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Dovremmo essere arrabbiati con i defunti?

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padre Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 12/11/15

Vero dolore, falso conforto e autentica speranza cristiana

“È in un posto migliore”.

“Ma io non voglio che stia in un posto migliore! Lo voglio qui con me ora, ho bisogno di lui!”

Se ci fosse una materia intitolata “Introduzione a cosa non dire ai familiari di un defunto”, penso che il benintenzionato “È in un posto migliore” apparirebbe sicuramente nella lista. Per non parlare di quello che alcuni dicono in un tentativo di “consolare” chi ha perso un figlio – non riesco neanche a menzionarlo. Penso però che Dante avrebbe aggiunto un capitolo alla sua grande opera sul Purgatorio per coloro che hanno buone intenzioni ma finiscono per ferire nei loro tentativi maldestri di rassicurare chi sta soffrendo.

Non sorprende che quando soffriamo possiamo arrabbiarci con chi ci vuole offrire una goffa consolazione. Potremmo anche non sorprenderci per il fatto che quando soffriamo ci ritroviamo ad essere arrabbiati con chi è morto.

Alla veglia funebre di mio padre sedevo vicino a mia madre, che era appena rimasta vedova dopo 53 anni di matrimonio. Continuava a ripetere “Non riesco a credere che stia accadendo”. Per grazia di Dio ho avuto il buonsenso di non dire niente. Una delle mie zie vedove è venuta verso di lei e le ha detto: “Sue, sei arrabbiata con lui?” Mamma si è mossa con una velocità e una destrezza che le mancavano da anni ed è andata verso la bara per esprimere con vigore la sua disapprovazione a mio padre per la tempistica e il fatto stesso della sua morte. Non ero sorpreso dalla sua rabbia. Quando due cuori sono intrecciati per tanti anni (e così erano i cuori dei miei genitori), una separazione, ma soprattutto la morte – anche una morte naturale, come nel caso di mio padre –, è una sorta di violenza, una lacerazione di quello che era cresciuto insieme fino a diventare una cosa sola. Saremmo insensati se non fossimo scioccati, indignati e sì, perfino arrabbiati con i defunti per il dolore provocato dalla loro morte.

Nessuno si sorprende quando chi soffre per un lutto si arrabbia con Dio. “Signore, come hai potuto? Come hai potuto portare via… (padre/marito/moglie/figlio…)?” È un problema costante per filosofi e teologi: “Come ha potuto un Dio buono permettere la morte prematura/ingiusta di…?” Un’intera branca della filosofia/teologia chiamata “teodicea” è dedicata alla questione (alcuni filosofi e teologi affermano piuttosto correttamente che la bontà e la giustizia di Dio non devono essere “riscattate” dalla teodicea, ma questa è un’altra storia).

Di fronte alla morte, soffriamo per il fatto di essere separati dai nostri cari e versiamo lacrime anche per noi stessi. Soffriamo per noi stessi quando con gli occhi arrossati e il cuore deluso guardiamo al tempo che ci si profila davanti e consideriamo quello che avevamo pianificato di fare e di essere con l’altro – tutte quelle belle cose che sembrano esserci state strappate in modo tanto crudele. Possiamo avere una giusta compassione per noi stessi, constatando l’impoverimento che deriva dal fatto di essere separati da una persona cara.

Visto che siamo cristiani, però, possiamo avere la viva speranza di reincontrare felicemente coloro che ci hanno preceduti nella fede. Come ci dice San Paolo, “la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5, 5) (e no, sicuramente non sono un membro del club “Non preoccuparti, tutti vanno in paradiso!”).

Possono esserci lacrime di dolore e di rabbia quando noi cristiani soffriamo per noi stessi per il dolore provocato dalla mancanza dei nostri cari. Soprattutto in questo mese di novembre, in cui onoriamo i nostri defunti, promettiamoci di consolarci a vicenda, e promettiamoci che ci aiuteremo ad andare alla casa del Padre, dove è già pronto per noi un banchetto e dove potremo essere riuniti con coloro che ci hanno preceduti nella fede.

E mentre ci consoliamo a vicenda, mentre ricordiamo i nostri cari defunti pregando ogni giorno per il loro riposo eterno, forse ci possono aiutare queste parole di Sant’Ignazio di Loyola. Poco prima della sua morte, il santo ha scritto:

Se trovassimo la nostra patria e la nostra vera pace nel nostro soggiorno qui in questo mondo,
sarebbe una grande perdita per noi
quando le persone o le cose che ci hanno dato tanta gioia vengono portate via.
Ma visto che siamo pellegrini su questa terra,
e la nostra città eterna è nel regno dei cieli,
non dovremmo ritenere una grande perdita quando le persone che amiamo se ne vanno un po’ prima di noi,
perché le seguiremo fra non molto nel luogo in cui Cristo, nostro Signore e Redentore,
ha preparato per noi una dimora beata nella sua gioia.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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