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Parla Fatima, attivista per l’Iran: «Grazie per il vostro appoggio»

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OLIVIER DOULIERY / AFP

Marie-Christine Jeannenot - pubblicato il 24/01/23

Nata e cresciuta a Teheran, Fatima vive da alcuni anni in Italia e si prodiga perché la causa del suo popolo non venga abbandonata dal mondo al proprio destino.

Da settembre 2022 l’Iran sta vivendo una serie di proteste per resistere a un potere autoritario e corrotto che calpesta continuamente i diritti civili di ogni cittadino.

Da una parte il governo iraniano intima alle potenze straniere di non intromettersi nelle vicende interne al paese; dall’altra parte, sotto gli occhi del mondo, si macchia del sangue del suo popolo perpetrando ogni giorno crimini contro l’umanità (torture, impiccagioni…).

Di fronte a tali abomini ognuno di noi ha il dovere di non tacere e di sostenere in qualche modo la popolazione a livello internazionale.

A tal proposito abbiamo intervistato Fatima per raccontarci quello che sta accadendo oggi in Iran. Fatima è nata a Teheran (Iran) e vive da alcuni anni in Italia. Ovviamente non riveliamo tutto di lei sia per la sua incolumità che per quella dei suoi cari in Iran (purtroppo è attualmente così per tanti iraniani/e nel mondo). La ringraziamo per avere gentilmente risposto alle nostre domande.

Fatima, potresti raccontarci quello che sta succedendo ad oggi nel tuo paese l’Iran anche con gli occhi dei tuoi amici che vivono là?

In Iran dal 16 settembre 2022 sono cominciate le proteste in strada dopo la morte di Mahsa Amini, una giovane ragazza curda arrestata per una ciocca di capelli fuori dal velo che indossava. Masha fu picchiata e morì dopo tre giorni di coma a causa dei traumi subiti alla testa. Dopo questo ignobile atto criminale, prima a Teheran e poi in tante altre città, la gente è uscita di casa per protestare contro il regime. Ormai sono passati più di 125 giorni, si superano i 524 morti, tra cui almeno 71 minori, si contano più di 60mila arresti e almeno 15 morti sotto tortura o per mancanza di cure, e più di 109 persone rischiano la condanna a morte… la rivolta è entrata in una seconda fase. All’inizio il popolo iraniano aveva bisogno di farsi sentire dal mondo intero organizzando proteste tutti i giorni, ma adesso che il mondo è cosciente di quello che sta succedendo in Iran, i giovani che sono stati i primi ad andare nelle piazze, rischiando la loro vita, pensano che servono ulteriori atti: come ad esempio incendiare le sedi di Sepah e Basij (come sta succedendo in questi giorni) per resistere alle numerose repressioni da parte delle autorità.

Lunedì 16 gennaio scorso il parlamento europeo ha votato a favore dell’inserimento del gruppo “Sepah’’ nella lista delle organizzazioni terroristiche ed è un traguardo per gli iraniani. Non dobbiamo pensare che sia tutto finito, ed è per questa ragione che le proteste proseguono.

In Iran esiste la Sepah, un organo militare istituito dopo la rivoluzione del 1979: come agisce con la popolazione?

Il gruppo “Sepah Pasdaran”, guardiani della rivoluzione, ha il compito di pianificare la repressione di ogni critico o oppositore come è stato il caso nel 2009, nel 2019 e nel 2022. Ancora oggi la Sepah fa irruzione nelle case dei semplici cittadini e uccide i manifestanti in strada sparando a caso anche senza motivo; le loro torture sono per altro spietate. Di solito chi è arrestato viene portato nelle loro sedi nascoste dove vengono perpetrati i loro crimini. Ancora oggi non si sa più nulla di alcune delle persone arrestate. Sepah è un gruppo criminale sotto il comando del leader Khamenei.

Vi enumero adesso qualche esempio dei loro misfatti: sparano alla gente in strada e non lasciano che i morti vengano portati via dai loro compagni. Li portano invece via loro e dopo la morte richiedono soldi ai famigliari in cambio del corpo (per il valore delle pallottole, dicono); intimano alle famiglie di non svelare la causa della morte minacciandoli di non poter più avere indietro il corpo del loro caro. Ho sentito che una famiglia ha seppellito solo i vestiti senza ritirare il corpo per poter dire la verità; le famiglie non possono neanche seppellire i loro cari in pubblico poiché devono farlo sotto la sorveglianza della Sepah per evitare di aumentare le proteste della folla. Tuttavia molte famiglie hanno tirato fuori la verità sulla morte dei loro figli dopo quaranta giorni dalla sepoltura poiché malgrado le minacce non potevano più tacere.

Tutto il sistema di magistratura è corrotto e omicida. Pensate che hanno anche condannato a morte i giovani solo per aver dato alle fiamme un cassonetto delle immondizie o aver bloccato la strada. Hanno impiccato e continuano ad impiccare innocenti con la confessione forzata.

Chi sono i manifestanti e che si aspettano ad oggi dalla comunità internazionale? Potresti anche spiegare il significato del taglio dei cappelli e quale valore ha per voi?

I manifestanti all’inizio erano i giovani, la generazione che ha meno di 35 anni. Hanno un coraggio straordinario e vogliono cambiare la loro vita. Ma ormai ci sono persone di ogni genere, ho visto anche anziani in mezzo alle proteste che camminavano con il bastone, vogliono che il mondo sappia che il regime islamico è un regime criminale.

Le prime richieste fatte alla comunità internazionale riguardavano: l’espulsione degli ambasciatori dell’Iran in tutto il mondo, il riconoscimento del gruppo Sepah come organizzazione terroristica e mettere termine alla procedura di JCPOA(The Joint Comprehensive Plan of Action meglio conosciuto come l’Iran nuclear deal) con il regime islamico. Il mondo dovrebbe sapere che il regime islamico è una minaccia per tutto il mondo.

Riguardo al gesto di tagliare i capelli, è un gesto antico per manifestare il lutto. Nel libro “Shahnameh” di Ferdowsi (famoso poeta persiano del 1000 d.c) questo gesto è stato nominato come un segno di lutto e un manifesto contro l’ingiustizia.

Che cosa vorresti dire ai nostri lettori?

Dal mio arrivo in Italia sono stata accolta dagli italiani e anche dopo le proteste in Iran ho visto quanto gli italiani si preoccupano per il mio popolo. Sono veramente grata a tutti per questo. Una volta, durante una conferenza, ho sentito una ragazza di 20 anni parlare dal profondo del cuore e dire che in Italia si deve sapere quello che sta succedendo in Iran poiché potrebbe capitare a chiunque e chiedere al pubblico se, come in Iran, saremmo stati disposti a scendere in piazza anche noi rischiando la vita. Ho molto apprezzato tale gesto. Noi iraniani non ci sentiamo più abbandonati al nostro destino di fronte al brutale regime del nostro paese, l’appoggio degli italiani conta tanto per noi. 

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