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Una coppia è condannata al fallimento se uno crede in Dio e l’altro no?

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fizkes | Shutterstock

Edifa - pubblicato il 07/12/20

Molte coppie condividono tutto tranne la fede. Tuttavia, alcuni coniugi scoprono di essere arricchiti l'uno dall'altro, nonostante il dolore di non condividere l’adesione a Cristo.

di Cyril Douillet

Sono numerosi gli sposi separati da un abisso spirituale, o perché uno dei due coniugi non è credente, o addirittura perché non è battezzato al momento del matrimonio, o perché (ri)scopre la fede durante la vita matrimoniale, o perché al contrario, abbandona la pratica dopo il matrimonio. Tutti questi casi sono possibili.

Da un punto di vista canonico, la Chiesa non vede alcuna obiezione a tale unione, purché il coniuge non credente accolga il matrimonio cristiano (indissolubilità, fedeltà, fecondità), non si opponga alla pratica del coniuge credente e che permetta l’educazione cristiana dei figli. Infatti, è importante che colui che non crede non sia anticristiano, che sia intellettualmente onesto e che non abbia alcuna ostilità ideologica! Eppure, nonostante le buone intenzioni dell’inizio, nonostante i valori umani condivisi, la differenza è spesso fonte di sofferenza.

Non dimenticate che la fede è prima di tutto un dono di Dio

Per il coniuge credente si tratta di rinunciare alla pratica religiosa in coppia, a pregare insieme, ad affidarsi all’altro per l’educazione della fede dei figli, a fare un ritiro di coppia. “Mi sono sposata in chiesa e ho riscoperto Cristo sedici anni dopo il mio matrimonio”, dice Caroline, 55 anni. Mio marito mi lascia andare a Messa tutte le domeniche, ma ha un blocco totale sulla fede. Le mie due figlie si sono allontanate dalla pratica e trovo difficile andare a Messa da sola, soprattutto a Natale. Ed è impossibile parlare delle mie convinzioni a casa.” La conseguenza di questo divario è che spesso il coniuge credente si aspetta che prima o poi l’altro segua la stessa strada. Un desiderio legittimo, ma che può diventare problematico quando si cerca di convertire l’altro, di allinearlo sulle proprie convinzioni, dimenticando che la fede è prima di tutto un dono di Dio.

“Quando ho conosciuto Michel”, ricorda Charlotte, 42 anni, “ero triste che non fosse credente. All’inizio lo spingevo a venire a Messa con me, finché mi sono resa conto che producevo l’effetto contrario!” Tuttavia, per avere un buon matrimonio è necessario che ciascuno desideri che l’altro sia pienamente sé stesso. Se Dio rispetta infinitamente la libertà, come può un cristiano costringere l’altro ad essere come vuole lui?

Al contrario, il coniuge credente può avere una reazione di rassegnazione: la solitudine e la mancanza di sostegno nell’educazione cristiana dei figli potrebbero far scivolare lungo il pendio del disimpegno e dell’indifferenza. “Oggi è difficile per me tenere il passo”, confida Laurence. Vado sempre meno a Messa, mi allontano dalla preghiera. Tutto è cambiato quando mio figlio maggiore mi ha detto che non desiderava fare la professione di fede: ho capito allora che non avrei trovato sostegno da parte di mio marito. Eppure, all’inizio del nostro matrimonio, ero convinta, insegnavo anche il catechismo ai più piccoli”! Per Maria, 58 anni, questo distacco è giunto fino ad una vera e propria messa in discussione. Quando sposò Francesco, lei era una donna praticante e lui era di cultura cattolica. Ma poco tempo dopo il loro matrimonio, lui ha abbandonato la pratica religiosa che era ormai diventata solo un’abitudine. Crescendo i suoi cinque figli nella fede cristiana, Maria si sentiva sempre più sola nel portare questa dimensione. “Rispettavo la sua scelta e allo stesso tempo, nel profondo, mi esasperava”, aggiunge. “Dieci anni fa, mi sono stufata di portare tutto da sola. Ho mollato tutto e non pregavo quasi più”.

Come vivere meglio la propria vocazione al matrimonio?

Credente/non credente, l’avventura può rivelarsi una missione impossibile? Per molti coniugi praticanti, la maturazione del rapporto con Dio diventa la chiave per un rinnovamento della coppia. La Messa, il servizio parrocchiale, ma anche i ritiri spirituali offerte dalle abbazie, i gruppi biblici, o anche il legame privilegiato con una comunità, possono permettere al coniuge credente di trovare un sostegno al di fuori della coppia per trarne il necessario per vivere al meglio la sua vocazione al matrimonio.

Claire, 28 anni, sposata da tre anni, ha vissuto questa esperienza, seguendo una formazione teologica di due anni a dei corsi serali. “È approfondendo la mia fede che ho capito che ero chiamata ad andare pienamente verso l’altro. Se questo è il cuore di ciò in cui credo, allora non c’è contraddizione nel vivere con un non credente”, dice. Maria, da parte sua, si è rimessa in discussione in profondità. “Grazie ad un lavoro psicologico, sono stata portata ad una nuova comprensione della vita e di Dio”, confida. “Mi sono resa conto che ero troppo concentrata sulla vita spirituale, a tal punto da trascurare la mia umanità. Ho potuto discutere di nuovo della fede con mio marito e ci siamo ridati fiducia. Ora non lo biasimo più di non far crescere la sua vita interiore. L’ho accettato pienamente.” Risolvere questa crisi l’ha portata a rivedere la sua visione del sacramento del matrimonio: “Per molto tempo mi sono chiesta chi avrei dovuto amare per primo: Dio o mio marito? La spiritualità mi portava via da lui, ma ora mi aiuta ad amarlo meglio.”

“Dalla mia conversione so che posso incontrare Gesù, non solo nell’Eucaristia, ma anche nel fratello più vicino: mio marito”, confida Caroline. Da qui ha scelto di trovare un equilibrio tra le sue attività spirituali esterne (corsi di Sacra Scrittura, ritiri con un’amica nella stessa situazione) e il rinnovamento della sua complicità con Jean perché riconosce che può aver sofferto per la sua conversione: “È importante coltivare altri punti d’incontro nella coppia. Per noi è la fotografia, il cinema, il teatro. È necessario che non mi doni solo alla Chiesa”! Uno ci crede, l’altro no, ma funziona nonostante tutto perché si sceglie di amare.

Coppie all’incrocio tra fede e incredulità

Tra testimonianze piene di speranza (perché le conversioni esistono!) e il rispetto per il ritmo dell’altro, il coniuge credente è invitato ad un percorso delicato. Alcuni notano un arricchimento reciproco, nonostante il dolore di non condividere l’adesione a Cristo. Nathalie riconosce che il marito non credente ha “un ruolo di regolatore”, di contrappunto razionale nella coppia, come se la differenza fosse diventata fonte di un equilibrio benefico per la famiglia. “Mi ricorda che non viviamo in una bolla”, dice. La loro fecondità può riversarsi oltre la loro casa: queste coppie infatti non hanno una missione specifica nella Chiesa, all’incrocio tra fede e incredulità?

“Vivo in mezzo agli atei”, spiega Caroline. “Forse non è attraverso di me che scopriranno qualcosa della fede, perché nessuno è profeta in patria, ma io sono lì in mezzo a loro, come una serva inutile. Rinforzata dal Sacramento che abbiamo ricevuto entrambi, sono convinta che il Signore opera in mio marito, anche se lui non lo sa!” “Essere sposati con un non credente è una forma di povertà”, dice Claire-Marie. “Ma allo stesso tempo, mi permette di entrare in relazione con i non credenti, con semplicità.”

Alla fine, queste coppie rappresentano l’incontro tra Israele e la saggezza greca, tra la Chiesa e il mondo. I coniugi credenti sono misteriosamente segni di Cristo inviati alle nazioni. Un’immagine che ci spinge a tornare agli inizi della Chiesa, a ciò che Paolo già diceva ai Corinzi: “Il marito non credente, infatti, viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente” (1 Cor 7,14) e viceversa. Un bel programma, vero?

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