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In piena persecuzione nazista, un paese del Centro Italia è diventato “Casa di vita”

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Jesús Colina - Aleteia - pubblicato il 05/01/16

La Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg consegna il riconoscimento alla Chiesa di San Pietro in Cellis, nella località di Terzone di Leonessa (Rieti), dove gli abitanti hanno rischiato la vita per accogliere una famiglia ebraica.

Quando la persecuzione nazista diventava più violenta, negli anni tra il 1943 e il 1944, un piccolo paese di montagna, nel centro d’Italia, è diventato una “Casa di vita” accogliendo una famiglia ebraica perseguitata.

Terzone, frazione di Leonessa, in provincia di Rieti, che oggi conta circa 340 abitanti, compì una vera e propria impresa eroica rischiando la vita dei suoi uomini, donne e bambini per dare tetto e alimento durante diversi mesi ai cinque membri della famiglia Pisetzky (la madre, il padre, i due figli adolescenti e la nonna), costretti a lasciare Roma e a nascondersi per sfuggire alla deportazione sicura nei campi di sterminio nazi.

Per questo motivo, in una cerimonia che ha riunito il 21 dicembre gli abitanti di varie delle frazioni di Leonessa, la Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg ha consegnato il riconoscimento “House of Life” alla chiesa e casa parrocchiale di San Pietro in Cellis, dove la famiglia trovò rifugio.

Durante la cerimonia, il sindaco, Paolo Trancassini, ha spiegato che “questo riconoscimento è tanto più importante in un momento come questo, dove la comprensione e il rispetto di culture e mondi diversi sono messi in discussione da fanatismi di natura religiosa”.

“Mi auguro che l’esempio dei nostri nonni e delle nostre nonne possa essere d’insegnamento per le giovani generazioni, educandole ai valori della dignità umana, del rispetto e della tolleranza reciproca”, ha aggiunto il sindaco.

Il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, ha riconosciuto l’importanza pedagogica di questa iniziativa della Fondazione Wallenberg e ha proposto agli abitanti della frazione di rivivere l’esempio dato dai nonni accogliendo oggi una famiglia in fuga dalla persecuzione, come ha chiesto Papa Francesco.

I fatti accaduti a Leonessa durante la Seconda Guerra Mondiale sono stati conosciuti grazie alla testimonianza di Marco Pisetzky, recentemente scomparso, uno dei figli della famiglia rifugiata.

Pisetzky, a gennaio 2013, è tornato a Leonessa per rivivere insieme alla popolazione quei mesi che, paradossalmente, definiva tra i più belli della sua vita: perché, nell’imperversare della persecuzione, poté godere della bellezza della montagna e della generosità dei suoi abitanti.

La famiglia di Marco, di origine polacca, arrivò a questa frazione di Leonessa per suggerimento di una donna di servizio che lavorava nella sua casa di Roma: Margherita Boccanera, che li mise in contatto con il parroco don Lorenzo Gnocchi.

“Don Lorenzo – ha testimoniato Marco Pisetzky in un film-intervista— non ha assolutamente cercato di convertirci e non ha mai chiesto soldi”.

“Anzi —aggiungeva Pisetzky—, sapendo che avevamo pochi liquidi, andava in campagna a raccogliere le uova, la carne e ce le portava”.

Gli abitanti del luogo sapevano che i Pisetzky erano ebrei. I partigiani, la notte, portavano loro da mangiare. Nessuno li denunciò, nonostante il rischio di essere scoperti.

Alla cerimonia ha partecipato il professor Andrea Ungari, docente di Storia e teoria dei Movimenti Politici all’Università LUISS-Guido Carli, che ha parlato del coraggio dimostrato dai contadini: questi, infatti, sapevano di rischiare azioni di rappresaglia da parte dei soldati tedeschi, che li avrebbero uccisi se avessero scoperto che nascondevano ebrei; e, d’altra parte, scelsero di rinunciare alla ricompensa che avrebbero ricevuto se li avessero denunciati. Invece, come ha spiegato ancora Ungari, nessuno di quei umili montanari tradì la famiglia, malgrado la fame e le difficoltà che aveva portato la guerra.

Giampaolo Malgeri, professore di Storia delle Relazioni Internazionali e delle Società e Istituzioni Extraeuropee all’Università LUMSA, ha sottolineato l’importanza di continuare ad approfondire la ricerca storica per capire meglio quanto accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Il professore ha confermato l’impegno della LUMSA per dare un contributo di assoluto rigore scientifico al progetto “Case di vita”.

La cerimonia è stata preceduta da un atto accademico presso l’Istituto Comprensivo di Leonessa, ideato e diretto dal professor Gennaro Colangelo, docente presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università LUMSA; in questa sede l’attore Nicholas Gallo ha recitato brani del libro “Il Girasole” del filosofo Simon Wiesenthal, sul tema del perdono.

Alla cerimonia – che ha ottenuto, tra gli altri, anche il patrocinio della Comunità Ebraica di Roma – hanno partecipato Sandra Terracina, responsabile di Progetto Memoria, associazione che fa capo al Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e al Dipartimento Beni e Attività Culturali della citata Comunità, e Gabriella Y. Franzone, coordinatrice del Dipartimento, le quali hanno svolto un ruolo decisivo nella scoperta dei fatti accaduti a Leonessa.

La Fondazione Wallenberg, presieduta da Eduardo Eurnekian e fondata da Baruj Tenembaum, ha consegnato il riconoscimento in forma di targa, che è stata appesa alla facciata della chiesa parrocchiale della frazione.

La targa – spiega la Fondazione, che annovera tra i primi membri l’allora vescovo Jorge Mario Bergoglio – “ricorderà a tutti i visitatori di questa casa e ai passanti che, in uno dei periodi più bui della storia dell’umanità, quale fu quello della Shoah, molte persone si sono opposte contro questo terribile male; e questo remare contro il male ha fatto la differenza”.

Il progetto “Case di vita” riconosce l’esempio di persone che hanno dato rifugio ai perseguitati non solo durante l’Olocausto, ma anche in altre situazioni di persecuzione e genocidio: è il caso, per esempio, di armeni che sono stati salvati da turchi.

La Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg esorta a condividere informazioni attendibili su altre “Case di vita” per e-mail, scrivendo a: irwf@irwf.org.

Per ulteriori informazioni: http://www.raoulwallenberg.net

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