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Claire Ly, dalla saggezza del Buddha alla follia d’amore di Gesù

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Aleteia - pubblicato il 07/06/13

Cambogiana, sopravvissuta alla follia genocida dei khmer rossi di Pol Pot e poi esule in Francia, racconterà la sua conversione al Festival Biblico di Vicenza

Claire Ly, 67 anni, buddista di origine, madre di tre figli, si è convertita a Gesù Cristo all’età di 37 anni e oggi si dedica alla scrittura e all'insegnamento presso l’Istituto di Scienze e Teologia delle Religioni di Marsiglia. La sua è una di quelle storie che fanno tremare i polsi. Nata in Cambogia, si è laureata in diritto e filosofia, ed è diventata prima insegnante di liceo e poi alta funzionaria del Ministero dell'Educazione. Nel 1975, con due figli, uno in braccio e l’altra in grembo, in quanto intellettuale viene deportata in un campo di lavoro dai Khmer rossi del dittatore Pol Pot.

Rimarrà qui per 4 anni sperimentando quell'inferno che le strapperà di dosso il padre, i fratelli, il marito. Lavora in condizioni disumane nelle risaie, assiste ad esecuzioni sommarie, all’indottrinamento dei bambini. Di fronte a una simile barbarie di umanità schiacciata e umiliata si rivolge agli insegnamenti del Buddha. Non riesce, tuttavia, ad accettare il fatto che l’orrore che stava vivendo fosse una conseguenza del suo “Karma” negativo, cioè frutto di cattive azioni compiute nelle vite passate. Precipita allora nella spirale di sentimenti negativi per una buddista come la collera, l’odio, la vendetta.

Il suo credo entra allora in crisi e per non impazzire di fronte a tanto dolore e sofferenze, decide di riversare tutto il suo disprezzo sul “dio degli occidentali”. A questo proposito scrive nel suo nuovo libro, Mangrovia. Una donna, due anime (Pimedit): “Tra i consigli di Shakyamuni, il Buddha, per superare i momenti di tentazione, vi è quello di creare un 'feticcio', un oggetto mentale sul quale scaricare tutte le colpe, tutti gli odi repressi e giustificati per liberarsi dalla gravità del male”. Alla fine della stagione dei campi di lavoro, divenne infine una compagna contadina, secondo i khmer rossi. “Quel giorno stesso, a tarda sera, ho chiesto al 'dio degli occidentali' di applaudire alla mia vittoria. 'Non vedi come sono stata brava?', gli dicevo. Eppure non lo ha fatto. Dio è rimasto in un silenzio assordante. Non lo sentivo semplicemente come assenza di rumore, ma come un’assenza abitata” (Tempi, 28 ottobre 2012).

Nel 1979, alla caduta del regime di Pol Pot, Claire Ly prende la strada dei profughi verso la Thailandia e da qui nel 1980 emigra in Francia dove tuttora vive e lavora.  E’ in Francia che comincia a frequentare i cattolici, legge e studia gli scritti di Giovanni Paolo II, incontra sul suo cammino il Vangelo. Finché un giorno mette piede in una chiesa e assiste a una celebrazione eucaristica e si commuove. Capisce finalmente di essere arrivata al capolinea di un lungo percorso interiore e chiede di poter essere battezzata.

Nel libro Tornata dall’inferno (Edizioni Paoline) scrive: “Non ho scelto il cristianesimo per trovare un’etica o una morale, ma per trovare il volto di Gesù Cristo, la cui chiamata e la cui semplicità hanno toccato il mio cuore”.  "La risurrezione è l’esperienza centrale che ha causato la frattura con la tradizione dei miei antenati. A un dato momento della mia vita, un’esperienza spirituale di pace e di serenità ricevuta da un tutt’altro mi ha fatto lasciare la 'via di mezzo' insegnata dal Budda, per camminare con Gesù, il risorto”. “Della mia educazione asiatica – aggiunge Claire – conservo alcuni tratti caratteristici, come l’amore per il silenzio e uno spirito pragmatico, nonostante tutto. Il silenzio mi aiuta molto nella preghiera: mi permette di non inondare Dio con le mie richieste, ma di ascoltare ciò che il padre vorrebbe dirmi. Quanto al pragmatismo, io cerco sempre di analizzare l’impatto del vangelo sulla mia vita. Una religione che si limitasse a dogmi senza incarnazione nell’esperienza della vita non mi interessa” (Credere, 2 giugno).

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