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Un prete di fronte al terremoto di una domanda: “Chi sono io per giudicare?”

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don Fabio Bartoli - pubblicato il 06/01/23

Perché essere prete significa non giudicare. Mai

Giurisprudenza! Mi venisti incontro in un freddo mattino d’Ottobre. Ed io, convinto che la mia vocazione fosse cercare il Vero ed il Giusto ed applicarli con rigore alla vita, poggiai il mio capo sulle tue rassicuranti mammelle…

Ci ho messo circa tre mesi a capire che mi avevi fregato di brutto.

Volevo fare il magistrato io, uno di quelli puri e duri, uno di quelli che danno la caccia ai mafiosi, che non si piegano a compromessi, che sanno analizzare tutto con acribia e scoprire anche le più nascoste contraddizioni per costringere alla giustizia i più renitenti. Che sorpresa quando mi sono accorto che il mio Dio, quel Gesù di cui mi ero innamorato, faceva invece… l’avvocato!

Già, perché questo vuol dire “Paraclito”, il secondo nome dello Spirito Santo: è l’avvocato difensore, quello che nel giudizio ti sta accanto, che ti sostiene, che ti protegge e ti custodisce e all’occorrenza intercede per te. E allora mi sono chiesto “Ma chi sono io per giudicare?”. E il terremoto provocato da questa domanda è stato tale che in pochi mesi mi ha portato a comprendere che la mia vocazione era tutt’altra, a scegliere un mestiere (dal Latino “ministerium”, servizio), l’unico, in cui non avrei mai dovuto giudicare nessuno.

Perché questo significa essere prete: non giudicare, mai. E se per dovere di ufficio ci sei proprio costretto (a volte facendo il parroco è inevitabile, e poi naturalmente c’è il sacramento della Confessione, dove devi essere contemporaneamente maestro, medico e giudice) allora devi giudicare come farebbe un avvocato, cioè sempre stando dalla parte del reo. Devi giudicare insomma con un pregiudizio tale da poterlo condannare solo se proprio lui vuole irrefutabilmente e irredimibilmente essere condannato.

Queste non sono solo belle parole, implicano invece uno stile di vita, implicano una conoscenza approfondita e dettagliata della morale e del diritto, usati però non per accusare un sospettato, ma per difendere un imputato, sperando di scovare da qualche parte una piega, un indizio, che ti consentano di assolverlo e non la minuzia necessaria ad inchiodarlo, non cioè come li userebbe un PM, ma come li userebbe un avvocato, appunto.

E’ facile fare esempi concreti: di fronte ad un uomo che ha commesso con certezza un peccato grave il diritto canonico è chiaro e la norma cristallina. Se ci stiamo limitando a fare ipotesi di scuola non ho dubbi e la condanna è ferma e indubitabile, ma di fronte ad un uomo concreto? Di fronte ad uno per cui Cristo ha versato il suo sangue? Di fronte ad uno che certamente non è solo un concentrato di male puro (nessuno lo è), ma nel suo cuore ha mille sfumature e in ogni suo singolo gesto porta mille motivazioni, a volte persino contraddittorie tra loro?

Allora ho il dovere di ricordare tutte le circostanze attenuanti che scienza e coscienza mi offrono. E se non ne trovo nessuna da applicare al caso concreto, di scavare insieme a lui, nella sua coscienza, alla ricerca di un briciolo di verità e giustizia da far germogliare, da far crescere, da ripulire e far brillare e mettere in piena luce. E se proprio non riesco a trovare un motivo per assolverlo allora dovrò mettermi accanto a lui e aiutarlo in un lento e paziente lavoro di recupero, per restituirlo alla Verità e al Bene. E se non riesco a fare nemmeno questo allora dovrò buttarmi al suo posto ai piedi del Giudice, l’unico vero Giudice, ed implorare clemenza.

Questo significa non giudicare. E’ una faticaccia boia, credetemi. Non è semplicemente alzare le spalle e dire “fa’ un po’ quel che ti pare”. E’ tutt’altro, è andare in croce, come Gesù. E’ avere il cuore spaccato ogni volta tra l’amore alla Verità tradita ed offesa e l’amore alla persona concreta che ha tradito. Sarebbe assai più facile giudicare, sarebbe assai più comodo e riposante: “Qui c’è la legge, la vuoi seguire? Bene son contento, te ne vuoi allontanare? E’ un tuo problema…”

Molto facile, molto riposante. Assai poco Cristiano.

Questo mi veniva in mente qualche tempo fa, quando il Santo Padre ha suscitato, involontariamente, un vespaio con una frase simile. Signori, perché tanta meraviglia? E’ il Vicario dell’Avvocato, potrebbe mai mettersi a fare il giudice? Prima di essere il Papa dopotutto è un prete non un professore, è normale che non sappia parlare di peccati in astratto, ma che sempre lo faccia avendo in mente persone concrete! Di quanti giudici invece è piena la Chiesa, ma pochissimi, ne sono certo, che abbiano mai lottato con il diavolo per strappargli un’anima, per evitare che fosse condannata. Quanti il cui dito indice è più lungo del medio!

Non è di una riforma del diritto che abbiamo bisogno, quello va benissimo così come è (nella Chiesa, non nello Stato Italiano, non confondiamo i piani), ma di una riforma dei cuori. Giudici ne basta uno solo. Quello che ci serve sono avvocati, tanti, tutti schierati accanto all’Unico Avvocato.

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