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Perché alcuni cibi sono proibiti dalle religioni?

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Aggiornamenti Sociali - pubblicato il 05/05/15

Tra le “12 chiavi per entrare in EXPO” proposte da "Aggiornamenti sociali" anche il rapporto tra cibo e pratica religiosa

Per sei mesi l’Expo 2015 di Milano “Nutrire il pianeta, energia per la vita” sarà una grande vetrina sul tema dell’alimentazione che non soltanto costituirà l’occasione di confrontare abitudini alimentari e specificità gastronomiche dei paesi di tutto il mondo, ma consentirà anche di approfondire il rapporto profondo – esistenziale, filosofico, religioso – tra l’uomo e il cibo. Tra i temi che più incuriosiscono nel confronto tra pratiche religiose c’è senza dubbio quello delle regole alimentari e della lista dei cibi vietati o consentiti e delle modalità di macellare gli animali o cuocere i cibi. Anche la Bibbia ebraica, sottolinea Stefano Bittasi sj, nell’articolo “Cibi vietati. Leggere le relazioni sociali attraverso un paradigma biblico” di cui riportiamo alcuni brani, “non fa eccezione e le regole alimentari sono una delle modalità con cui essa declina una tematica così ricca a livello simbolico quanto quella del ‘mangiare’, vera e propria cifra con cui è possibile riassumere l’esistenza umana”. Il testo è uno dei contributi dell’ebook di Aggiornamenti socialiLe dimensioni del cibo. 12 chiavi per entrare in EXPO”, che raccoglie gli interventi più significativi sul tema dell’alimentazione pubblicati dal maggio 2012 al maggio 2015 sulla rivista dei gesuiti e curato dal direttore, Giacomo Costa sj.


La proibizione di cibarsi del sangue

La regola alimentare su cui più insiste la Bibbia è probabilmente la proibizione di mangiare sangue (Genesi 9, 4; Levitico 3, 17; 7, 26; 17, 10-16; 19, 26; Deuteronomio 12, 16.23; 15, 23), al cui rispetto si deve l’invenzione di tecniche di macellazione atte a eliminare completamente il sangue dagli animali uccisi, e di salatura, bruciatura e cottura delle carni prima di poterle mangiare.

Una prima ragione che i testi propongono per queste prescrizioni è il legame simbolico tra il sangue e la vita, dono di Dio da rispettare come tale, di cui l’umanità non può farsi padrona: la vita di ogni essere vivente è il suo sangue, in quanto è la sua vita. Perciò ho ordinato agli Israeliti: Non mangerete sangue di alcuna specie di essere vivente, perché il sangue è la vita di ogni carne (Levitico 17, 14).

Il rispetto e l’attenzione per la vita regolano quindi la possibilità da parte dell’umano di avvalersi del mondo animale per il proprio nutrimento. Interessante a questo riguardo il chiaro richiamo contenuto nel racconto della creazione; in origine all'uomo era consentito cibarsi solo del mondo vegetale. Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo» (Genesi 1, 29). Dato il carattere violento dell’uccisione di qualunque animale per potersene cibare, non suscita meraviglia che questa eventualità sia esclusa nel “paradiso terrestre”, dove regna un’armonia completa tra tutti i viventi.

L’omicidio di Abele da parte del fratello Caino spezzerà questa armonia e la nuova umanità del dopo diluvio avrà il permesso di mangiare carne.

La nuova umanità diventa carnivora per concessione di Dio, fatto di cui il divieto di mangiare sangue sancisce la memoria: Ogni essere che ha vita vi servirà da cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè con il suo sangue (Genesi 9, 3-4). Al tempo stesso esso custodisce la nostalgia di un mondo radicalmente senza violenza, che diventa figura della pace escatologica alla quale tutta la creazione (animali compresi) è chiamata a partecipare alla fine dei tempi.


Puro e impuro

Il legame tra il sangue e la vita come dono supremo di Dio che l’uomo deve custodire apre la porta anche al secondo motivo che sta alla base delle regole alimentari: Israele deve differenziarsi dalle usanze dei popoli circostanti. Lo sottolineano diversi testi (ad esempio Levitico 19, 26 oppure Ezechiele 33, 25) e a questo si devono probabilmente le lunghe e complesse tassonomie degli animali “puri” (che si possono mangiare) e “impuri” (che non si possono mangiare) in Levitico 11 e Deuteronomio 14 [ndr Tra gli animali consentiti: il bue, la pecora e la capra; il cervo, la gazzella, il capriolo, lo stambecco, l’antilope, il bufalo e il camoscio. No il cammello, la lepre, il porco. Tra gli animali acquatici sono consentiti solo quelli che hanno pinne e squame. Tra gli uccelli no a l’aquila, l’avvoltoio, il nibbio e ogni specie di falco, il gabbiano, il pellicano, la cicogna].

Alcuni studiosi, fin dal Medioevo (ad esempio il filosofo e medico ebreo Maimonide nel XII secolo) e soprattutto nel XVIII e XIX secolo, hanno sostenuto che vi fossero motivi igienici alla radice dei tabù alimentari. Senza poterla negare
completamente, oggi questa spiegazione pare assai problematica, dato che tali tabù non sono costanti tra i popoli che convivono nelle stesse aree geografiche: basti pensare al caso macroscopico dello speculare trattamento di suini e bovini tra ebraismo e islam, da una parte, e induismo dall'altra. Si preferisce quindi interpretare la diversità nelle regole alimentari come strumento identitario per rimarcare le differenze rispetto ai popoli vicini, portatori di diverse usanze, spesso connesse con culti e rituali legati ad altre divinità.

Un esempio particolarmente chiaro riguarda un’altra tra le prescrizioni alimentari bibliche: Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre (Esodo 23, 19). Proprio per evitare di violare questo divieto, anche inconsapevolmente, tra gli ebrei osservanti è vietata qualunque mescolanza tra il latte e i suoi derivati, e la carne, né si possono usare le stesse stoviglie per cuocerli e servirli (anche se in tempi diversi), a meno di lavarli osservando precise regole. Studi documentari e archeologici hanno infatti consentito di scoprire come cibarsi di carni di agnelli o vitelli cotte nel latte delle loro madri facesse parte dei rituali dei culti della fertilità nelle aree mesopotamiche di Ras Shamra e Ugarit, da cui evidentemente la Bibbia intende prendere le distanze.

Del resto il monito a rispettare le regole alimentari, in particolare quelle relative agli animali permessi e proibiti, è spesso accompagnato dal richiamo alla santità del popolo – nel senso di “separazione” dagli altri popoli, non in quello di perfezione morale – come esigenza derivante dalla santità di Dio (nel senso di unicità o diversità rispetto agli dèi degli altri popoli). Non rendetevi impuri con essi [gli animali impuri] e non diventate, a causa loro, impuri. Perché io sono il Signore, vostro Dio. Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo … poiché io sono il Signore, che vi ha fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere il vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo (Levitico 11, 44-45; similmente Esodo 22, 30 e Deuteronomio 14, 21, che addirittura permette agli israeliti di vendere animali impuri ai pagani, proprio perché non sono parte del popolo santo di Dio).

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