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«Il Corpo di Cristo abbraccia arabi e israeliani»

padre Neuhaus

© AIUTO CHIESA CHE SOFFRE

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 15/09/14

Il vicario del Patriarca Latino di Gerusalemme: in Israele estremismo crescente, sputi anche sui chierici

Il seme del Vangelo che tra mille difficoltà sta germogliando in Terra Santa. La paura per gli estremismi in crescita nella società israeliana. Il monito ai leader di Israele e Palestina che faticano ad un intavolare un percorso di pace. Le contraddizioni dell’Isis e il rapporto con gli arabi palestinesi. 

Sono questi i temi sviscerati da Padre David M. Neuhaus, vicario del Patriarca Latino di Gerusalemme, in un’intervista concessa ad Aleteia. Il messaggio che arriva dalla Terra Santa non ammette repliche: «Il Corpo di Cristo abbraccia tutti, arabi ed israeliani»

Il Patriarcato latino di Gerusalemme come considera il conflitto israelo-palestinese? 

«Dio ha piantato il seme della fede su tutti i lati della divisa Terra Santa. Ci sono cattolici che sono arabi palestinesi, profondamente impegnati per il loro popolo e che soffrono a causa di decenni di guerra, per l’occupazione dei Territori, la discriminazione e l’ingiustizia. Ci sono cattolici che sono arabi giordani, e sono parte integrante della loro società alla ricerca di uguaglianza e rendono il loro contributo affinché ciò accada. Ci sono cattolici che sono israeliani, alcuni ebrei, come me, la maggior parte degli arabi palestinesi che sono cittadini di Israele. Ci sono anche alcuni cattolici di Cipro. Infine, ci sono in questa diocesi molti immigrati: lavoratori provenienti da Asia e Africa e altrove, i richiedenti asilo provenienti dall’Africa in Israele e dei rifugiati dalla Siria e dall’Iraq in Giordania. Tutta questa diversità compone un mosaico meraviglioso, ma per la Chiesa porta anche un elevato grado di complessità da un punto di vista socio-politico. Per quanto riguarda il conflitto in corso, la Chiesa cerca di parlare una lingua che forma una nuova generazione in grado di rifiutare la guerra e lottare per la pace. Questo linguaggio si fonda sul rispetto per tutti, l’amore per tutti e la richiesta che la giustizia sia resa a tutti». 

Come è stata giudicata la recente dura offensiva israeliana nella Striscia di Gaza?

«La recente guerra è stata brutale e ha lasciato una incredibile scia di distruzione e ha sicuramente seminato odio. Coloro che sono al comando ci manipolano in modo irresponsabile, cercando semplicemente di giustificare l’uso smodato di armi e violenza. E’ il credere in una vittoria militare che è il nemico della pace. Invece la pace arriverà solo quando possiamo guardare dall’altra parte e vedere una persona, con la sua dignità e i suoi valori. Troppi dei nostri leader, su entrambi i lati, (israeliani e palestinesi ndr) ritraggono la gente sul lato opposto come mostri. La nostra più grande preoccupazione deve essere quella di educare i bambini che purtroppo crescono in questo clima di odio e rifiuto».

Qual è il ruolo del Patriarcato nel processo di pace?

«Il patriarcato non è un partito politico. È parte integrante della Chiesa cattolica romana che ha sviluppato un insegnamento molto completo sulla giustizia e la pace e soprattutto dopo il Concilio Vaticano II ha incoraggiato i fedeli a essere coinvolti nella promozione della giustizia e della pace nella società. Tuttavia, nel nostro contesto, questa Chiesa ha una particolare vocazione».

A che si riferisce?

«Parla una lingua che è fedele ai valori del Vangelo. Questo tipo di linguaggio è molto diverso dalla lingua utilizzata in strada. Questo linguaggio non può vedere in un altro essere umano un nemico, ma piuttosto un fratello. Fedeli del Patriarcato sono diffusi in tutta la Terra Santa e questa realtà crea una comunione, in effetti, che rompe i muri di ostilità, con la creazione di un corpo, il corpo di Cristo, che non può essere limitata ad uno solo dei due versanti in campo. In realtà, questo corpo abbraccia tutti i lati e promuove una comunione che rende un tutt’uno le parti in causa separate da ostilità». 

Il Patriarcato ha denunciato episodi di intolleranza. Chi è stato colpito? Sacerdoti cattolici? Cristiani palestinesi? 

«Nella società israeliana, c’è anche un crescente estremismo. Alcuni dei giovani scontenti  stanno sfogando le loro frustrazioni su quelli visti come minoranze, "stranieri", non appartenenti alla maggioranza ebraica – ovvero musulmani, drusi e cristiani. Ci sono stati attacchi alle moschee e chiese, deturpate con brutti slogan. I chierici in abito tradizionale sono stati vittime di sputi. Il Patriarcato ha protestato e continua a protestare contro queste espressioni di disprezzo e insiste sul fatto che il modo di "combattere" deve essere attraverso l’educazione che promuove il rispetto per chi è diverso». 

Le violenze sono ancora in atto? Quali sono gli episodi più gravi accaduti?

«Abbiamo convissuto con la violenza da decenni: a volte esplode in una vera e propria guerra, ma nei fatti è sempre presente. C’è violenza nei pensieri, nelle parole, e in quegli atti che a volte si trasformano in aspri attacchi al nemico. La violenza nasce dalla coscienza dei muri che ci separano. Questi muri non possono esistere nella Chiesa. Il più grave di questi muri divide ebrei e arabi, israeliani e palestinesi, ma altri muri dividono i cristiani e ebrei, cristiani e musulmani, ricchi e poveri, ecc …». 

L’Isis può influenzare un’escalation di scontri anche tra gli arabi in Palestina?

«Isis è un fenomeno terribile e in tanti vivono nella paura di un contagio in Israele e Palestina. Ma stiamo attenti: ci concentriamo molto sulla sofferenza delle minoranze quando l’Isis arriva nelle città dei cristiani, ma non dimentichiamo che la maggior parte delle loro vittime sono musulmani che non sono d’accordo con loro. Finora non ci sono stati segni di Isis qui in Israele, ma ciò che ha creato l’Isis in Iraq e Siria, la disperazione, l’oppressione, la ricerca di vendetta, questi tutte situazioni già presenti anche qui». 

Ci sono palestinesi che sono andati a lottare accanto ai fanatici islamici del Califfato?

«Ho sentito che ci sono alcuni palestinesi che sono andati a combattere per ISIS. Quello che mi interessa di più è identificare chi è consapevole che l’Isis è un disastro per tutti noi. Questa vasta coalizione anti-fanatici, deve basarsi sul riconoscimento di ciò che contribuisce allo sviluppo di un gruppo come l’Isis e non solo sulla sua eliminazione». 

Cioè?

«Dobbiamo trattare la malattia stessa e non solo i sintomi. La malattia è di per sé causata da decenni di dittatura, oppressione, occupazione, mancanza di diritti umani, la povertà e la stagnazione che hanno caratterizzato quell’area del Medio Oriente per decenni. La coalizione deve essere fondata su valori condivisi e l’impegno a combattere le ingiustizie e promuovere una società basata sull’uguaglianza, il rispetto e il desiderio di camminare insieme nella nostra diversità».

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