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Obiezione di coscienza all’aborto: vogliamo medici o meri esecutori?


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Simone Sereni - pubblicato il 11/06/13

La legge 194 non è ancora stata pienamente applicata. Ora si propone di abolire il diritto all’obiezione di coscienza per i medici. Uno sguardo in Europa

L’obiezione di coscienza dei medici alla pratica dell’aborto è fortemente messa in discussione in Europa. “Se sei un pacifista non puoi fare il poliziotto. Se rifiuti di praticare una trasfusione non puoi fare il chirurgo. Se neghi a un paziente la contraccezione o una prescrizione per un aborto, non puoi fare il medico”. Questa la logica che, secondo Robin Kass, segretario di Stato norvegese alla Salute, giustifica una circolare del suo ministero che nell’ottobre 2011 ha stabilito che i medici non possono rifiutarsi “per nessun motivo” di praticare o prescrivere interventi o terapie cui essi siano contrari per motivi religiosi o etici. Nonostante una petizione di protesta di oltre 170 medici norvegesi, il provvedimento risulta attualmente in vigore (Intoleranceagainstchristians.eu, 6 giugno).

In Irlanda, proprio nelle ultime settimane, si discute molto un disegno di legge di riforma della normativa sull’aborto – "Protection of Life during Pregnancy Bill 2013"– che ha diviso anche il partito di maggioranza. La riforma prevederebbe tra l’altro che “nessuna istituzione, organizzazione o terza parte possa rifiutare di provvedere a una legittima interruzione di gravidanza a una donna sulla base di una obiezione di coscienza”; oltre a un’estensione alla minaccia di suicidio tra i fattori di pericolo di vita per la madre. “Possiamo concordare – ha commentato mons. Brendan Byrne, amministratore diocesano della Diocesi di Kildare & Leighlin – che ci sono casi in cui è legittimo intervenire durante una gravidanza”. Ma qui la “questione chiave è se l’interruzione di una gravidanza a causa del rischio o della minaccia di suicidio possa essere considerato un intervento salva-vita. Nessuna evidenza psichiatrica è in grado di sostenerlo” (Zenit.org, 31 maggio).



La proposta di legge arriva in un momento in cui la questione aborto è al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Si è conclusa l’inchiesta sulla morte di una dentista indiana avvenuta per setticemia in un ospedale irlandese a seguito di un aborto  spontaneo, dopo che le sarebbe stato rifiutata l’interruzione di gravidanza (The Guardian, 30 aprile). Di questi giorni è però anche una sentenza, contraria a due istituzioni ospedaliere, che ha riconosciuto a due ostetriche l’estensione del diritto all’obiezione di coscienza anche per attività che non implichino una partecipazione diretta all’interruzione di gravidanza. Il caso verrà ora portato di fronte alla Corte suprema irlandese (The Irish Post, 6 giugno).

In Italia intanto la Consulta di bioetica, durante un recente convegno, ha proposto di riformare la legge 194/78 abolendo il diritto all’obiezione di coscienza il personale sanitario che esercita nelle strutture pubbliche. Secondo il presidente della Consulta, Maurizio Mori, l’obiezione “non deve essere considerata un nuovo diritto umano inviolabile da garantire”. Un’indicazione non nuova: nel 2011 Stefano Rodotà aveva fatto la medesima proposta, spiegando che “chi decide di fare il ginecologo sa che l’interruzione di gravidanza è un diritto sancito dalla legge, che rientra nei suoi obblighi professionali e non è più ragionevole prevedere una clausola per sottrarvisi” (D di Repubblica, dicembre 2011).
 La legge peraltro stabilisce già un chiaro limite (art.9) all’obiezione di coscienza del personale sanitario “ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.



“L’obiezione di coscienza è un valore costituzionalmente garantito il cui libero esercizio non può essere impedito da nessuno Stato democratico”, ha affermato Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita. La Ricci Sindoni ha anche ricordato che “l’obiezione di coscienza del medico, che agisce nella sua professione sempre con piena coerenza con le proprie convinzioni morali, non è un non fare” ed è connessa all’impegno “di completare la prima parte della legge 194 relativa all’aiuto e al sostegno per la donna e per il nascituro”.

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