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Ecco perché il Papa sembra non fare nulla per Asia Bibi

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 06/05/16

Padre Cervellera: il pontefice segue la linea della prudenza indicata dalla Chiesa pakistana

L’ultima volta che Papa Francesco è intervenuto sul caso di Asia Bibi, la donna cristiana pachistana in carcere con l’accusa di blasfemia, è stato ad aprile 2015, quando ha ricevuto e confortato il marito di Asia, Ashiq Masih e la figlia. «Prego per lei e per tutti i cristiani perseguitati», aveva detto loro il papa. Da allora non si sono più registrati pronunciamenti del Vaticano e di Bergoglio sul caso Bibi (Avvenire, 15 aprile 2016).

Come scrive uccronline.it (29 aprile) «diversi polemisti mediatici di Papa Francesco, lo accusano di fregarsene della vita di questa donna, preoccupandosi di incontrare vip e personalità famose ma di non trovare il tempo per promuovere appelli pubblici di liberazione nei suoi confronti».

PROCESSO D’APPELLO

In realtà le preoccupazioni del papa per Asia e i cristiani perseguitati nel mondo sono forti. E se non si è più espresso sul caso è perché ci sono direttive ben precise, come ribadisce ad AleteiaPadre Bernardo Cervellera, missionario Pime e direttore di Asianews. «Purtroppo non si riesce a fissare il processo d’Appello – premette Padre Bernardo – in primo luogo perché i giudici hanno bisogno di sentirsi liberi e ogni volta sono pronti per fissare la data, crescono puntualmente le manifestazioni dei fondamentalisti che minacciano di uccidere i giudici e assassinare la stessa Asia Bibi poiché in Pakistan sono già capitati episodi di omicidi di donne in carcere».

IL “SUGGERIMENTO”

Il direttore di AsiaNews sottolinea: «Il processo d’Appello dovrebbe portare alla scarcerazione di Asia perché l’accusa di blasfemia non regge ed è il frutto di un odio, un disprezzo anti-cristiano. Ecco perché anche alcune personalità della Chiesa pakistana ci hanno consigliato di tenere un profilo basso su questo caso, non cercare clamore, né altro». Ed è qui che si innesca la delicata posizione del pontefice.

SPECULAZIONI RISCHIOSE

«Lui vuole aiutare Asia – spiega Padre Bernardo – e sa che per aiutarla bisogna mantenere questa linea di cautela, di discrezione. Al contrario accendere i riflettori con interventi pubblici sulla donna pachistana può sortire l’effetto contrario. Per tutti noi, in primis con Asianews che segue da vicino quotidianamente le dinamiche dei cristiani nel sud-est asiatico, sarebbe semplice condannare, gridare contro questo o quello, lanciare sottoscrizioni di firme, ecc, ma è meglio non procedere in questa direzione».

IL RUOLO DEL GOVERNO

Padre Bernardo evidenzia anche un altro aspetto che giustifica la prudenza vaticana e occidentale sul caso Bibi. «Un problema serio è quello del governo pachistano che non garantisce efficaci misure di sicurezza, non supporta l’azione di polizia e militari e questo spiega perché i fondamentalisti fanno così paura e continuano nelle loro azioni intimidatorie nei confronti delle minoranze. Non è ancora ben chiaro se il governo sia inetto o colluso. Un motivo in più – chiosa il missionario e giornalista – per evitare sovraesposizioni distruttive e poco efficaci nella risoluzione del caso Bibi».

LA PRUDENZA DI BENEDETTO XVI

La prudenza di Papa Francesco nei confronti dei fondamentalisti indù, si legge ancora su uccronline.it, è ribadita dall’arcivescovo Jacques Behnan Hindo, capo dell’arcieparchia siro-cattolica di Hassakè-Nisibi in Siria – in prima linea a fianco dei cristiani perseguitati – secondo cui «il momento è delicato e ogni iniziativa o parola non calibrata e presa senza ponderazione può aumentare i rischi per tutti».

E’ la stessa prudenza di Benedetto XVI, che ha sempre condannato gli attentati e la persecuzione dei cristiani senza mai parlare di colpe dell’Islam o generalizzare sulla fede musulmana, piuttosto accusando la strumentalizzazione della religione (tanto che nel 2009 la Chiesa di Benedetto XVI fu accusata dal rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, di avere “reazioni ammiccanti all’islam”).

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