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Amici stretti? Ecco perché ne abbiamo un gran bisogno

ABBRACCIO TRA SAM E FRODO NEL SIGNORE DEGLI ANELLI

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Emiliano Fumaneri - pubblicato il 09/01/23

Non ci sono solo la crisi economica, quella ecologica e quella bellica. Anche l’amicizia appare in crisi al giorno d’oggi. Ecco perché avere amici stretti è un bene indispensabile e prezioso.

E se oltre al pericolo della recessione economica – paventato di recente dal Fondo Monetario Internazionale – dietro l’angolo ci fosse il pericolo di un’altra crisi? Crisi non di valori (nel senso della borsa valori), ma di affetti.

Non sembra scoppiare di salute infatti quella che i Greci chiamavano philia e che gli Antichi consideravano, oltre che il vertice degli affetti umani, anche una scuola di virtù. È quello che C.S. Lewis giudicava il «meno naturale degli affetti», il meno legato cioè all’istintuale, al biologico, all’organico.

“No-friend zone” in espansione?

Parlo, naturalmente, dell’amicizia. Un affetto che non sembra godere di grande considerazione al giorno d’oggi. Nel 2021 un’indagine del Survey Center on American Life ha fatto emergere che gli americani stanno rapidamente perdendo i loro amici più stretti.  Negli ultimi 30 anni il numero di americani che dichiara di non avere amici stretti si è quadruplicato, passando dal 3% del 1990 al 12% del 2021.

Ma non è solo la no-friend zone a essersi allargata. Sempre secondo lo studio, quasi la metà degli americani — il 49% — afferma di avere meno di tre amici stretti, contro il 27% (meno di un terzo) del 1990. Si è ristretto notevolmente anche il numero di chi diceva di avere dieci o più amici stretti, sceso dal 33% sempre del 1990 al 13% di oggi.

Drammatico il calo anche degli americani che dicono di avere un migliore amico. Anche se la maggioranza (59%) afferma di avere una persona che considerano il loro migliore amico, tre decenni fa la percentuale si attestava al 75%, tre americani su quattro.

Una “recessione” di amicizie che sembra aver colpito in maniera particolare gli uomini: la percentuale di quelli senza amici si è quintuplicata, salendo dal 3% al 15%.

Una molteplicità di cause all’origine della “recessione” dell’amicizia

Naturalmente il lockdown per il Covid ha avuto il suo peso in questa epidemia di solitudine. Sempre secondo il sondaggio, «quasi la metà (47%) degli americani riferisce di aver perso i contatti con almeno alcuni amici negli ultimi 12 mesi». Altri fattori sono l’età più tardiva del matrimonio e la tendenza a viaggiare di più, due tendenze che secondo lo studio sono legate all’autoisolamento. Senza contare che oggi gli americani, rispetto alle generazioni precedenti, passano anche il doppio del tempo coi propri figli, relegando altre relazioni ai margini.

C’è poi il fatto che il lavoro sta sempre più erodendo il tempo libero e che nei momenti di bisogno i giovani americani si rivolgono sempre più frequentemente alla famiglia piuttosto che agli amici. Infine a isolare sempre più dagli amici c’è la crescente digitalizzazione della società, in particolare con la diffusione dei social media.

Meno amici? Una pessima notizia

Che questa evaporazione del senso dell’amicizia sia una pessima notizia lo dice il “vescovo dei social” Robert Barron, fondatore e animatore della rete mediatica “Word on Fire”, dedicata all’evangelizzazione.

In un dialogo con Brandon Vogt dedicato alla necessità di avere amici fidati («Perché abbiamo bisogno di amici stretti»), monsignor Barron ha dato una lettura alternativa – da una angolatura filosofica, anche se non antagonista alla prospettiva sociologica dell’indagine – della rarefazione dell’amicizia che colpisce soprattutto, come visto, il cosiddetto sesso forte.

La crisi dell’amicizia è un segnale preoccupante, sottolinea Barron – dallo scorso 2 giugno anche vescovo di Winona-Rochester, nel Minnesota – perché impoverisce la nostra umanità. Aristotele, ricorda il presule, parlava dell’amico come di un «altro sé stesso» che ci permette di rispecchiarci. Ma non in senso narcisistico.

Amicizia, scuola di virtù

Per Aristotele la vera amicizia non è l’amicizia di convenienza (dove valuto l’amico per quanto può essermi utile) o quella fondata sul piacere. Queste sono al massimo forme mitigate o imperfette della vera amicizia, che è fondata sulla virtù: gli amici virtuosi vogliono soltanto il bene l’uno dell’altro, «vogliono ciò che è bene per gli amici per loro stessi», scrive Aristotele nell’ottavo capitolo dell’Etica Nicomachea.

Indubbiamente, i veri amici ci aiutano (si rendono utili) e ci fa piacere stare in loro compagnia. Ma soprattutto il vero amico ci stima per quello che siamo, non per il ruolo che abbiamo nella società. Con l’amico possiamo mostrarci senza maschere, col nostro vero volto, sicuri di essere comunque accolti. Come all’interno di un rifugio caldo e accogliente in mezzo a una gelida tempesta di neve dove anche se inermi sentiamo di essere nel posto più sicuro del mondo. L’amicizia ci fa sentire amati incondizionatamente, malgrado i nostri difetti (ben noti agli amici).

Basterebbe solo questo fatto a rendere evidente l’importanza di avere rapporti di amicizia. Per Aristotele l’amicizia è addirittura una virtù politica: più c’è amicizia in una società, più ci sarà giustizia. Al punto che il filosofo arriva a dire che se gli uomini sono uniti dall’amicizia non avranno nemmeno più bisogno della giustizia (quando mai tra amici ci si limita a dare semplicemente a ciascuno ciò che gli è dovuto e basta? per l’amico si fa letteralmente di tutto).

L’amicizia cristiana

Questo senso profondo e forte dell’amicizia – come ogni esperienza autenticamente umana – non è stato per nulla “abolito” da Cristo, sottolinea Barron. Al contrario è stato perfezionato e elevato. Il Signore non ha forse detto: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici»? (Gv 15, 15)

Per la mentalità antica un’amicizia tra diseguali – come tra l’umano e il divino – era inconcepibile, ricorda il vescovo americano. È l’Incarnazione a renderla possibile: «Che Dio diventi uno di noi, così che Dio possa essere in una relazione personale e incarnata con noi senza cessare di essere Dio ma assumendo una natura umana». È questo, in ultima analisi, a far sì che Dio, prosegue Barron, «possa entrare in questo dialogo di amicizia» per farci condividere la sua stessa vita interiore. «Dio vuole la nostra eccellenza, vuole il nostro bene e la nostra virtù». L’amicizia divina così eleva e nobilita la riflessione di Aristotele sull’amicizia alla luce dell’Incarnazione.

Il vero? Una ricerca amichevole

Anche nella grande tradizione del pensiero occidentale – da Platone e Socrate a Tommaso d’Aquino, passando per Agostino – la scoperta della verità non passa mai «attraverso una sorta di meditazione interiore privata ma si scopre proprio nel dialogo con gli amici», ricorda Barron.

Così le Confessioni di Sant’Agostino non sono una meditazione solitaria. Per niente: le Confessioni sono essenzialmente un lungo dialogo tra Agostino e Dio («una preghiera di 500 pagine»). Ed è da questo «dialogo che emerge la verità». Per la grande tradizione filosofica occidentale la ricerca della verità matura all’interno di «un dialogo amichevole, nel contesto di una conversazione di amicizia». A rompere con questa tradizione, suggerisce Barron, sarà il fondatore della filosofia moderna: Cartesio.  È con lui che il dialogo con gli altri viene messo tra parentesi e il filosofo «si ritira nella propria interiorità» scoprendo il famoso cogito ergo sum. Si consuma così la rottura col pensiero classico e quello medievale che ricercavano la verità nel contesto dell’amicizia.

La passione per la verità

E che dire del fatto che la “regressione” dell’amicizia colpisca di più le amicizie maschili? Le cause, naturalmente sono molteplici, come si è visto. A queste il vescovo Barron aggiunge però anche un pizzico di psicologia di base e di metafisica sottolineando come in genere le amicizie tra uomini siano basate, più che sulla condivisione di sentimenti e di esperienze intime, sul senso di una missione comune, di uno scopo condiviso. Ma avere uno scopo comune presuppone che esista qualcosa di oggettivamente vero per cui battersi, un ordine di valori superiore al singolo io.

In sostanza, serve quella che sempre C.S. Lewis chiamava la dottrina del valore oggettivo, cioè «la convinzione che taluni atteggiamenti sono realmente veri, e altri realmente falsi».

Ma una cultura e una società che negano l’esistenza stessa di una morale oggettiva, dove ognuno ha la sua verità e i suoi valori, soffocano alla radice la possibilità di una missione comune e dunque sfavoriscono le profonde amicizie maschili. Senza valori comunemente accettati – per i quali siamo d’accordo che vale la pena lottare – anche la possibilità di stringere legami profondi viene meno.

Sono generalizzazioni, naturalmente, e Barron lo ricorda a più riprese. Ma la suggestione rimane: riaffermare il «regno del valore oggettivo» permette di convogliare in maniera positiva le energie e le forze maschili, mettendole al servizio di una missione comune.

Il coraggio della verità contro la dittatura del relativismo: l’esempio di due grandi amici

Un esempio concreto lo abbiamo davanti. Pensiamo solo al formidabile sodalizio – durato quasi un quarto di secolo – tra due giganti come Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger, tra l’«atleta di Cristo» e il «Mozart della teologia». Due uomini che col tempo divennero amici mettendo carismi, talenti e santità di vita al servizio del Vangelo di Cristo.

Papa Wojtyla, ha ricordato una volta Benedetto XVI, aveva il «coraggio della verità», disposto com’era a esporsi anche ai colpi più duri pur di seguire il vero. Come poteva non intendersi, non stringere un legame profondo con un uomo che aveva scelto come motto episcopale «cooperatori della verità»? Può essere un caso che nella memorabile omelia per la missa pro eligendo romano pontifice – che secondo molti ha delineato il manifesto del suo futuro pontificato – il cardinale Joseph Ratzinger abbia insistito, dopo il richiamo a una fede adulta secondo la misura di Cristo, capace di unire verità e carità, sull’amicizia offerta da Cristo (sempre Gv 15, 15)? «Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici».

Fiducia reciproca, comunione delle volontà (Idem velle, idem nolle dicevano i Romani). Questi sono gli elementi basilari dell’amicizia, ribaditi e confermati da Cristo.

Oggi come ieri, è la dittatura del relativismo a impedire ogni vera amicizia: con Dio e tra gli uomini. E solo la passione della verità può tornare a nutrire questo affetto prezioso e unico, che arricchisce la nostra umanità.

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