbassò e benedì allo stesso modo anche l’orsacchiotto». Difficile trovare un aneddoto migliore per descrivere la dolcezza e la sensibilità di Benedetto XVI, il pontefice che fu inizialmente presentato come uomo duro e intransigente e che invece, pian piano, seppe conquistare anche i più scettici mostrando evidente tutta la sua tenera mitezza. 

E anche la sua ironia, verrebbe da aggiungere. Poco dopo il viaggio apostolico in Baviera che il pontefice compì nel 2006, Thaddäus Kühnel, un suo caro amico d’infanzia che aveva profittato dell’occasione per riabbracciarlo, ebbe modo di deliziare i giornalisti con un aneddoto che aveva visto protagonista il papa. Poiché era ormai nota la particolare simpatia che papa Ratzinger nutriva verso gli orsi, una ditta tedesca che produce giocattoli da collezione aveva sfruttato l’occasione di quel viaggio per far giungere al pontefice un buffo omaggio: un orso di peluche vestito da guardia svizzera, creato in edizione limitata per commemorare la visita papale. Ebbene: stando a quanto dichiarò Kühnel, che soggiornava nello stesso edificio del papa, Benedetto XVI stette al gioco e… quella sera, scherzosamente, collocò la sua guardia svizzera ursina nel corridoio davanti alla porta della sua stanza, in modo tale che quell’inconsueto bodyguard potesse proteggerlo nottetempo!

Quel piccolo orso nello stemma papale di Benedetto XVI

Alla luce di questi aneddoti, davvero vien da pensare che l’orso che papa Ratzinger volle inserire nel suo stemma pontificio avesse probabilmente una valenza affettiva, almeno in certo misura. A lungo s’è parlato della sua nota passione per i gatti, ma si direbbe proprio che anche l’orso avesse un ruolo non indifferente, nella classifica degli animali preferiti di Benedetto XVI!

Fin dal momento della sua nomina a vescovo di Monaco e Frisinga, Joseph Ratzinger aveva voluto inserire un orso nel suo stemma. Nell’autobiografia che pubblicò quando era ancora cardinale, l’uomo motivò in questi termini la sua scelta: «dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisinga, ho preso l’immagine dell’orso. Un orso – racconta questa storia – aveva sbranato il cavallo del santo, che stava recandosi a Roma. Corbiniano lo rimproverò aspramente per questo misfatto e, come punizione, gli caricò sulle spalle il fardello che fino a quel momento era stato portato dal cavallo. L’orso dovette trasportare il fardello fino a Roma…». E qui Ratzinger interrompeva per un attimo la narrazione, commentando con quell’ironia che abbiamo ormai imparato a conoscere: «cosa potrei raccontare di più e di più preciso sui miei anni come vescovo?». Il cardinale si identificava molto con quell’orso, sulle cui spalle era stato caricato un fardello pesante e non richiesto che la bestiola s’era vista costretta a trasportare fino a Roma, per ubbidienza!

Ignaro del fardello ancor più pesante di cui, di lì a poco, avrebbe dovuto farsi carico, Benedetto XVI proseguiva così la sua riflessione: «di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà all’orso. Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino col mio carico per le strade della Città Eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so che anche per me vale: “Sono divenuto una bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te”». E quanta verità, in queste parole! 

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